HUMANITAS
Su quale terreno si
gioca oggi la partita del pianeta? Quello della politica o quello
dell’economia? Con le armi o con la carta della diplomazia? Con la regia del
terrore o con i successi della genetica? Oppure con il dominio dei media?
Grazie alla globalizzazione o nonostante essa?
La terra, il
terreno, l’humus. Qual è l’humus
della vita? Come gli umani abitano la terra? Sotto il segno della sepoltura,
sembra ricordarci Giambattista Vico, quando riprende l’etimo secondo cui
humanitas deriva da humare, seppellire i morti. Così il discorso occidentale
lega strettamente l’umanità alla morte. E dalla morte e dal suo spettacolo
sembra afflitta l’umanità secondo i media, umanità della morte e del fatto di
morte: l’omicidio, l’attentato, la strage, il massacro, il genocidio, la
pulizia etnica, di tutto ciò si nutre il visibile per dare il segno e il limite
dell’umano, troppo umano.
L’umanità basata
sulla morte è un’umanità senza la parola, umanità che celebra la propria
indifferenza con lo spettacolo della sofferenza. Indifferenza rispetto alla
materia dell’Altro, che non può essere rappresentato o personificato, per
esempio attribuendogli la diversità, il male, l’incesto, il peccato. L’Altro
non è umano, nell’accezione del discorso occidentale, non è il soggetto alla
morte, non è definito dalla funzione di morte. Ciascun elemento sta nella
parola, per cui nulla può essere tolto, allontanato, fugato, dissipato,
escluso. L’humanitas della parola è l’instaurazione dell’Altro
irrappresentabile, ospite ignoto. Come l’integralismo potrebbe toglierlo con il
principio aristotelico del terzo escluso, come potrebbe ammaestrarlo con
l’interrogazione corretta platonica? L’Altro non è politicamente corretto, come
nota Thomas Szazs in questo numero, l’Altro è essenziale all’impresa, come
scrive Armando Verdiglione.
Oggi la partita si
gioca sul terreno dell’Altro, l’humanitas. Essa procede dall’apertura, dalla solidarietà, ma esige una
battaglia che non finisce. E chi combatta senza più nemico. Su questo terreno,
che non si fa territorio, avviene l’incontro, sulla via del malinteso
introdotto dal racconto. La parola, il racconto non seguono all’incontro, ne
dispongono i termini, i modi, le misure. L’incontro non è nel rispetto
dell’uomo: homo e humanus non
hanno la stessa radice. L’humanitas
va ben oltre gli illuministicisti diritti dell’uomo, comporta il diritto
dell’Altro. In nome dei diritti dell’uomo si giustificano i massacri, il
diritto dell’Altro si gioca sul terreno della parola, che non ammette lo ius
terrendi, il diritto di
terrorizzare chi invade la propria terra.
Dopo Galilei la
terra non è più propria, partecipa del cielo. E dall’humus proviene non l’uomo, l’umano come genere da
disporre nella tomba, ma l’humilitas, come assenza di arroganza e di modestia, come generosità
intellettuale, come disposizione all’ascolto, essenziale per la lucidità,
quando il fare giunge all’intendimento. Con l’humilitas il terreno dell’Altro è sgombro dal soccorso e
attraversato dal fare, per una necessità intellettuale che non è finalizzata
alla salvezza. Troppo spesso invece medicina, diritto e economia restano nella
mitologia dell’aiuto, dunque qualificano professionisti che, con tutta la buona
volontà, agiscono nell’ambito del discorso occidentale come discorso della
morte. Non resta loro che attenersi ai protocolli, oppure proclamare un’etica,
combattere per i diritti umani o auspicare il rispetto dei valori umani. Alla
cifrematica questo non basta: diritti e valori umani sono diritti e valori del
soggetto, del soggetto alla morte, del soggetto libero di scegliere, anche la
morte. Primum non nocere, si
richiede garantisticamente? Ma allora, ancora una volta, con il male minore si
rientra nella credenza nel male, da infliggere il meno possibile, da togliere
il più possibile, sempre il minimo male necessario.
La vita non è un
valore, da proteggere dal male: sarebbe la sopravvivenza, sempre minacciata,
sempre in procinto di finire. La vita è la parola, nulla di naturale, di acquisito,
di scontato. Vivere è un compito, che si svolge vivendo, nel gerundio, nella
gestione delle cose che narrandosi si fanno e facendosi si scrivono. Nel nostro
viaggio. Non c’è vita senz’Altro, ecco un teorema dell’humanitas. E un suo assioma: l’Altro è essenziale alla
valorizzazione. Come dire che i valori non sono naturali, non preesistono alla
parola, alla tripartizione del segno, al fare. Dunque per non escludere
l’Altro, per dare un apporto alla partita del secondo rinascimento nel pianeta,
occorre che medicina, diritto e economia si trovino nel rischio e nella
scommessa nel fare, senza protocolli e corporazioni, come esigono e attestano
gl’imprenditori, i medici e i giudici interpellati in questo numero.
Non i valori dell’etica
occidentale ma il valore introdotto dall’Altro abita la terra dell’humanitas della parola. Valore pragmatico, fare secondo
occorrenza, nella catacresi, nell’abuso linguistico. E dal valore alla
valorizzazione, con l’apporto della scrittura della vendita e della scrittura
finanziaria. Non si tratta più di credere nei valori di questa o quella
convenzione, ma di avviare dispositivi internazionali e intersettoriali di
valorizzazione, perché la vita divenga valore assoluto, cifra per una
restituzione in qualità e non in pristino.