LE DONNE, LA SCRITTURA E IL TERRENO DELL'ALTRO
Armando
Verdiglione concludeva la sua conferenza a Modena (2 aprile 2004), pubblicata
in questo numero, rilevando che la vera questione che l’ebraismo incomincia ad
affrontare e poi il cristianesimo e il cattolicesimo affrontano ancora di più è
la questione donna. “È questo che viene evitato dall’Islam – diceva –, la
questione donna. La paura della morte diventa paura della donna. Tutto un
sistema, costruito sulla paura della donna. Tutta una serie di vincoli, di
proibizioni, di prescrizioni, di negatività, perché la donna sia solo lì, senza
piacere. Quindi, anche la clitoride dev’essere magari tagliata. La donna sta a
procreare! Basta, eh, sessualità! Non ne parliamo, il piacere è una cosa, che
spetta, semmai, solo agli uomini”.
Il
discorso occidentale da sempre ha attribuito alla donna il male, il peccato e
l’incesto, per questo, il discorso dell’Islam – non il suo testo, la cui
lettura è ancora da compiere – partecipa del discorso occidentale, nella misura
in cui abbonda di luoghi comuni dilaganti in ogni famiglia, in ogni azienda e
in ogni scuola in cui non si pone la questione donna. E non si tratta tanto
d’instaurare parità di diritti: se la struttura di un’impresa è militare, non
basta affidare a una donna un ruolo svolto da un uomo perché essa non lo sia
più! Come non si tratta di umanizzare le donne, di far sì che divengano
“soggetti” e che cessino di essere “oggetti”. Non faremmo altro che estendere
Aristotele alle donne, da lui escluse dall’umanità – quell’umanità che si definisce
a partire dalla morte (secondo la premessa universale a lui attribuita “ogni
uomo è mortale”) –, non paragonabili all’uomo, perché non compierebbero
l’economia del sangue. Ma, paradossalmente, proprio per questo, proprio in
quanto escluse dall’umanità aristotelica, le donne fanno irruzione con il
Rinascimento. Tanto che Ludovico Ariosto incomincia il suo poema con “Le
donne”. Prima di lui, nella letteratura c’erano le Muse, non le donne. Per non
parlare della pittura, dove con il Rinascimento le donne e la sessualità non
sono rappresentate all’insegna di un presunto piacere segreto da consumare in
privato.
La
rivoluzione che prende avvio con il Rinascimento si avvale della questione
donna, innanzitutto constatando che le donne sono nella parola, anziché in un
presunto genere, inferiore o superiore, misterioso o selvaggio. Poi, che le
donne, e gli uomini, nella parola, non sono mortali. Leonardo da Vinci, Niccolò
Machiavelli, Lucrezia Borgia, Beatrice D’Este esistono prima di tutto in quanto
nomi. Spesso, c’è chi obietta che di Leonardo da Vinci ce n’è uno solo e quindi
non può essere preso come esempio universale dell’umanità. Eppure, quale
umanità senza Leonardo da Vinci? Quale scienza, quale cultura, quale arte,
quale economia e quale finanza, senza la cifra del testo di Leonardo? Come
ciascuno diviene dispositivo di valore dipende anche dalla lettura che egli
compie di questo emblema di un’umanità che non si definisce a partire dalla
morte, ma dall’incontro in cui l’Altro non è rappresentato, quindi, non è
temuto né escluso, e in cui le donne non servono alla procreazione né sono
tenute in un serraglio come animali da addomesticare e da disciplinare. Ma sono
donne nella parola, ossia, divengono dispositivo intellettuale, senza bisogno
di delegare il cervello della vita a chi è supposto provvisto di autorità, né
di attendere il principe azzurro che le riscatti dalla schiavitù della strega,
dell’orco o della presunta famiglia di origine. L’autorità è proprietà del nome
funzionale, innominabile e anonimo, anziché garante di una genealogia. E
l’impresa di ciascuno, dove il nome funziona, poggia su un’anomalia che non si
lascia ricondurre al conformismo. Ma come mai oggi spesso la breccia aperta nel
Rinascimento sembra chiudersi per riportare la calma e la normalizzazione? Come
mai c’è ancora qualche donna che spreca i talenti in attesa dell’uomo che
finalmente porterà la felicità nella sua vita (uomo senza cui “non ha niente” o “non è nessuno”)? E come mai donne e
uomini si considerano anonimi e per questo hanno bisogno del riconoscimento di
chi considerano possessore di un nome (“un nome che è una garanzia”)? La delega
del cervello, delega del dispositivo del viaggio, quindi, passa prima di tutto
per la delega della funzione di nome. Ma la delega cessa nel momento in cui
interviene la questione donna. Non a caso, Verdiglione definisce la donna
indice dell’anonimato del nome. Chi può avere il nome? Il nome, non la donna, è
anonimo, dunque, non c’è nome del nome. Avere il nome comporterebbe assumerne
la funzione, farsi carico dell’equivoco, della suggestione, del senso e del
controsenso, del godimento e della rimozione. In definitiva, divenire despota,
ossia colui che nella fantasmatica di un padrone del godimento è arbitro di una
legge dal codice inespugnabile. La donna riuscita sarebbe il despota perfetto e
avrebbe come contraltare la donna fallita, che si ritiene senza valore perché
mai ha avuto un nome e mai l’avrà, sempre pronta a farsi vittima di ogni
strapotere, sempre pronta a tremare di terrore persino davanti alla sua ombra.
