IL DIRITTO AL SOGNO IMPRENDITORIALE

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ingegnere aerospaziale, direttore Ricerca e Sviluppo, G. Mondini Spa, Cologne (BS)

Il termine imprenditore è antico – già nel Cinquecento designava il capitano di ventura –, ma soltanto nell’Ottocento in comincia a farsi strada la distinzione fra il capitalista, che richiede la remunerazione del capitale, e l’imprenditore, che organizza e gestisce un proprio progetto, anche se spesso capitale e organizzazione sono nelle mani dello stesso attore. Purtroppo, però, sempre nell’Ottocento, si formano sulla scia del marxismo una serie di pregiudizi, tuttora diffusi, che identificano l’imprenditore, oltre che il capitalista, in chi persegue un interesse economico e finanziario a tutti i costi, senza scrupoli e anche a scapito dei lavoratori e dell’ambiente in cui opera. Il tabù del profitto, però, in alcuni casi può portare alla negazione del diritto al sogno imprenditoriale…

L’imprenditore non è un individuo concentrato nel perseguimento del mero interesse economico, che sfrutta l’azienda e i suoi dipendenti per arricchirsi. Nelle testimonianze che sto raccogliendo per la redazione del libro intorno a mio nonno, Giovanni Mondini, fondatore della G. Mondini Spa, emerge che egli non considerava le assunzioni di nuovi collaboratori, nei momenti di importanti amplia menti aziendali, come strumento per aumentare il profitto e i guadagni, ma come occasione per aiutare un numero sempre maggiore di famiglie. Il profitto è imprescindibile da qualsiasi impresa, perché senza il profitto non c’è sviluppo e l’impresa non può neanche permettersi una qualità della vita negli ambienti di lavoro come quella che stiamo offrendo nelle attività di welfare aziendale. Ma il profitto deve essere condiviso con i collaboratori e con l’ambiente in cui l’azienda opera, per generare valore all’interno non solo dell’azienda, ma anche di tutte le famiglie dei suoi lavoratori. Infatti, se pensiamo al tessuto economico dell’Italia, l’intera società ha tratto beneficio dallo sviluppo industriale nato da imprenditori come mio nonno, che hanno messo i loro talenti a disposizione della comunità. Io non chiamerei imprendi tori coloro che operano al di fuori della legalità e senza un approccio etico verso il lavoro e la produzione.

Lei distingue giustamente fra il profitto e il valore, anche perché il valore, una volta prodotto, non si esaurisce e va ben oltre il conto economico…

Certo. E possiamo aggiungere che il valore si crea anche attraverso il pro dotto stesso: le aziende producono beni e servizi che vengono introdotti nel mercato per migliorare la qualità della vita delle persone. Pensiamo alle nostre macchine, linee industriali per il packaging alimentare che hanno l’obiettivo di aumentare la sicurezza delle vaschette per cibi pronti, riducendo al minimo i fattori di contaminazione e la carica batterica che potrebbero far deteriorare gli alimenti in esse contenuti. In questo senso l’industria giova anche allo sviluppo della civiltà. Pensiamo al valore delle tecnologie informati che e telematiche: grazie a Internet, per esempio, possiamo comunicare in ciascun istante con persone che vivono dall’altra parte del pianeta. Grazie alla tecnologia possiamo svolgere compiti che i nostri nonni impiegavano una quantità di tempo considerevole per portare a termine, quando a noi basta no pochi minuti o a volte una manciata di secondi. Ciascuna innovazione è stata condotta da aziende che hanno scommesso su un prodotto che poi si è affermato sul mercato perché le persone lo hanno trovato utile e lo hanno acquistato.

