LA LEZIONE DEL SUDAFRICA

Qualifiche dell'autore: 
capo del Dipartimento delle cure sanitarie e primarie e di medicina familiare presso l'Universtià medica del Sudafrica (Medunsa) a Pretoria

Intervista di Alessandra Guerra

Che importanza ha il corpo nella cultura e nella lingua africana oggi?

Nella cultura del Sudafrica non c’è nessuna preoccupazione per la forma del corpo. Preoccuparsi del sovrappeso, come accade in Occidente, è del tutto inconcepibile…

Ma nel cosiddetto discorso amoroso?

In Occidente un uomo dice a una donna “Ti amo”, e viceversa una donna a un uomo. In Sudafrica, nella mia cultura, quella zulu, la parola “amore” non si usa nelle relazioni interpersonali ma solo in quelle parentali, per esempio tra fratelli, tra sorelle, tra zii e nipoti, genitori e figli. Uomo e donna non hanno bisogno di questa parola. Si guardano e capiscono che si amano, basta il linguaggio del corpo, non c’è bisogno di ripeterselo tutti i giorni. Ci sarebbe il sospetto che qualcosa non va tra loro, magari che c’è un altro o un’altra, e che ripeterlo possa servire a nascondere qualche segreto.

Qual è la situazione politica in Sudafrica oggi?

Ai drammatici conflitti degli anni Novanta sono seguiti drammatici cambiamenti della scena politica e sociale in Sudafrica, in tutte le città, non solo a Pretoria. C’è stata una separazione di aree residenziali, ma nelle aree rurali gli agricoltori bianchi vivono in totale segregazione, credono nell’apartheid. Oggi però sta avanzando una nuova classe di gente di colore che gode di una certa fiducia in se stessa, gente che frequenta i college, va nelle migliori scuole e sta formando quella che si potrebbe chiamare in termini sociali una nuova borghesia nera. Non sono in molti, ma costituiscono una minaccia per i bianchi, perché fanno pressione all’interno del governo. Per fare un esempio, una società oggi deve avere nel suo staff manageriale almeno il settanta per cento di neri, il restante trenta per cento può essere costituito di bianchi.

Questo è stabilito per legge?

Sì, Mandela ha detto che doveva essere così per dieci anni. Poi ci sono, per esempio,  società del settore minerario – per l’estrazione e la lavorazione di diamanti e metalli preziosi – in cui i neri sono addirittura il cento per cento.

Qual è oggi la politica del sistema sanitario per affrontare il problema dell’Aids in Sudafrica?

Da tre anni, grazie alla Fondazione Verdiglione, vengo in Italia e tutte le volte mi pongono questa domanda. Il Sudafrica ha il sistema sanitario più qualificato dell’Africa, il migliore. Sappiamo che l’undici per cento degli africani ha l’Aids. L’undici per cento. Ma la questione che mi pongo io, che si pone Mandela e che si pongono molte persone nel mio paese è che ne è del restante ottantanove per cento. Perché nessuno si preoccupa di quell’ottantanove per cento? In Italia sono tutti impegnati nella lotta contro l’Aids. E le altre malattie? Noi siamo fiduciosi nella distribuzione delle risorse, ma bisogna fare attenzione. Le case farmaceutiche americane che producono farmaci in eccesso potrebbero avere bisogno di venderli all’Africa. Allora, noi diciamo no, il nostro problema principale è la povertà. Non abbiamo cibo e non abbiamo lavoro. In assenza di cibo interviene l’immunodepressione e immunodepressione vuol dire Aids. L’Aids non interviene a causa delle pratiche sessuali. In Europa e negli USA sì che le pratiche sessuali sono diffuse e si fa sesso dappertutto, ma non in Africa. È un pregiudizio occidentale pensare che in Africa ci sia tutto questo sesso.

Per questo, lo ribadisco, l’Africa non ha bisogno di farmaci, ma di cibo e di lavoro.