Mentre potrebbe apparire un caso molto particolare, tutto ciò rientra a pieno
titolo nel conformismo. La donna come animale fantastico, rappresentazione
dell’Altro, buono o cattivo, vittima o carnefice, riempie i copioni di ogni commedia,
quando non sfocia in tragedia. E quante guerre non si sono combattute per
stabilire chi è la “più bella del reame”? Come insegna la lettura della fiaba
di Biancaneve, rappresentare l’altra donna comporta che la madre divenga
matrigna, che uccida, o che venga uccisa dopo che la figlia avrà portato a
termine la sua iniziazione nella casa dei sette nani. Ma rappresentare l’altra
donna è ciò che avviene in assenza di padre. Il nome è anonimo. E di questo
anonimato è indice la donna. Ma il nome è anche innominabile, è impossibile
nominare il nome. E di questa innominabilità è indice il padre. Senza il padre
come funzione di nome, Biancaneve oscilla tra il candore della neve e il sangue
caduto dal dito che la madre si è punta ricamando il suo corredino. In altre
parole, è in balia di chi fa il bello e il cattivo tempo, senza direzione e
senza orientamento. Senza il padre, Biancaneve non è un nome che funziona, è
senza autorità e senza responsabilità, ciò che le accade piove dal cielo come
un diluvio, ma non c’è neppure un’arca che possa accoglierla e farle
intravedere l’arcobaleno.
Dicevamo
che la delega del cervello passa prima di tutto per la delega della funzione di
nome. Ma la delega cessa nel momento in cui interviene il padre come nome. Con
la funzione di nome il padre non è più il soggetto supposto godere e la donna
non è più il soggetto supposto subire. Per questo la donna è anche indice
della differenza sessuale, non rappresentazione dell’Altro o dell’anomalia.
L’anomalia non partecipa della patologia, anzi, senza l’anomalia, il terreno
dell’Altro è pronto per essere occupato come campo di concentramento e di
sterminio. Che l’Altro non sia rappresentato come malato o diverso dipende
anche dal modo con cui l’anomalia è ammessa nella città e il nome che fa
questione avvia un processo intellettuale, anziché un procedimento penale. Non
a caso, l’inquisizione si è accanita contro quegli “esseri di genere
aristotelicamente inferiore” che erano presunte le donne (bruciandone a
migliaia con l’accusa di stregoneria) e contro chi non rientrava nelle
categorie previste dall’onorata società.
Oggi
occorre che il dire, il fare e la scrittura intervengano per ciascuno e che
nulla sia lasciato al pregiudizio. L’era del secondo rinascimento si annuncia
in ciascun angolo del pianeta, invitando ciascuno all’arte e all’invenzione
fino al caso di cifra. E se c’è un’esperienza in cui possiamo constatare che le
donne, parlando, raccontando e facendo, senza conformismo ma secondo
l’occorrenza, instaurano dispositivi intellettuali e contribuiscono alla
scrittura pragmatica, questa è proprio l’esperienza della parola originaria, la
psicanalisi e la cifrematica del secondo rinascimento.
Per
questo è giunto il momento, per ciascuno che si trova in viaggio, donne e
uomini di vari paesi, d’incontrarsi sul terreno dell’Altro, dal 27 al 30 maggio
2004, per dare testimonianza del secondo rinascimento in vari settori, alla
Villa San Carlo Borromeo, aperta a ciascun viandante che arrivi all’improvviso
e che mai potrà rappresentare una ragione sufficiente per confiscare il
piacere. Anzi, il congresso mondiale Il secondo rinascimento nel pianeta che si terrà in quei giorni sarà
l’occasione per constatare come soltanto il viandante porta le notizie delle
cose che si fanno, notizie esenti da interessi personali e soggettivi, quindi,
le vere notizie.