LA SALUTE, ISTANZA DI QUALITÀ DELLA VITA
Il libro di Giancarlo Comeri Medicina di vita (Spirali) è una narrazione straordinaria, è la novella di una medicina autentica e scientifica. Medicina come ricerca, come arte, come esperienza. In questo senso, medicina come scienza, in quanto ricerca, esperienza, battaglia di parola, non come scientismo, che ha trasformato molto spesso la medicina in un discorso, nel discorso medico, che poggia su alcune caratteristiche ben delineate da questo libro.
Un esempio di come la medicina risulti un discorso formale e protocollare più che un’effettiva scienza basata sull’essenziale è proposto da Comeri a pagina 43: “Moltissimi farmaci saggiati e moltissime combinazioni, in realtà, allungano la vita solo di pochi giorni o di poche settimane, magari a scapito della qualità della vita stessa, che è invece, a mio modesto parere, il parametro più importante di cui tenere conto. Pertanto bisogna sempre valutare, ripeto, nel singolo paziente, i vantaggi ottenibili dall’utilizzo di alcuni farmaci che oggi l’industria farmaceutica ci mette a disposizione, perché spesso dobbiamo constatare una tossicità maggiore di quella dichiarata, che pone seri limiti all’utilizzo di molecole che pure vantano sulla carta eccellenti possibilità terapeutiche”. Comeri è molto preciso nel sottolineare questi aspetti, senza settarismi e senza porsi in una logica dell’alternativa, ma mettendo in questione quell’approccio che, nel migliore dei casi, possiamo definire formalmente corretto, ma in realtà, molto spesso, scarsamente efficace, se non dannoso.
Un altro aspetto che viene colto nel libro di Comeri è il dogmatismo inerente al discorso medico, che si esplicita in modo spesso autoritario, per esempio nel tentativo di stabilire un rapporto medico paziente, anziché nella costituzione di un dispositivo di parola con il paziente, che è il protagonista della cura, per cui non può essere colui che la subisce. È inoltre protagonista della propria vita e della propria salute: non può delegarle del tutto ad altri, di cui comunque deve avvalersi. Una causa dell’assenza di dispositivo con il paziente è quella che definirei una fobia dell’incontro, che Comeri riassume così: “Molti colleghi vivono come un peso l’incontro con il paziente, che invece è fondamentale per potere inquadrare tutti i problemi, come qualcosa che distoglie dall’ordinamento preferito, nel caso del chirurgo l’attività di sala operatoria”. Nella propria esperienza ciascuno avverte che la parola e l’incontro sono difficili: occorrono l’intendimento, l’ascolto, l’intervento, mentre molto spesso siamo portati a trincerarci dietro una conoscenza tecnica, un modo di fare automaticistico.
Comeri nota che questo atteggiamento diventa, in taluni casi, un rifiuto della novità. Infatti spesso c’è chi preferisce mantenere tecniche e macchine con cui ha lavorato per tanti anni, guardando con sospetto proposte di cure che giustamente Comeri definisce non alternative ma complementari, come quelle che si avvalgono di fitofarmaci e di altri tipi di esperienze. Farmaci e terapie che non sono da porre in alternativa e non devono scalfire la tradizione scientifica della medicina, ma che non possono essere rifiutati a priori, semmai indagati e utilizzati in modo appropriato.
Un altro limite della medicina, secondo Comeri, è quello di essere diventata troppo debitrice della statistica. Quindici anni fa invitammo a Bologna Georges Mathé, autore del libro 1999. L’uomo che voleva essere guarito (Spirali), in cui lo scienziato ipotizzava il futuro di una medicina fatta di statistiche e di analisi computerizzate, futuro ormai prossimo. Leggo a tale proposito un’altra frase del libro di Comeri, a pagina 91: “Sì, perché la statistica è un po’ confondente, nel senso che, fatta sui grandi numeri, porta a livellare i risultati e quindi non riesce a far cogliere nel particolare, per esempio, gli aspetti salienti di alcuni farmaci utilizzati o di alcune patologie studiate. La statistica tende ad appiattire”. Qui Comeri sottolinea che la vita non è piatta, ma è ricca di sfumature, di pieghe, di differenze, di varietà; così standardizzare – la questione degli standard è sicuramente un problema della medicina – è un modo certamente comodo, ma scarsamente utile, perché non giunge a cogliere il caso di ciascuno e la sua particolarità. Inoltre, c’è il sospetto che questo discorso, anche con l’alibi delle statistiche, giunga a una sorta di “simpatia”, se non di coincidenza utilitaristica o di collusione, con gli interessi delle società farmaceutiche. Comeri racconta, come esempio, che nel bel mezzo dell’entusiasmo generale per l’interferone, lui e la sua equipe proposero a un congresso medico un poster che metteva in dubbio alcuni benefici conclamati di questo farmaco che, nei casi da lui verificati, non era risultato per nulla utile. Naturalmente le sue annotazioni furono ignorate, mentre furono sostenute dalle case farmaceutiche quelle che celebravano le virtù dell’interferone. Ma, negli anni successivi, questo prodotto si dimostrò inefficiente, se non dannoso.
