RIAFFERMIAMO IL MADE IN ITALY
Nell’ambito delle arti, della cultura e della tecnica l’Italia ha da sempre recitato un ruolo di primo piano sul palcoscenico mondiale. A partire soprattutto dal Rinascimento, il nostro paese ha conosciuto un’incredibile fioritura di espressioni artistiche, dando i natali ai più grandi pittori, scultori, architetti non solo del tempo, ma anche delle epoche successive. A questi si sono aggiunti scienziati di notevole spessore e vere e proprie forme di genialità, incarnate alla perfezione dalla grande figura di Leonardo da Vinci, summa dell’italico estro e di un’inventiva che prende le mosse dalla fantasia e da un modello di pensiero non prettamente convenzionale, se rapportato alle altre civiltà europee. L’onda lunga del Rinascimento si è fatta sentire per secoli, gettando i presupposti per un modus operandi le cui conseguenze sono ben visibili ancora oggi, non solo nell’arte e nella cultura, ma anche nell’industria e nel design. Se un tempo erano Michelangelo e Leonardo a stupire con le loro opere ed invenzioni, nell’ultimo secolo lo sono stati i carrozzieri e gli stilisti, veri e propri figli di un antico e innato senso del “bello”. Se un tempo si plasmavano marmi e pietre, negli ultimi decenni si è dato forma ed energia a plastica e metalli. E così il nostro paese è divenuto la terra in cui si sono disegnate e prodotte le automobili più affascinanti o i vestiti più ammirati e invidiati. Sino a pochi anni or sono, le creazioni dei nostri designer hanno reso grande il Made in Italy, da sempre sinonimo di estetica coniugata alla forza dell’idea. Gli elementi che hanno guidato la crescita dei nostri comparti industriali, così come le peculiarità tecnologiche che hanno contraddistinto la produzione del Made in Italy, sono sicuramente da ricercare nel particolare approccio culturale delle aziende italiane.
Ma, a parte qualche caso di indubbia eccellenza, sembra che il nostro paese in questi ultimi anni si sia fermato e abbia spento il motore della fantasia. Demoralizzata dalla congiuntura economica e incatenata in una realtà politica che assume toni sempre più foschi, la vitalità del Made in Italy ha lasciato posto a mediocrità e fatalità. Certo, i settori più all’avanguardia dell’industria vivono ancora di un’intrinseca vitalità e di una continua osmosi tra diverse tecnologie, che tiene accesa la fiaccola dello sviluppo ormai spenta nei rami produttivi più tradizionali e standardizzati, dove l’applicazione continua della ricerca risulta più lacunosa.
Per riempire quell’immenso vuoto di idee e cultura imprenditoriale che si è venuto a creare dietro le poche isole di eccellenza, occorre recuperare, in modo perentoriamente metodico, l’ingrediente fondamentale che ha contraddistinto l’industria italiana delle origini: la spinta al rinnovamento o, in altre parole, il dinamismo applicato a prodotti e processi, a modi e metodi, in tutte le attività dell’impresa, dalla produzione al marketing, dalla gestione alla ricerca.
Ma nello stesso tempo, gli imprenditori storici devono fare tesoro delle proprie origini: la grande esperienza del passato, in altre parole, non deve essere dimenticata o vanificata, ma deve entrare in un processo volto a preservare la memoria delle nostre radici industriali e del nostro originalissimo modus operandi. I fasti del passato devono servire per rinverdire il futuro, rivalutando la nostra storia, la nostra tradizione industriale e organizzativa, nonché quelle caratteristiche di stile, fantasia, flessibilità e buon gusto che hanno reso grande l’Italia nel mondo. La ricerca e l’innovazione, unite alla razionalizzazione e al miglioramento del servizio, permetteranno così ai nostri prodotti di eguagliare o addirittura surclassare le soluzioni proposte dai costruttori dei paesi più industrializzati e tecnologicamente avanzati. È importante sottolineare come tutti i settori debbano impegnarsi nella fornitura di un servizio “a cinque stelle” in tutte le attività, in ogni minimo particolare, in ogni singola azione dell’intraprendere, dalla qualità alla professionalità, dalla competenza alla disponibilità. Questo stile di servizio – all’estero applicato alla produzione standardizzata in grandissima serie ma non a quella customizzata – consentirà all’industria italiana di differenziarsi notevolmente dalla concorrenza.
Il propendere all’ottenimento dell’eccellenza si porta dietro numerose conseguenze: la più importante consiste nel fatto che chi applica l’eccellenza diviene sempre creatore di nuovi stimoli, precedentemente sconosciuti a quel particolare mercato, stimoli che paesi e aziende concorrenti non sono mai in grado di replicare con facilità e rapidità. L’applicazione di un buon servizio passa anche attraverso la riscoperta del concetto della perfezione, del “lavoro a regola d’arte”, della cura maniacale di ogni singolo dettaglio. L’esclusività e la bellezza rappresentano sempre più gli ingredienti fondamentali del prodotto, accanto a funzionalità e qualità, anche in campi manifatturieri tendenzialmente “freddi”, come può essere, ad esempio, l’automazione. Va infatti ricordato che nel mondo dell’alta tecnologia, denso di idee e soluzioni, un prodotto “bello” è sempre anche funzionale e uno funzionale è sicuramente bello. Perché? Perché per ottenere un buon stile occorre uno studio accurato, minuzioso e meticoloso: occorre la necessaria ingegnerizzazione. Se applicato alla nostra industria in generale, questa regola aurea può garantire una spiccata riconoscibilità, grazie a prodotti e soluzioni visivamente riconducibili alla casa costruttrice. La forza dell’industria italiana può risiedere, a differenza delle realtà estere, nella propensione culturale e intellettuale ad applicare questi concetti nella piccola e media impresa: le aziende estere tendono infatti a essere più “ingessate” e di dimensioni più notevoli. Ma non serve una divisione di ricerca e sviluppo costituita da settecento persone per rimanere vincenti: si può puntare all’eccellenza anche con aziende di poche decine di persone, e SIR lo dimostra.
