INGEGNERE, ARCHITETTO E MEDICO DEI MONUMENTI

Qualifiche dell'autore: 
consigliere dell'Ordine degli Architetti della provincia di Modena

Condivido con Lorenzo Jurina una formazione ingegneristica di base, anche se poi io ho deciso di diventare architetto, seguendo il suggerimento di Leonardo da Vinci: “Studia prima la scienza, poi seguita la pratica nata da detta scienza”. M’incuriosiva ciò che andava oltre il calcolo del cemento armato. Quando ero studente, facevamo ancora i calcoli a mano, le prime calcolatrici portatili mangiavano letteralmente pacchetti di pile ogni cinque minuti e noi trascorrevamo intere notti a fare le verifiche con il metodo di Cross: un lavoro veramente pesante. Così, io mi sono trovato a diventare architetto strutturista e Lorenzo Jurina, certamente con maggiore escursione di competenze rispetto a me, è diventato strutturista architetto. Lo chiamo architetto, ben sapendo che è ingegnere, perché ritengo che in lui si configuri quella bella immagine dell’architetto che ci tramanda Vitruvio nel primo libro del De Architectura. Spesso si pensa che per saper progettare basti studiare e, purtroppo, molti colleghi ingegneri, con cui ho pur sempre avuto ottimi rapporti, ragionano solo in termini strutturali. Ma ci sono anche moltissimi architetti che progettano soltanto in funzione di un aspetto estetico formale della cosa progettata. Mi piace scherzare ricordando come un certo orologiaio svizzero, un bel giorno, decidendo di fare l’architetto, andasse affermando che con il cemento armato si poteva fare tutto, tanto poi sarebbero intervenuti gl’ingegneri a far sì che la struttura non rovinasse. Altrettanto ripeteva un mio professore di architettura, il grandissimo architetto Carlo Scarpa. Non ero e continuo a non essere d’accordo, e da ciò si capisce perché posso dire con convinzione che il libro di Lorenzo Jurina, Vivere il monumento. Conservazione e novità (Spirali), dovrebbe essere letto da molti colleghi, giovani e vecchi.

Durante un breve corso di aggiornamento a cui ho partecipato, nell’ambito di una brillante lezione, Lorenzo Jurina mi ha reso partecipe del suo entusiasmo, della sua vivacità nell’esposizione, della sua esperienza, che ho vissuto parola per parola. Ho apprezzato molto anche il suo approccio medicale al monumento, che, anche rispetto alla struttura, non deve essere concepito come qualcosa a sé, ma come qualcosa che vive, può ammalarsi e deve essere curato. Per questo, come un buon medico deve conoscere la storia, lo stile di vita e il profilo psicologico del malato, altrettanto deve fare chi si occupa del restauro del monumento come struttura viva, che non è soltanto un oggetto, per quanto bello esso sia. Non dobbiamo perdere la capacità di comprendere come un capitello, una colonna o una trabeazione siano principalmente elementi in cui la forma deriva ed è fatta risalire a precise esigenze strutturali. È interessante il fatto che Jurina sottolinei come gli edifici e i monumenti quali li vediamo oggi siano esempi di successivi interventi nel tempo. Conservare è una parola dai significati molto complessi. In architettura si usano materiali che esistono da sempre e si possono utilizzare nuovi materiali, ma se tutto ciò che appare tecnologicamente utile e innovativo deve tuttavia rimanere celato, quale segno della nostra cultura tecnologica potremo lasciare? Ho sofferto particolarmente, negli anni ottanta, curando i restauri di Ca’ Pesaro a Venezia, di un approccio rigido alle tematiche del restauro: era parere prevalente che ogni innovazione tecnologica non dovesse essere a vista ma nascosta, in un intervento che comunque andava a contribuire all’equilibrio statico della struttura sovente compromesso. Credo che anche l’elemento nuovo abbia la stessa dignità dell’elemento strutturale più antico e possa essere mostrato e divenire anch’esso parte del monumento, visto come sovrapposizione e sedimentazione nel tempo di diverse epoche e culture.

Penso di trovare d’accordo i colleghi dell’Ordine degli Architetti della provincia di Modena, che in questa sede rappresento, se auspico che Lorenzo Jurina possa continuare su questa strada, perché mi sembra la più corretta per affrontare tanto la progettazione quanto il restauro. Credo che egli rappresenti e sia l’esempio di quella qualità che gli ordini professionali vanno ricercando nella loro attività. Modena ha un Ordine abbastanza dinamico, proiettato in avanti, anche se qualche volta non riesce a farsi capire bene. Ma, quando la qualità emerge, non possiamo che definirci soddisfatti.

Concludo ricorrendo nuovamente a parole di Leonardo: “La verità è figlia del tempo”. A volte, si rischia di non essere compresi subito, in ogni caso, non deve subentrare la sfiducia. E ancora: “Le vere scienze son quelle che la sperienza ha fatto penetrare per li sensi, e posto silenzio alle lingue de’ litiganti, e che non pasce di sogno li suoi investigatori, ma sempre sopra li primi veri e noti principii procede successivamente e con vere seguenzie insino al fine”.