LA RUSSIA È ANCORA UN ENIGMA?

Qualifiche dell'autore: 
docente di Lingua russa all'Università di Urbino

Nel panorama della letteratura russa contemporanea Viktor Erofeev non è solo tra le voci più conosciute e autorevoli, ma è anche tra gli autori più discussi della Russia odierna. Oltre che scrittore e critico letterario, egli è un giornalista impegnato nella battaglia per i diritti civili. In passato ha scritto una lettera a Vladimir Putin, chiedendo di pronunciarsi sulle azioni, tutt’altro che irreprensibili, dell’organizzazione giovanile “Camminare insieme” (“Idushchie vmeste”), vicina all’entourage del suo governo. Tale gruppo ha brutalmente attaccato la produzione letteraria di alcuni scrittori contemporanei, come Kirill Vorob’ev e Vladimir Sorokin, arrivando al punto di bruciare in piazza le opere di quest’ultimo. In questa nuova stagione che vive la Russia, colpisce quindi l’impegno di Erofeev nel rivendicare il diritto di leggere tutto quello che viene pubblicato. Volevo chiedere a Erofeev che cosa ha risposto il presidente e soprattutto quali altre voci si sono sollevate a sostegno delle sue rivendicazioni a difesa di un’effettiva libertà di stampa.

Per quel che riguarda il libro L’enciclopedia dell’anima russa, mi ha colpito innanzitutto il titolo, che è estremamente suggestivo e impegnativo, perché evoca automaticamente, soprattutto nei lettori occidentali, un topos noto e talora inflazionato della letteratura russa: l’anima russa. Il libro è pensato come una serie di articoli che danno sinteticamente ragione e tentano di definire alcuni elementi caratterizzanti il “byt russo” ovvero la vita dei russi. Stupisce e non convince pienamente la definizione che lo scrittore dà di morale. L’autore, infatti, con poche parole, ci dice che cos’è la morale per i russi: “In linea di principio, il russo è un ammiratore della moralità. Ma solo in linea di principio. In realtà il russo è un essere profondamente immorale. Pensa di essere buono e che in genere si debba essere buoni. La morale per il russo non ha alcun fondamento” (pag. 65). Qui, si rimane a dir poco perplessi e, istintivamente, verrebbe voglia di prendere le difese dei connazionali di Erofeev. Procedendo, si trovano I tipi russi: “Tolstoj, descrivendo i soldati, diceva che il principale tipo russo è l’uomo docile. Penso che il russo sia uno con il quale l’educazione non attacca. Lui fa solo finta di essere educato” (pag. 68). Altra definizione provocatoria. E così via. Ce ne sono tante, e ruotano tutte attorno alla vita dei russi e ai russi, sia a quelli che vivono in patria sia agli emigrati.

Oltre che dai contenuti, sono rimasta colpita dalla categoricità con cui lo scrittore si è pronunciato su alcuni argomenti così peculiari della storia della cultura russa: il popolo, i suoi costumi, l’emigrazione. Vorrei ricordare che, negli anni Quaranta del XIX secolo, lo scrittore Aleksej Chomjakov, il capofila del movimento slavofilo, insieme ad altri scrittori occidentalisti, come Petr Caadaev, parlava della difficoltà della Russia nell’autoconoscersi e nell’autodefinirsi. Chomjakov nel 1845 nel suo saggio Opinione degli stranieri sulla Russia scriveva: “L’Europa forse ci conoscerà meglio di noi stessi, quando ci conoscerà”. Qualche decennio dopo, Dostoevskij affermava che la Russia era “un enigma”, anche se tanti europei erano convinti di aver penetrato e compreso il mondo dei russi da tempo. Tornando al libro di Erofeev, mi domando se, quel processo di autocoscienza, manifestatosi faticosamente nella prima metà dell’Ottocento, iniziato però prima, abbia avuto il suo sviluppo e abbia raggiunto il suo culmine nel Novecento. Se un autore russo, oggi, senza alcun tentennamento, arriva a dare definizioni così precise e categoriche, evidentemente, la risposta è positiva: tale processo si è compiuto. Allora, è inevitabile domandare a tale scrittore se abbia veramente detto tutto quello che poteva dire sulla Russia. Ne L’enciclopedia dell’anima russa troviamo delle pagine davvero inquietanti, anche per esempio sul modo in cui vanno trattati i russi. A riguardo leggiamo: “Antigas e avanti. I russi non sopportano di essere trattati bene” (pag. 68). Probabilmente, le sue sono solo provocazioni, ma io formulo, comunque, le seguenti domande: l’autore ha detto veramente tutto sulla Russia? Non manca forse qualcosa – ma non sta a me suggerirlo –, qualche lato positivo dei russi, che magari egli si riserverà di scrivere in un prossimo libro? Qualche riflessione positiva aiuterebbe, forse, a prendere sul serio le tante affermazioni esageratamente critiche, abnormi, racchiuse in questo libro, che, invece, rischia di essere poco credibile e paradossale.