Da un punto di vista tecnologico-culturale, la produzione italiana si è sempre contraddistinta per la fantasia e la creatività nella ricerca della soluzione, che ci ha reso vincenti anche in situazioni ostiche e inusuali, unita a una straordinaria flessibilità nel recepire e nel tradurre in pratica le esigenze del cliente, anche se questo comporta lo stravolgimento di soluzioni già consolidate. Non troverete questo atteggiamento in nessuna industria estera: non è infatti un caso che alcuni tra i più importanti costruttori di soluzioni non standardizzate si trovino in Italia. La flessibilità è infatti insita nella nostra cultura aziendale e tale atteggiamento non è facile da replicare. Con questa parola non s’intende solamente la ricerca della migliore soluzione o la propensione alla customizzazione più spinta, ma anche la capacità di spaziare velocemente da un campo applicativo all’altro, da una tecnologia a un’altra: un atteggiamento che porta alla creazione di soluzioni “dense”, alla Leonardo da Vinci, per così dire. Anche in questo caso, la differenziazione operata dal Made in Italy è notevole: i realizzatori esteri sono infatti più mirati verso un solo campo di applicazione.
Ma la fantasia non basta, soprattutto se si affrontano tematiche complesse e inedite: nel moderno mercato occorre una grande preparazione tecnica, una buona struttura e una grande flessibilità nell’apprendimento delle nuove tecnologie. È proprio questa preparazione, unita a una spinta dinamica, che manca nella moderna industria italiana; il futuro non appare in sostanza così roseo, ed è naturale che una stagnazione dei comparti più importanti avrà influenze negative a tutti i livelli sul nostro tessuto economico, politico e sociale. Il nostro paese ha vissuto troppi anni senza una guida sicura e lungimirante, senza precise strategie, senza aiuti concreti per le imprese che possono vantare prodotti e progetti tecnologicamente avanzati: l’eccessiva tassazione, l’inadeguatezza delle infrastrutture, l’arretratezza delle politiche del lavoro e il costo della manodopera e dell’energia hanno determinato una condizione di sofferenza diffusa all’interno dell’industria italiana, che impedisce all’imprenditore di lavorare con serenità. Tutto ciò c’induce a pensare che dovremmo affrontare tempi duri e che probabilmente le nostre società dovranno spostare gran parte della loro produzione sui mercati esteri.
Nel nostro paese sono quindi necessari forti cambiamenti, affinché la nostra economia possa conoscere una nuova fioritura: serve qualcosa o qualcuno che ci renda fieri di essere italiani. Il Made in Italy, non più vitale come in passato, va assolutamente riaffermato, prima che sia troppo tardi: per realizzare questo compito occorre uno sforzo enorme a tutti i livelli e in tutti i comparti. Ma purtroppo non si tratta di una scelta, non siamo davanti a un bivio o a un’alternativa: la riaffermazione dei nostri marchi rappresenta un passaggio obbligato, un’assoluta necessità da cui dipenderà la nostra stessa esistenza. Se da un lato i nostri prodotti dovranno divenire sinonimo di qualità, affidabilità, competenza, servizio e serietà professionale, dall’altro noi stessi dovremo lottare per permettere all’orgoglio dell’italianità di riemergere in superficie, abbandonando il cupo mare dell’oblio: orgoglio per la nostra cultura, la nostra storia, il nostro stile, il nostro ingegno, la nostra fantasia. Qui si tratta di concepire e costruire prodotti e non pezzi, di applicare la più raffinata delle tecnologie, rifuggendo dalla mediocrità e dalla banalità. Si tratta di creare specializzazione, non manovalanza, marchi e non produzioni anonime. Si tratta di vivere, non di sopravvivere. Ciò che è avvenuto nella moda e nelle supercar va ripetuto in tutti i comparti produttivi: solo così riusciremo a contenere, anzi a sopravanzare, l’onda d’urto delle economie emergenti, ridando fama e prestigio a questo paese, permettendogli di rialzare ancora una volta la testa.
È giunto il momento di fare il grande passo e di ridare all’Italia il posto che le compete nell’ambito della scienza, della tecnica, dell’industria: non possiamo rimanere indifferenti dinnanzi alla sfida dell’economia globale, non possiamo accettare ancora una volta di essere superati e umiliati. Per fare questo, occorre prima di tutto che il cambiamento prenda origine da noi stessi, individualmente: se ancora abbiamo a cuore questo paese, riappropriamoci del nostro orgoglio e facciamo vedere al mondo la forza del nostro ingegno e della nostra fantasia. Non possiamo permettere che la nostra storia e la nostra cultura, uniche al mondo e da tutti invidiate, vengano vanificate dalla mediocrità e dalla incapacità di reagire. Credetemi, se davvero lo vogliamo, nessuno potrà superarci.