LA META IN VIAGGIO

Qualifiche dell'autore: 
presidente di M.E.T.A. s.p.a. (Modena)

Intervista di Anna Spadafora

Può dirci qual è oggi il ruolo di un’ex municipalizzata sulla scena dell’economia e della finanza? Se un tempo META era fornitrice di servizi per la città, oggi che cosa cambia, soprattutto in seguito alla quotazione in Borsa?

La sfida di META, come di tutte le municipalizzate che affrontano le procelle della finanza, il mare della quotazione in Borsa, è quella di essere un’azienda di eccellenza per l’erogazione di servizi, che non deve perdere la tradizione di radicamento col territorio e però deve trovare nel capitale finanziario, nella fiducia che gli azionisti le affidano, molte più risorse di quelle che un tempo le davano sia gli enti locali che ne erano proprietari sia l’autofinanziamento che essa produceva. Accanto alle due fonti classiche, l’autofinanziamento e i tributi – perché la teoria delle imprese pubbliche municipali è una teoria della finanza pubblica, che poi è una teoria dell’imposta –, le municipalizzate oggi hanno il capitale che reperiscono sul mercato finanziario. Naturalmente, questo dà un vincolo e un’opportunità nuova a queste imprese, che ora devono anche remunerare gli azionisti. Al controllo che prima veniva dalla cittadinanza e dal potere politico, oggi si affianca l’efficienza che bisogna dimostrare al mercato finanziario. Per l’impresa è un’espansione…

Lei nei suoi libri parla spesso di funzione sociale dell’impresa…

L’impresa non è solo un ente economico, è un’associazione a cui la divisione sociale del lavoro ha dato la funzione di produrre il sovrappiù, che si può chiamare in tanti modi – valore aggiunto, profitto –, ma non è detto che la finalità dell’impresa sia solo quella economica, perché di fatto essa ha anche altre finalità. L’impresa è un’associazione di persone che può anche avere dei fini morali – ci sono grandi imprese che hanno grandi fondazioni, fra cui per esempio Unicredit, di cui sono consigliere di amministrazione, che ha costituito una fondazione non bancaria ma per operare all’estero, in Africa per esempio, prendendo a modello le grandi fondazioni americane e tedesche. Poi l’impresa ha una funzione sociale se vuole averla, se, oltre a soddisfare le finalità economiche, vuole curare la propria comunità, oppure aumentare il grado di motivazione dei propri dipendenti sostenendo le loro azioni di volontariato sociale. L’impresa, già nel suo stesso porsi è un attore sociale, a livello economico, in quanto distribuisce reddito, crea classi sociali, crea cultura. Però, se in più ha una buona dirigenza e dipendenti motivati che credono nel valore morale delle loro azioni, è anche un formidabile attore di trasformazione e di educazione extraeconomica.

Che cosa fa META in questa direzione?

Vogliamo sentire che cosa fanno le fondazioni culturali della città ma anche i piccoli comuni -– che sono nostri azionisti, tra l’altro – e varare un progetto di comunicazione, come si dice nel managerialismo imperante ma che io chiamo progetto transitivo dell’impresa con la società, transitivo perché l’impresa non è separata dalla società. Che cosa si riceverà? Bisogna in primo luogo donare.

Possono rientrare in questo progetto iniziative rivolte alle scuole?

Certo. Già attualmente, META ha una presenza nella scuola per l’educazione all’ambiente, intesa come attenzione sia all’ecologia e all’ecosistema, sia al tema dello smaltimento dei rifiuti, che è qualcosa di più dello smaltimento dei rifiuti in sé, vuol dire educare al senso civico di pensare alle generazioni future e rompere le abitudini mediterranee – gli antropologi quando vengono in Italia dicono che qui vale il motto “casa pulita strada sporca”, diversamente da altri paesi in cui la casa può anche essere un po’ sporca ma la strada non può non essere pulita. META, in quanto azienda che si occupa di ambiente, di ecosistema e di qualità della vita – e la pulizia delle strade è un aspetto importante della qualità della vita –, fa molte iniziative con le scuole. Poi abbiamo un programma importante rispetto a una delle forme di disagio sociale più terribile, la droga: facciamo la raccolta differenziata delle siringhe. La prima persona che ho incontrato venendo a Modena è stato il Prefetto, perché oltre che per i problemi di sicurezza ambientale nella distribuzione del gas, per esempio, con la Prefettura collaboriamo su questo piano della raccolta di siringhe. Già META fa delle cose, vorremmo farne di più…

Per esempio, nella comunicazione dei programmi per l’ambiente?

È essenziale. Noi non facciamo ancora abbastanza, dobbiamo fare molto di più, interfacciando sia il cittadino sia il cittadino che diventa nostro cliente, e soprattutto nelle piccole realtà, in montagna, ma anche in pianura. E dobbiamo avere progetti di altissima qualità, perché qui ci sono comuni che sono tra i più ricchi al mondo, siamo nel cuore della ricchezza europea, con un’alta qualità della vita. Quindi, dobbiamo pensare a un’offerta di comunicazione e di servizi, anche culturali, all’altezza. Però penso che la città di Delfini, con le sue radici, possa spronarci, abbiamo bisogno che ci sia un controllo sociale in senso buono, una transitività, una cittadinanza d’impresa, abbiamo bisogno di diventare parte della cittadinanza e di questa società civile.

Forse non è un caso che una delle prime conferenze in Italia di Emilio Fontela sul brainworking si sia tenuta proprio a Modena, in collaborazione con l’Università.

Credo che il tema del brainworking sia un filone di pensiero che in qualche modo si collega a quello del knowledge management e dell’impresa dell’apprendimento. Credo che occorra lavorare su quello che in tedesco si chiama Beruf, che è qualcosa di più dell’educazione, è un miglioramento intellettuale molto più intenso, si potrebbe tradurre con la vocazione, la missione. Penso che il brainworking nell’impresa dovrebbe aiutare soprattutto i giovani a scoprire il loro Beruf, la loro vocazione.

Può esserci questa scommessa per il suo mandato a Modena?

Io sono un viandante. Passo per le città, sono passato per Siena, dove avevo un compito diverso, quello di riportare l’azienda alla legalità. Qui non c’è questo problema, però non mi nascondo che il compito è altrettanto difficile, ma io spero di continuare a essere un deviante, perché la devianza aiuta a inventare. Non mi normalizzeranno, ma spero di fare il mio lavoro per il tempo che sarà necessario.