MAI PARTIRE DA SCHEMI PRECOSTITUITI
Intervista di Anna Spadafora
Il settore Ricerca e Sviluppo concerne sicuramente il lavoro di cervello e in Oil Control sembra che ce ne sia parecchio. Ma, a proposito di questo tema a cui anche in questo numero della rivista è dedicata una rubrica, il brainworking, in che modo sono coinvolti i collaboratori nel cervello dell’impresa?
C’è un’intelligenza distribuita. La nostra ricetta, non necessariamente applicabile altrove, è quella di avere delle competenze ben distribuite a tutti i livelli. Non è possibile gestire un’organizzazione con una mente pensante che stia solo al vertice e si occupi in maniera dirigistica di tutte le decisioni chiave di tutti i processi. Nella nostra azienda c’è una direzione generale, ma il discorso è ancora più complesso perché essa fa parte di un gruppo – di cui è capogruppo –, che ha 950 dipendenti e 130 milioni di fatturato, un gruppo piuttosto ampio e distribuito dal punto di vista territoriale: Oil Control a Nonantola, Edi System a Modena, Tarp a Pavullo, LC Oleodinamica a Vezzano (Reggio Emilia) e Oil Sistem a Reggio Emilia. Poi ci sono una serie di consociate estere, che fanno principalmente commercializzazione, ma non solo, alcune hanno piccole unità produttive per servire il mercato locale con prodotti di piccola serie, utilizzando magari parti di componenti che vengono dall’Italia, ma costruendo in loco il collettore. Al momento, siamo rappresentati con nostre aziende negli USA, in Cina, in Inghilterra, Danimarca, Olanda, Germania e Francia, mentre sugli altri mercati lavoriamo attraverso le terze parti dei distributori. Ma, in ogni caso, il tipo di lavoro che facciamo richiede grande competenza anche in periferia, quindi, presso le varie sedi e i distributori, perché quello che forniamo noi non è un prodotto standard, il 75% è dato da prodotti particolari, quindi, siamo coinvolti fin dall’inizio nel disegno della macchina sulla quale andranno poi a essere installate i nostri componenti. Sviluppiamo un componente ad hoc per ciascun cliente, naturalmente, utilizzando moduli della componentistica standard, però almeno il collettore è quasi sempre speciale. Questo dà dei vantaggi, prima di tutto perché ci mette nella posizione di essere più difficilmente scalzabili dalla concorrenza, la quale si troverebbe a dover fare un prodotto come il nostro di sana pianta, non avendolo in catalogo; e poi perché ci consente di dare soluzioni nettamente migliori rispetto a quelle che offrono altre aziende del nostro settore.
Come ci riuscite?
Una delle cose che facciamo, diversamente da ciò che fanno tutti gli altri e da ciò che dice la Bibbia della produzione, è internalizzare le lavorazioni. Noi abbiamo iniziato facendo fare tutto all’esterno, mentre all’interno avevamo solo i collettori. Ma, con il passare degli anni, abbiamo incominciato a fare le cose internamente: o abbiamo creato aziende o abbiamo acquisito aziende che erano nostre fornitrici. Il primo motivo per cui abbiamo adottato questa strategia è dovuto al fatto che abbiamo sempre cercato di posizionarci, dal punto di vista della qualità e, in qualche misura, anche del prezzo, a un livello alto. Non solo, quindi, abbiamo cercato di raggiungere grandi capacità di engineering, di seguire il cliente e aiutarlo a fare una macchina migliore, ma anche di mantenere un’alta qualità nei prodotti: trattamenti superficiali di un certo livello, difettosità molto basse e, possibilmente, essere due o tre anni più avanti degli altri, sia con la tecnologia della produzione sia con quella del prodotto. Questo ci consente di elevare barriere all’ingresso difficilmente superabili. E in effetti in Italia da vent’anni non nascono più aziende nostre concorrenti. La seconda ragione per cui abbiamo adottato la strategia dell’internalizzazione è data dal fatto che controllare tutta la catena del valore, quindi, tutta la produzione, dal disegno alla progettazione, alla produzione, alla componentistica, alla torneria e quant’altro, ci consente di fare cassetta a diversi livelli. Accade che, per esempio, un pistoncino lo vendiamo alla Oil Control e ci guadagniamo qualcosa, Oil Control infila il pistoncino in un collettore, lo vende alla filiale e ci guadagna qualcosa, la filiale lo vende al cliente e ci guadagna qualcosa. Allora, quel pistoncino lo vendiamo tre volte. Se invece lo comprassimo da un fornitore esterno, lo venderemmo solo due volte. Controllare tutta la catena del valore ci dà la possibilità di allocare il profitto dove ci è più comodo e, soprattutto, ci dà un margine competitivo notevole, nel senso che noi abbiamo ampie possibilità di battagliare sul prezzo, quando è necessario; non che ci piaccia, ma quando è necessario si fa, soprattutto con clienti che sono grandi costruttori, penso a Caterpillar e CNH, aziende molto organizzate e strutturate al cui interno tante persone si occupano solo ed esclusivamente dei costi. L’abilità commerciale sta anche nel riuscire a valutare fin dove ci si può spingere, quando si può dire di no e quando si deve dire di sì, o quando si deve dire “Sì, però trattiamo”. Inoltre, bisogna essere costantemente attenti e sapere quello che succede a casa del cliente, per questo cerchiamo di ampliare ulteriormente la nostra rete commerciale diffusa in tutto il pianeta, perché noi abbiamo bisogno di visitare i clienti costantemente, alcuni anche una volta alla settimana. L’azienda in fondo è una rete di relazioni, è fatta essenzialmente di persone e di relazioni. Poi, certo, ci sono anche le macchine e il know how, ma l’essenziale è dato dalle persone e dalle relazioni.
