LA CITTÀ STRUMENTO DEL VIVERE
I significanti ambiente e città suscitano riflessioni su argomenti che in qualche modo riguardano ciascuno e richiamano i concetti del cosiddetto “benessere” e della “qualità della vita”. Grazie al libro di Sergio Mattia, L’ambiente, la città, i valori, è stato possibile instaurare un ragionamento proprio su questi temi, rispetto ai quali ciascuno diviene interlocutore e provoca all’ascolto di qualcosa di inedito. Nel libro sono indicati i presupposti di quello che viene oggi chiamato “sviluppo sostenibile”, per uno sviluppo armonico dei vari fattori del progredire umano e per il futuro soddisfacimento dei bisogni e delle aspirazioni umane. Il testo ci consegna la ricostruzione storica dei protocolli e degli accordi internazionali che hanno introdotto questo concetto, che sembrano avere ben presente come obiettivo “il benessere dell’uomo”, affinché viva in un ambiente ideale, ma dove il valore consiste nel “salvaguardare la vita selvaggia” (così nella “Dichiarazione sull’ambiente umano”, Stoccolma 1972); salvaguardare quindi il naturalismo, il purismo dell’uomo animale, in una totale indifferenza in materia di umanità.
La difesa dell’ambiente in cui viviamo, nel modo comune di intendere, è un concetto su cui ognuno può dirsi d’accordo. Eppure, proprio su questo vorrei introdurre un ragionamento, una provocazione intellettuale, come avviene nel libro, perché quel che sembra emergere dalla lettura di questi trattati internazionali è che il cosiddetto ambiente debba prevalere sull’uomo, e che questa sia la soluzione al male costituito dalla presenza dell’essere umano, che sporca, inquina, consuma le risorse.
Occorre quindi riflettere sul fatto che, in qualsiasi settore del vivere, dalla medicina alla cura della città, venga teorizzata una ideologia che prospetta il male dinanzi, la fine, la catastrofe, che occorre prevenire, di cui occorre trovare una soluzione, in direzione di un presunto bene, della salvezza che altri, i professionisti, possono garantire.
Discutere dell’ambiente in termini interessanti e costruttivi può avvenire purché non si faccia di questo tema un ideale al punto che “in nome dell’ambiente e della natura incontaminata” tutto possa essere impedito, vincolato, limitato, che l’attività umana possa essere economizzata, trasformando ciò che è naturale in bene da contrapporre al male, costituito dalla presenza dell’uomo. Così dimenticando che anche la natura è “artifiziosa” come diceva Leonardo da Vinci, che l’opera dell’artista, dello scienziato non è mai conformista, e che città come Venezia, Firenze, San Gimignano sono lì a testimoniare che è con l’arte che si costruiscono le città, non con i vincoli urbanistici ed ambientali, quindi per un’astrazione, per la necessità della vita, della qualità e dell’occorrenza. In definitiva occorre riflettere sul fatto che queste opere d’arte non esisterebbero se si fossero rispettati i canoni oggi considerati necessari per il cosiddetto benessere dell’uomo. È necessario introdurre un approccio che possa invece integrare gli aspetti che concernono l’ambiente e la città nell’avvenire di ciascuno, e che questi significanti entrino in una differente lettura da quella convenzionalmente proposta. Certo occorre che le norme, le regole siano stabilite e che il disegno della città intervenga senza imporre sistemi e modelli ideologici che non tengano conto della particolarità, della differenza, di tutto ciò che stimola la creatività. Ciascun atto pianificatorio che concerna la città è necessario che intervenga con strumenti ispirati da una logica rivolta a favorire l’incontro, l’apertura, i dispositivi di parola. La città come strumento del vivere, non come bene in sé da conservare uguale e immobile, in una dettagliata regolamentazione, come se si potesse regolare la vita e le esigenze dei cittadini. Per cui, se bisogna tutelare i monumenti ed i centri storici, da salvaguardare e restituire in qualità, facendo sì che, valorizzati, divengano centri d’arte e di cultura, è anche necessario che altre invenzioni possano realizzarsi, perché la civiltà non è già data, ma occorre costruirla ciascun giorno e ciascun giorno restituire qualcosa di quanto ci è stato consegnato.
Il libro del professor Mattia è interessante proprio perché coglie la necessità di una integrazione dei vari aspetti cui ho fatto cenno, favorendo l’abbandono delle logiche settoriali e lo sviluppo di processi di cambiamento che tengano conto dell’imprevisto e imprevedibile evolversi dell’uomo, perché proprio la disarmonia, la differenza sono ciò che consentono di vivere, di inventare, non l’uniformità, l’armonia e l’uguale in qualsiasi forma si vogliano proporre. La stessa proposta di legge formulata dal professor Mattia è in direzione di una integrazione dello specifico di cui sono portatori il pubblico e il privato. L’introduzione di questi strumenti normativi sono provocazioni alla instaurazione di dispositivi pragmatici con le amministrazioni, di cui certamente occorre trovare il modo, soprattutto per intendere che le regole e le norme non sono da rappresentare in ostacoli insormontabili, astrattamente applicati in modo uniforme a ciascuna circostanza, senza tenere conto della differenza, dello specifico. Le norme e le regole sono stabilite perché le cose si facciano, per favorire l’iniziativa di chi vuol intraprendere. Non si tratta di combattere la burocrazia, ma di combattere verso la qualità, volgere la burocrazia in procedura altra per formalizzare le cose, per non limitarle. La logica imprenditoriale che permea istituti come il project financing, le società di trasformazione urbana, i programmi integrati vanno verso un differente modo di porsi l’interlocuzione tra l’imprenditore e la pubblica amministrazione, che divengono partner nella costruzione di un dispositivo intellettuale.
In definitiva, occorre discutere attorno alla cura della città senza il concetto di patologia e senza farmacologia. Occorre costruire la città secondo la logica della parola, dell’incontro, dell’apertura, dell’impresa, in uno sviluppo intellettuale, quindi insostenibile.