A una lettura cifrematica, questo libro pone questioni essenziali, come quando nota l’importanza della domanda: “Una cosa è la domanda espressa, la domanda che porta la persona a una visita, a un consulto. In realtà c’è il bisogno profondo, anche se inespresso, di essere presi in considerazione nella propria totalità. Il malato, la persona che soffre, che ha un problema, chiede innanzi tutto di essere ascoltato come persona”. In un brano precedente aveva affermato: “In ogni momento della nostra vita, nella relazione, nel momento in cui incontriamo una persona malata dobbiamo avere la capacità di leggere al di là delle problematiche spicciole di chi ci sta di fronte il tipo di domanda sottesa, che è sempre un richiamo alla totalità dell’uomo, quindi al bisogno di una salute completa”. Ma questo è anche il principio su cui si basa la psicanalisi: Freud fu il primo a prendere sul serio chi enunciava quelli che altri avevano giudicato simulazioni o problemi di poco conto, cogliendo che non si trattava di una richiesta di soluzione rapida e indolore, ma di un modo di affrontare una questione che è sempre questione di vita. Questi concetti si radicalizzano in pagine successive del libro, come a pagina 54: “La malattia non è semplicemente un problema di medicina: è una domanda di aiuto, di amore, di senso. La malattia è qualcosa che tocca la carne, è l’evento in cui ci accorgiamo delle esigenze prepotenti e delle grida del nostro corpo, che è stato per anni, forse per tutta una vita, un servitore devoto, silenzioso, molto discreto, e che ora si ribella, diventa esigente. Ci accorgiamo che non siamo padroni di noi stessi, del nostro corpo e del nostro destino”.
Può intervenire un problema (o possiamo imbatterci in un guaio) che esige che ciascuno di noi faccia più attenzione a una serie di cose che aveva trascurato e che, invece, a un certo punto, sono irrimandabili. In questo senso quella che sbrigativamente viene definita malattia avvia un altro tempo, che esige che ciascuno instauri nuovi dispositivi, nuovi modi organizzativi. Quando Comeri dice che non siamo più padroni di noi stessi mi rammenta Freud quando scrive che, con l’invenzione dell’inconscio, l’Io non è più padrone in casa propria. La comune educazione, che è aristotelica, ci ha abituati a pensare di padroneggiare le nostre vicende, le nostre vite, poi qualcosa ci ricorda che non siamo padroni del nostro destino, anche se non c’è predestinazione. Ciascun giorno ci troviamo nella battaglia, i cui esiti sono assolutamente incerti, per cui non possiamo mai rifarci a precedenti. Ecco allora un altro aspetto, attestato dalla pratica di Comeri, che mi sembra essenziale: occorre cercare le cause, non insistere sui sintomi in quanto tali. Pensiamo alle cosiddette problematiche sessuali maschili, cui l’autore dedica due bellissime pagine del libro. Come a proposito del trattamento con il Viagra, che in alcuni casi copre problemi enormi che l’uso del farmaco, finita la sua azione, non risolve, anzi rende ancora più drammatici, soprattutto in caso di assuefazione. Cogliamo una disposizione all’ascolto nella pratica di Comeri, anche quando tende a combinare differenti approcci terapeutici, anziché rifiutare le novità. Per esempio, quando combina la chirurgia con la medicina olistica, o il laser con gli ultrasuoni, in modo da non escludere nessuna ipotesi in nome di uno schieramento o di una presa di posizione, nel migliore dei casi ideologica, in altri dettata addirittura da interessi economici. Comeri dà un contributo, senza pregiudizi, alla questione essenziale per ciascuno, la questione della salute. In questo testo c’è un’istanza di verità: non allineandosi alle terapie imperanti, cercando costantemente l’innovazione nella scienza e nella tecnica, l’autore non si accontenta delle soluzioni facili e indica che la questione della scienza non è mai una questione chiusa, ma esige l’istanza di verità. Non sorprenda allora che questo scienziato così rigoroso, che ha attraversato con la ricerca e con l’applicazione vari modi della terapia e vari strumenti d’intervento, resti aperto all’imponderabile, e addirittura non escluda il miracolo. Egli dedica alcune pagine a guarigioni che potrebbero essere definite miracolose, quasi a sottolineare che ci sono eventi che non sappiamo ancora intendere, che non sappiamo se riguardino Dio o qualcos’altro, ma che avvengono al di là della nostra presunta padronanza, al di là del principio cartesiano che pretende di spiegare tutta la realtà con idee chiare e distinte. In questo senso Comeri intende il miracolo, non necessariamente in modo scontatamente religioso: qualcosa accade, oltre le nostre facoltà, oltre le nostre conoscenze, oltre le nostre possibilità, eppure accade, ciascun giorno.
Il suo libro mi sembra importante anche perché sottolinea che la salute non è né un dono né un diritto, ma va conquistata e acquisita, ciascun giorno, è un’istanza di qualità della vita, non un’istanza di benessere. Oggi tutti confondono molto facilmente il benessere con la qualità della vita, mentre questo libro marca con esattezza la loro differenza. Proprio per questo il compito del medico non è dispensare certezze e facili soluzioni. Con la cifrematica la medicina di vita va oltre la battaglia alla malattia, coglie la malattia come pretesto per l’avvio di un itinerario di parola, e per l’instaurazione di dispositivi di qualità della vita.