La scommessa è grande, perché per voi è come avere tante botteghe in varie parti del mondo. Il cervello e la bottega si danno la mano, perché non esiste lavoro di cervello se non nella bottega dove ciascuno deve fare tante cose…
La versatilità è fondamentale per due motivi: prima di tutto perché bisogna avere una conoscenza approfondita. Non solo a livello tecnico commerciale, ma anche a livello dell’area gestione bisogna avere un’idea piuttosto precisa del modo in cui l’azienda lavora – per questo è molto utile fare un percorso passando del tempo almeno in due o tre reparti chiave: l’area prove e sviluppo, ma è molto utile, anche per chi vuole arrivare a un livello molto alto, un periodo di formazione in officina, sul prodotto, con le mani nell’olio. È un’esperienza preziosa che ho fatto anch’io appena laureato per sei mesi, prima al montaggio e collaudo e poi all’assistenza tecnica a prodotti ritornati per difetti. Non è stato facilissimo per un laureato in giurisprudenza, ma oggi posso vantare una conoscenza manuale e fattuale del prodotto, delle problematiche e dei difetti più diffusi (parliamo di uno 0,1% di prodotto ritornato, che è poco, ma che occorre saper affrontare).
Ma dalla testimonianza che dà sembra un direttore commerciale…
Mi occupo anche di questioni commerciali. Non esiste un problema che, se arriva sulla mia scrivania, io possa dire “Non è mio”, anche se non c’è scritto nell’organigramma. Ma mi ritengo fortunato per questo. Poi certi giorni magari non so da che parte incominciare. Però, avere la fortuna di lavorare in un’azienda dinamica e vincente come la nostra, avendo un panorama complessivo di quello che essa fa e delle sue strategie, consente di fare un lavoro molto vario, che allontana la noia. Occuparsi delle cose più disparate è decisamente bello. Quando lavoravo in officina e passavo la giornata a montare lo stesso tipo di valvola, arrivare fino a sera non era proprio il massimo. Però, questa esperienza mi è servita negli anni successivi, quando abbiamo pensato di rendere meno noioso il lavoro in officina. Obiettivo principale era quello di avere la minore difettosità al collaudo finale e ci siamo resi conto che il modo migliore era quello di rendere più vario il lavoro delle persone, perché se il lavoro è più vario la gente è più attenta, si distrae di meno e fa meno errori. Abbiamo riorganizzato il lavoro in modo che la stessa persona che monta collauda ciò che ha montato. Quindi, per un’ora monta e per un’altra collauda, con il vantaggio che la persona che monta è responsabile di tutto il ciclo, ossia, se fa un errore lo paga. Ecco che così è molto più attenta, si annoia di meno e crea all’azienda degli skills di riserva. Infatti, noi puntiamo a un’officina – meno un ufficio, perché la parcellizzazione non è tanta – con persone jolly, non persone che siano in grado di fare tutto, ma persone che siano in grado di fare con uguale competenza tre o quattro lavori, in modo che, quando c’è un’epidemia d’influenza o un sovraccarico in un reparto, siamo in grado di riallocare le persone con maggiore elasticità. Che questo funzioni, non solo per l’azienda, ma anche per i collaboratori, è indicato dal fatto che, dal 1977, non abbiamo mai avuto grossi problemi sindacali.
Noi cerchiamo di essere smart, adaptive: c’è un problema? Mai partire da schemi precostituiti. Di un problema si parla e si trova una soluzione, originale, la migliore possibile. Non bisogna mai essere legati agli schemi, gli schemi sono perdenti perché sono rigidi. Lo stesso manuale della qualità è un documento che esiste ma che cambia ciascuna settimana, perché non è il manuale della qualità che guida l’azienda, è l’azienda che guida il manuale della qualità. Le procedure non sono da consacrare. Se ci si rende conto che si può fare in un modo migliore si scrivono nuove procedure. Non è una cosa tanto compresa in giro per le aziende, e più grande è l’azienda e meno è compresa. Il manuale delle procedure e quello della qualità devono dire come si fanno le cose, non sono testi immutabili né i dieci comandamenti ricevuti da Mosè sulla montagna, sono le fotografie del modo migliore di fare le cose in quel momento. Poi, siccome per fortuna qui c’è gente sveglia e pronta ad ascoltare quando qualcuno ha un suggerimento, il manuale delle procedure si evolve costantemente, con un po’ di disperazione del reparto qualità che deve correre dietro al resto dell’azienda piuttosto che viceversa, però funziona bene. E in questa maniera si tutela nel modo migliore la bottom line del conto economico.