TORNANO IMMAGINI DI LOMBROSIANA MEMORIA

Qualifiche dell'autore: 
medico, psichiatra

Agli inizi degli anni ottanta, ho incontrato Giorgio Antonucci perché avevo la percezione di essere sulla stessa lunghezza d’onda e di poter fare delle cose insieme. Non andai da solo a Imola, eravamo un gruppo che andò a conoscere l’esperienza dei reparti 17 e 10, i due reparti in cui, prima dell’arrivo di Giorgio, venivano ricoverati i pazienti che opponevano “viva resistenza alla cura”.
Erano i reparti peggiori. La resistenza alla cura era resistenza all’elettroshock, al coma insulinico, alla malarioterapia. Tra le persone ospiti dei reparti gestiti da Giorgio, diventate poi cittadini con diritti a tutti gli effetti, era vivente, spero ancora vivente, una persona a cui avevano inoculato il virus della malaria, determinando una tipica febbre che si chiamava la quartana. Dopo quattro settimane di febbre, questa persona aveva maturato una certa ostilità nei confronti dei medici e degli psichiatri; costoro, partendo dal presupposto di aver inoculato la malaria a fin di bene, avevano giustificato l’atteggiamento di aggressività del paziente come un caso grave di delirio. Questo, a metà degli anni quaranta.
Dietro il linguaggio e il comportamento, non c’è semplicemente un sintomo da reprimere. Questo è, invece, ciò che pensano gli psichiatri di tutti gli orientamenti, perché, in prima istanza, il problema principale della psichiatria è di farsi garante dell’ordine pubblico e sociale, ma, in seconda istanza, è anche quello di reprimere perfino la parola e il linguaggio, nel momento in cui questa parola e questo linguaggio siano devianti e deliranti. Ricordo la presentazione di qualche anno fa, sempre per iniziativa di Sergio Dalla Val, di quel fantastico libro dei due psichiatri Baraldi e Romitti sul linguaggio dei cosiddetti pazienti psichiatrici. Per la prima volta, questo linguaggio, anziché essere deriso e disprezzato, anziché rientrare in quello che Laing chiama vocabolario di denigrazione, usato dalle istituzioni e dal potere nei confronti di tutti i diversi, viene finalmente valorizzato con i suoi messaggi, le sue valenze, i suoi significati; quindi, non sintomi da reprimere, ma messaggi e comportamenti da interpretare. Dal canto suo, Palazzoli Selvini a un certo punto ha detto basta all’uso dell’alimentazione coatta nei confronti delle giovani adolescenti che rifiutano il cibo, perché nel loro comportamento c’è proprio l’opposto, cioè c’è voglia di vivere, non voglia di morire. È esattamente l’opposto di ciò che dice la psichiatria ufficiale o la medicina organicista in genere, che attacca a testa bassa perché deve assolutamente demolire e distruggere il sintomo, spostandolo, poi, da quel tipo di disagio a un altro tipo di disagio e con risultati assolutamente tragici e luttuosi. Dietro il comportamento e il linguaggio c’è un messaggio. Pertanto, o ci mettiamo, come ha fatto Giorgio, nell’ottica dell’ascolto, della comunicazione e del mettersi in relazione con questo messaggio, oppure ci mettiamo nell’ottica della repressione.
Anche la medicina sta subendo un’involuzione di tipo tecnocratico e onnipotente. Non parlo soltanto della questione dei trapianti e del fatto che si pensa che la prevenzione non serva, tanto si cambiano gli organi. La novità che si profila all’orizzonte è ancora più terrificante: il genoma. Tornano immagini di lombrosiana memoria, perché nel cromosoma 6 riaffiorano anche la dislessia, l’epilessia mioclonica e la schizofrenia. Qui il prossimo salto ipertecnologico non sarà più soltanto la farmacologizzazione coatta di massa. Il prossimo passo terrificante, al quale la medicina e la psichiatria autoritaria ci stanno preparando, è la manipolazione genetica, l’illusione della manipolazione genetica, perché è ovvio che questa ulteriore impennata di onnipotenza sarà la premessa di nuovi lutti, di nuove sciagure, di nuovi disastri, anche se qualcosa si sta già diffondendo nel tessuto sociale di Bologna ed è qualcosa con cui dobbiamo fare i conti.
Noi siamo contrari ai trattamenti sanitari obbligatori, siamo contrari a qualunque tipo di coercizione, dobbiamo essere consapevoli del fatto che una domanda di aiuto e di presa in carico, in alcune fasi della propria vita, può essere espressa da chiunque di noi. In questa situazione dobbiamo guardarci, come dice Szasz, dal rischio di un approccio troppo ideologico: dobbiamo cercare di organizzare una modalità di relazioni umane, perché non vorrei più trovarmi nella situazione di qualche giorno fa, in cui ho dovuto prendere atto che in un reparto psichiatrico di Bologna esiste una procedura scritta per legare e bloccare una persona fisicamente. La procedura scritta comporta che il primo gesto nel bloccare una persona è attaccarla alla gola. Stiamo parlando di un pezzo del sistema sanitario nazionale che pretende di collocarsi sul terreno della medicina, della cura e della riabilitazione. Oltre a bloccare un paziente alla gola, c’è la tecnica del cuscino in faccia. E allora mi chiedo come mai Giorgio Antonucci non ha mai avuto bisogno né del cuscino, né di prendere qualcuno alla gola.