L’AZIENDA: LA NOSTRA SECONDA CASA
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Nel suo libro L’imprenditore inatteso. Marelli: i primi vent’anni (1891-1911), Mario Magagnino nota che già nel 1905 per Ercole Marelli era importante la fabbrica “piena di luce”, mentre “tale idea troverà attuazione nel progetto di Adriano Olivetti solo alla fine degli anni quaranta del Novecento”. Per un imprenditore che ha contribuito alla nascita dell’elettromeccanica made in Italy e alla sua fama nel mondo, la fabbrica era “la casa di lavoro”, dove la salute degli operai era una priorità assoluta. Di questa cultura c’è traccia nella vostra azienda, sia negli stabilimenti produttivi, tanto luminosi che si ha l’impressione di stare all’aperto, sia negli uffici, dove prevalgono colori come il verde e il giallo che richiamano il paesaggio circostante affacciato sulle colline della Franciacorta. E pensare che questi edifici sono stati costruiti da suo nonno, Giovanni Mondini, ormai cinquant’anni fa…
È interessante affrontare l’argomento della “casa di lavoro” in un momento in cui stiamo costruendo una nuova casa per l’azienda – sempre a Cologne (BS), a meno di un chilo metro di distanza da qui – e stiamo dedicando tanta attenzione ai reparti produttivi, agli uffici e ai locali desti nati al customer center e all’innovazione, una casa bella che rispecchia la cultura dell’azienda. All’insegna dell’integrazione con il territorio del la Franciacorta, quindi della combi nazione fra tradizione e innovazione, abbiamo costruito la mensa all’interno della cascina già presente. Seguendo lo stesso criterio, la nuova costruzione – oltre ad attenersi alle più stringenti normative in materia di risparmio energetico – soddisfa tutti i requisiti di carattere estetico, per cui le forme architettoniche esterne sono studiate ad hoc per armonizzarsi con il paesaggio. Nell’area del customer center, inoltre, prevalgono gli open space per favorire il più possibile la comunicazione, l’incontro e i gruppi di lavoro con clienti e fornitori, anche perché abbiamo constatato che l’innovazione procede principalmente dallo scam bio, non dalla mente del “genio” che lavora in autonomia.
Poi abbiamo destinato all’esposi zione delle macchine un’ampia area, che include una camera bianca per riprodurre le stesse condizioni atmosferiche in cui lavoreranno le macchi ne presso i nostri clienti, allo scopo di testarle prima della spedizione.
Infine, per rendere l’azienda un posto appetibile, non
soltanto nell’orario lavorativo, ma anche nelle pause e nel post-lavoro,
davanti alla cascina che ospita la mensa abbiamo costruito un campo da calcio, che
darà modo ai col laboratori di svagarsi, soprattutto nei mesi un po’ meno
freddi.
L’accoglienza è uno dei termini che compaiono nel titolo di questo numero della rivista, La casa. La proprietà, l’investimento, l’accoglienza, e voi vi state preparando a un’accoglienza ancora più straordinaria di quella che già si avverte oggi entrando nella vostra azienda. Ma forse è proprio questa accoglienza che fa sentire le persone “a casa”, per cui la proprietà non è intesa più come il possesso dei muri della fabbrica, bensì come proprietà intellettuale alla quale contribuisce ciascuno: clienti, fornitori, collaboratori, manager e imprenditori. Ciascuno può dire che la Mondini è la “propria” azienda…
Infatti, sentendosi parte dell’azienda, ciascuno s’impegna in modo assoluto per la riuscita, non gioca al risparmio, vive il lavoro come uno strumento per vincere ciascuna volta una scommessa che non è soltanto dell’azienda, ma è anche propria, qualcosa a cui può dare il proprio contributo particolare e specifico. Questo poi aiuta a sentirsi come parte di una grande famiglia – anche se l’azienda non è una famiglia – nel senso che i collaboratori sanno di poter contare sia sui colleghi sia su di noi. Questo è anche uno dei motivi per cui mio nonno ha insistito così tanto e ha cercato in tutti modi di mantenere l’azienda a Cologne, di cui è stato anche sindaco dal 1975 al 1985, perché voleva che i collaboratori vivessero l’azienda come una seconda casa, in cui sentir si liberi di esprimersi. Dicevamo che l’innovazione sorge dall’incontro, ma come può esserci incontro se un collaboratore non avverte un clima di fiducia e si sente giudicato quando dice qualcosa che “non è in linea” con le aspettative di un ambiente di lavoro troppo rigido e formale, in cui ognuno si sente in competizione e cerca di mettere in difficoltà i colleghi?
