APPENA IERI
“Sarò breve” è la frase principio dell’orazione che si ode spesso nelle aule giudiziarie. Questa retorica premessa stasera è anche la mia veritiera promessa. Invero, trovo sempre un certo imbarazzo a intervenire in pubblico, specialmente per parlare di me, forse perché nel mio lavoro ascoltare gli altri ha valore essenziale, predominante.
Sono magistrato, magistrato della Giudicante da oltre quarant’anni. Da oltre quarant’anni ascolto gli altri: le menzogne, le verità, le semiverità degli altri. Ascolto requisitorie, arringhe, quelle brillanti, concise, che aiutano, e quelle prolisse, che annoiano e poco aiutano.
Temo massimamente quando un legale esordisce dicendo “Sarò breve”. Di solito il suo orologio non funziona e le lancette sono ferme, oppure oscillano avanti e indietro perché la pila è scarica.
Nell’esercizio del mio mestiere cerco di arrivare alla verità. Ho scritto migliaia di decreti, ordinanze, sentenze. Talvolta devo avere sbagliato, ma sempre in buona fede, indotto in errore non da simpatie o antipatie, da preconcetti e ideologie, bensì dalle carte e dai fascicoli che rappresentano la verità processuale, la quale è cosa diversa dalla verità vera, dalla verità sostanziale.
Verità, incertezze, giustizia, dubbio.
Lo scrittore francese Bernard Le Bovier de Fontenelle mette in bocca a Montezuma in un dialogo con Hernán Cortés alcune frasi che fanno meditare: “La civilité mesure tous pas, suggerisce tutte le vostre parole, condiziona tutti i vostri discorsi, influenza tutte le vostre azioni ma essa non può giungere fino ai sentimenti; e tutta la giustizia, che dovrebbe trovarsi nei vostri disegni, non si trova che nei vostri pretesti”.
Ah, sì, è impossibile essere come quel giudice tratteggiato da Balzac. Pestando nello stesso mortaio la lettera della legge e lo spirito dei fatti, riconoscendo la manchevolezza delle applicazioni meccaniche e rigide, squarciando con l’ausilio di una seconda vista giudiziaria l’involucro della doppia menzogna con cui i litiganti avvolgono l’intima sostanza delle liti, egli riusciva a penetrare nell’anima altrui, a pesare i più segreti pensieri con la bilancia dei fatti, a ricostruire il passato della coscienza.
In questi ultimi dieci anni, probabilmente per una forma di evasione dagli schemi fissi del processo, ho iniziato a raccogliere pensieri e immagini in romanzi, in poesie…
Sono nato nel lontano 1931. Una vita abbastanza travagliata. Il mio ciclo è giunto al tramonto.
1931-2003: molti gli eventi della storia. Il fascismo, la dittatura con le leggi razziali, le guerre, le persecuzioni, l’Italia sconvolta, la Resistenza, finalmente la Repubblica, la ricostruzione, l’eversione armata, Mani sporche, Mani pulite, la disoccupazione, il consumismo, la crisi della legalità, la globalizzazione, la formazione, più o meno spontanea, di nuovi Stati, l’iniziativa di un’unità europea economico-politica.
Ho assistito allo sfaldamento di imperi, alla caduta di regni, all’infrangersi di idoli, al crollo di miti, al venir meno di tante illusioni. Sono rimasto sgomento come voi di fronte ad avvenimenti atroci, inumani, alla miseria di innumerevoli popolazioni; colpito dolorosamente come voi dalla spirale della violenza terroristica, dal massacro degli innocenti, dal dramma palestinese.
Ho vissuto, come ciascuno di voi, con amori, delusioni, timori, dolori, angosce, speranze. Speranze nate dalla volontà – scettica l’intelligenza –; speranze molte delle quali perdute percorrendo la strada della vita; speranze infondate.
Leggevo stamattina un volumetto edito nell’Unione Sovietica, Brevi cenni su Stalin, un libro che avevo comprato nel 1948, l’avevo letto e mi piaceva moltissimo. L’ho riletto con spirito critico. Quello che all’epoca pensavo fosse vero non era vero: Stalin rappresentava la rivoluzione, era il migliore discepolo di Lenin, un sommo stratega; si riunisce il Presidium e lo nomina maresciallo dell’Unione Sovietica; una certa battaglia è vinta da Stalin perché aveva previsto che i tedeschi avrebbero attaccato in quel punto; il maresciallo compagno Stalin aveva preparato la vittoria sulla Germania perché aveva potenziato l’industria bellica degli aeroplani e dei carri armati e altre cose di questo genere; aveva sviluppato la teoria marxista-leninista con le sue opere magistrali, come I principi del leninismo.
Sono rimasto allibito. Come non rendersi conto che il culto della personalità era in stridente contrasto con i principi che dovevano informare il nuovo sistema politico-economico? Come poteva legittimarsi lo strapotere dispotico del georgiano?L’entusiasmo genera errori, annulla spesso la capacità di critica. L’impero sovietico è crollato. È bastato il piccolo Kruscëv a demolire il Mito. L’impero napoleonico durò molto di meno. Tuttavia, Napoleone ci ha lasciato un’opera mirabile, il Code Civil, che rispecchia i principi della rivoluzione francese. Ma, lo confesso, tra il geniale Bonaparte e Saint-Juste, che mirava alla purezza della Repubblica e che morì a ventisette anni – non pronunciò una parola, dopo essere stato arrestato, in segno di disprezzo verso i signori del Termidoro – tutta la mia simpatia era ed è per quest’ultimo.
Allora, ho vissuto un lungo periodo di tempo. L’impressione però, ora che l’ho vissuto, è che tutto si sia svolto rapidamente.
Una lunga sequenza di giorni. Eppure, il ricordo restringe lo spazio temporale, concentra azioni, immagini, sensazioni, sentimenti, passioni, come se fossero di ieri appena.
Ecco allora il perché del titolo, Appena ieri, della raccolta dei miei pensieri, foglie caduche e leggere di un vecchio arbusto dal cuore giovane, foglie caduche che il ritmo frenetico della vita trascina via…