QUANDO IL GIUDICE È ANCHE UN POETA
Il mio saluto al presidente Francesco Amato è di carattere personale, con qualche riferimento all’attività che ci accomuna, non avendo io gli strumenti tecnici e professionali per dare valutazioni di carattere estetico al suo libro Appena ieri.
L’esercizio della giurisdizione, specie se penale, specie se in Corte d’Assise, fornisce al giudice l’occasione, l’opportunità di conoscere l’uomo, la vita dell’uomo, come a pochi altri è dato, sia perché i fatti da valutare rappresentano il risultato di comportamenti estremi, tenuti in momenti eccezionali, sia perché, sul piano processuale, i soggetti al nodo del processo o vi svelano, impudicamente, al primo attacco, la loro vera natura, o, al contrario, indossano maschere, giocano ruoli, così che s’impone l’adozione di strumenti adeguati per ricostruire le sottostanti realtà celate. Quando poi il giudice è anche un artista, la persona nella quale si realizza questa preziosa combinazione può riuscire a inabissarsi più che mai nelle profondità dell’animo e ad aprire squarci sui misteri dell’essere praticabili anche da altri che vogliano lasciarsi guidare.
Francesco Amato è un magistrato prestigioso e un poeta dotato di speciale sensibilità e questo libro è il migliore esempio di quali frutti possa produrre una tale duplicità.
Lo saluto, ma soprattutto lo ringrazio, per aver saputo, con un linguaggio limpido e solare, metterci in condizione di trasformare lampi della sua esistenza in esperienze esistenziali universali; per aver saputo, accostando con sapienza inquieta l’“appena ieri” e il “soltanto domani”, parlarci di quell’ultimo traguardo, lievemente.