IL CONTRIBUTO INTELLETTUALE DELL'IMPRENDITORE
Quando viaggiamo su un aereo e pensiamo che dall’esterno ci separano solo pochi millimetri di alluminio, speriamo sempre che siano stati testati i bulloni che servono a tenere unito il telaio. Ma sappiamo che quei bulloni sono sicuri perché sono stati testati dai vostri laboratori della TEC Eurolab. E quando presto viaggeremo sul nuovo Boeing 787, che non avrà più bulloni – perché l’alluminio sarà stato sostituito da plastica e materiali compositi e i bulloni da colle –, potremo continuare a stare tranquilli, perché voi avete gli strumenti più avanzati per controllare anche le plastiche. Lo studio professionale che lei e Alberto Montagnani avete aperto nel 1995 oggi è un’azienda di eccellenza a livello mondiale, con oltre sessanta dipendenti altamente specializzati e clienti prestigiosi come l’Alenia Aeronautica, la Boeing e la Ferrari. Com’è avvenuta la trasformazione e quali sono le ipotesi per l’avvenire?
Passare da un’impresa di tipo familiare a una più manageriale risulta difficile e rappresenta anche una sfida. Ma L’impresa, oltre i soci fondatori è un tema di cui ci siamo occupati fin dall’inizio, con l’obiettivo di dare un avvenire all’impresa, che andasse oltre l’attività, l’impegno e la vita dei soci fondatori. Dopo tanti anni, si sente il bisogno di crescere e ci si chiede in che modo: è necessario rivedere l’organizzazione ordinaria e strategica, quindi conferire importanti deleghe e dare all’imprenditore uno statuto differente, quello d’indirizzo, che deve avere chi decide la politica dell’impresa. Se si crede veramente in ciò che si fa, bisogna saper delegare alcune responsabilità, operando su un piano diverso, non più attraverso il rapporto direttivo dell’imprenditore con il responsabile tecnico o con quello della qualità, perché ora questo rapporto lo gestisce il direttore generale.
Tante imprese piccole mirano a diventare medie, ma sono spaventate dalla difficoltà di costituire dispositivi di gestione con i collaboratori. In questa trasformazione occorre tenere conto però che le deleghe non comportano una dimissione rispetto alla responsabilità e all’autorità, perché l’imprenditore continua a dare un contributo intellettuale all’impresa che è insostituibile...
In varie occasioni abbiamo avuto modo di parlare dell’imprenditore quasi come di un artista, di un brainworker: nel fare impresa in un modo particolare e specifico, egli ha un approccio artistico, nel senso che deve trasporre qualcosa in qualcos’altro. Se l’imprenditore è libero di staccarsi dall’operatività quotidiana, può perfino ragionare su temi che apparentemente sembrano poco connessi con il successo economico dell’impresa, ma che in realtà sono determinanti. Parlo dei valori intangibili interni ed esterni all’impresa, e questo vale in modo particolare per quelle imprese in cui c’è un’alta percentuale di lavoro intellettuale, con un peso significativo riscontrabile anche nel conto economico.
Possono nascere interessanti iniziative, abbinando all’impresa anche l’aspetto della responsabilità sociale e facendola vivere non come qualcosa di esterno, come atto di beneficenza, ma come qualcosa che sia strettamente connesso alla vita dell’impresa e alla sua integrazione con il territorio. Questo lavoro non può essere svolto dal responsabile tecnico o della qualità, perché richiede una regia, che deve essere quella dell’imprenditore, il quale deve avere il tempo di pensare alle iniziative, idearle e connetterle strettamente con la vita aziendale, facendo in modo di condividerle con i collaboratori. Uno dei nostri progetti per il 2009 è proprio quello di costituire una commissione interna dedicata alle iniziative in ambito di responsabilità sociale d’impresa.
L’economia mondiale sta vivendo un momento di grande crisi e molti economisti ripetono che occorre tornare all’economia reale, abbandonando la finanza che è responsabile di tale crisi. Eppure, la finanza non è soltanto quella delle grandi speculazioni: se ciascun imprenditore giunge al capitale è soprattutto perché nel suo itinerario c’è la finanza, intesa come l’idea che le cose non finiscono (il termine latino finis si può leggere come istanza di conclusione anziché come fine), la sola idea che stia nella logica dell’infinito dell’impresa. Allora forse non è la finanza in sé a essere difettosa, ma chi la considera uno strumento per rendere possibile qualsiasi cosa.
Mi pare interessante questa distinzione, tanto più perché non sono affatto contento dell’attuale mondo finanziario che si pone come nemico: le banche, per lo più, sono sempre pronte a mettere in dubbio la solvibilità del piccolo artigiano o della piccola impresa, chiedendo garanzie personali su piccoli mutui, mentre elargiscono ingenti finanziamenti per strutture di cui non si conosce la natura. Nonostante tutti siano d’accordo sull’esigenza di essere competitivi come territorio, modenese o emiliano, nel mercato globale, le stesse banche che in passato hanno accompagnato l’economia e lo sviluppo attraverso le loro operazioni di finanza oggi preferiscono di gran lunga investire nei subprime americani, piuttosto che scommettere sulla piccola impresa. Questo utilizzo della finanza non è certamente a favore dello sviluppo territoriale o a sostegno delle aziende. Sarebbe forse utile che le associazioni imprenditoriali facessero più lobbying e creassero più interesse dei cittadini verso le imprese, che purtroppo ancora oggi sono guardate come realtà a se stanti e lontane dalla vita della città e della società. È necessario ristabilire l’obbligo di creare e distribuire valore: lo fanno le imprese, perché non dovrebbe farlo anche la finanza? Si può benissimo produrre in Cina e investire in Italia, ma è essenziale che si finanzi qualcosa che contribuisca realmente allo sviluppo delle nazioni e delle persone e al miglioramento del loro tenore di vita.