Certo, l’incontro è essenziale anche per fare in modo che non ci siano i comparti menti stagni, ma collaborazione e, soprattutto, comunicazione, ovvero ciò che con sente di essere al corrente della globalità del progetto di cui ciascuno segue una parte…
Proprio in queste ultime settimane abbiamo avuto la prova dell’importanza dello scambio costante fra tecnici e progettisti durante il collaudo di una linea che ci ha aperto la strada nel settore medicale, un settore nuovo rispetto a quello per noi tradizionale dell’industria alimentare. Durante la messa a punto della macchina – una Trave Sinfonia –, i tecnici discutevano le modifiche con i progettisti, con l’obiettivo di far raggiungere alla linea il massimo delle prestazioni, e si avverti va che parlavano della macchina come di una loro creazione, interessandosi a ogni piccola miglioria per renderla perfetta. Mentre in alcune aziende più strutturate il progettista, una volta concluso il disegno del pezzo, difficilmente si confronta con il resto della catena produttiva, da noi segue i tecnici nelle varie fasi di montaggio e collabora con loro, dando suggerimenti pratici quando si accorge che hanno difficoltà a montarli, per cui illustra come montarlo sulla base del proprio disegno. Oppure sono i tecnici a suggerire una modifica al progettista, a partire dal la loro esperienza sul campo. È bello constatare che si sentono liberi di dare consigli l’uno all’altro, perché ciascuno intende che conta il risultato finale, ovvero conta che il cliente sia soddisfatto quando la linea che abbiamo costruito funziona. E questo rende ciascuno orgoglioso e fiero del lavoro svolto.
Può dire qualcosa di più sulla linea che avete costruito per questo nuovo mercato?
È una linea commissionata da un grande cliente olandese e destinata a un suo stabilimento in Polonia: abbiamo realizzato una soluzione finalizzata alla sostituzione di confezioni in plastica con confezioni in carta completamente sostenibili. Abbiamo progettato da zero questa linea che rientra nella categoria delle FFS (Form, Fill and Seal), ovvero impianti che formano i contenitori in carta, saldandone le alette, li riempiono con il prodotto e infine applicano la saldatura del coperchio, sempre in carta. Abbiamo disegnato tutta la catena della linea, dai disimpilatori per andare a mani polare il prodotto e renderlo disponibile all’inserimento nel vassoio, ai disimpilatori che vanno a prelevare i foglietti di carta, li formano, li saldano per poi andare ad accogliere il prodotto, alla macchina che esegue la saldatura finale del pacco pronto per essere messo in commercio. Abbiamo progettato e costruito questa soluzione ad hoc per questa azienda, che in realtà ne ha comprate due gemelle: una per la Polonia, che servirà il mercato europeo, e l’altra per il Nord America. Siamo in contrattazione anche per una terza linea che dovrà gestire il mercato asiatico.
Se un grande player del settore ci ha scelto, nonostante in questo ambito siamo alla prima esperienza, è per ché ha trovato in noi la disponibilità a lavorare più come partner che come semplici fornitori: non solo abbiamo dato risposte immediate fin dal primo incontro, ma abbiamo dato anche prove tangibili delle nostre capacità, quindi il cliente si è sentito fiducioso di lavorare con noi perché abbiamo costruito insieme qualcosa di incredibile che sul mercato è lo stato dell’arte a livello tecnologico, superando addirittura le loro aspettative.
In che senso?
Nel senso che abbiamo superato del 10% il target di produttività da loro richiesto inizialmente: la linea viaggia alla velocità di oltre settanta pacchi al minuto, ma la cosa sbalorditiva è il numero di elementi che riesce a inserire in maniera precisa all’interno, considerando la velocità molto elevata di tutti i robot che intervengono nel processo della loro integrazione.
Comunque, è stata anche una gran de soddisfazione perché, nonostante i competitors fossero aziende del settore, e anche molto più grandi di noi, siamo riusciti a conquistare il cliente, per cui per noi si apre una nuova opportunità.
Come diceva mio nonno in un’intervista per “Il Corriere della Sera”, alla fine, al centro c’è il prodotto, il prodotto e ancora il prodotto: possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo, ma in conclusione deve esserci il risultato, e la cosa più bella è raggiungerlo in una maniera in cui ciascuno si sente soddisfatto per avere dato il proprio contributo alla costruzione di valore per il cliente.
Poi, per fortuna, non c’è un solo progetto, ma una costellazione di progetti, però ciascuno ha la sua storia e ciascun progetto è la storia di un gruppo di persone che hanno un sogno e devono realizzarlo.