Può fare un esempio di applicazione delle vostre macchine per il confezionamento alimentare? Occorrono tanta ricerca e tanta tecnologia per garantire alle vaschette la stabilità e la robustezza della saldatura. Ogni tanto si sente la notizia che un prodotto famoso viene ritirato perché si sono verificati casi di intossicazione: se la confezione ha una perdita, il prodotto all’interno presenta muffe o cariche batteriche nocive, e può capi tare che qualcuno non ci faccia caso e lo mangi lo stesso, sviluppando così la salmonellosi o altre infezioni intestinali. Ecco perché la nostra ricerca è mirata a produrre macchine per il packaging sempre più robuste e a ottimizzare il controllo qualità in uscita. Fino a poco tempo fa il controllo qualità era eseguito a mano da persone che controllavano a campione le vaschette, oggi invece stiamo investendo in sistemi di computer vision tramite intelligenza artificiale per controllare ciascuna singola vaschetta che esce dalla macchina e garantire la sicurezza del consumatore. Per non parlare della ricerca di materiali migliori che siano più o meno traspiranti, indica ti per un prodotto piuttosto che per un altro, e portino a un allungamento della shelf life, della vita utile della confezione sullo scaffale. E questo de termina una riduzione degli sprechi, perché più è lunga la shelf life e più è probabile che un consumatore compri la confezione, riducendo lo spreco di cibi scaduti. Tante volte, nella politica della transizione verso packaging più sostenibili, non c’è onestà intellettuale, ma una corsa per accaparrarsi il con senso attraverso l’effetto mediatico degli slogan, piuttosto che la ricerca di un’effettiva riduzione degli sprechi alimentari. Non si considera che un packaging più sostenibile determina un degrado più rapido dell’alimento. Quindi deve bastarci che il packaging sia più sostenibile, quando tanto cibo viene buttato perché la data di scadenza viene anticipata?

Quelle che oggi sono innovazioni nel vostro settore forse quando suo nonno ha incominciato, nel 1972, erano vere e proprie invenzioni…

Mio nonno ha vissuto la nascita delle cucine centralizzate, dei centri di preparazione di piatti che venivano distribuiti negli ospedali e nelle mense aziendali. All’epoca le vaschette era no di alluminio e venivano coperte a mano dall’operatore con pellicole sempre di alluminio. Constatando che la domanda di piatti pronti cresceva sempre di più, mio nonno ha deciso di entrare in questo business e inventare le prime macchine di riempimento e chiusura automatica delle vaschette, in modo da ridurre i rischi di contaminazione. Poi, con l’avvento della plastica, gli studi sulla lunga conservazione dei cibi e la nascita dei supermercati, si è lanciato anche nel business delle vaschette in plastica per grandi produttori centralizzati di cibo come oggi può essere Esselunga, che produce ciò che vende nei suoi supermercati. Prima di focalizzarsi su questo settore, invece, aveva costruito macchine anche per il settore farmaceutico: per esempio, per il confezionamento di siringhe, e per quello delle figurine, aveva inventato macchine per confezionare pacchettini di figurine ad altissima velocità, che ha venduto in tutto il mondo, oltre che alla Panini. Uno dei primi clienti del settore alimentare è stata la Findus, che all’epoca non si chiamava ancora così. Mi raccontava dei suoi viaggi a Roma con Franco Turla, che lavora ancora con noi in azienda, per convincere gli ingegneri della ditta a comprare la sua macchina: per fortuna si sono fidati, perché la macchina per il confeziona mento delle lasagne surgelate è stato un vero successo e loro sono diventati grandi amici. Mio nonno aveva tanto ingegno e amore per la meccanica che ha messo veramente a frutto con tante idee e progetti in vari ambiti. Poi negli anni l’azienda si è specializzata nell’alimentare, un settore che è cresciuto tantissimo insieme a lui e per questo è diventato uno dei punti di riferimento.

In un’intervista precedente lei ricordava che addirittura alcuni clienti utilizzano ancora macchine che hanno comprato trent’anni fa e che continuano a funzionare…

Infatti, ci chiamano per chiedere i pezzi di ricambio e chiaramente noi diciamo che non sappiamo se li abbiamo ancora. Allora dobbiamo andare negli archivi a recuperare i disegni originali eseguiti a mano – mentre ora usiamo soltanto il CAD – per produrre il pezzo richiesto. Ma è anche divertente, è come andare in un museo, perché prima le macchine erano quasi completa mente meccaniche, mentre oggi hanno molta elettronica, forse anche troppa: sono azionate da tanti piccoli motori elettrici che vengono programmati con un software. Se una volta si cercava di studiare il movimento in modo tale che un unico motore azionasse i vari componenti meccanici collegati attraverso ingranaggi, adesso viene installato un motore per ciascun movimento. A volte ci si nasconde dietro l’idea della maggiore compattezza offerta dall’elettronica, ma forse è sol tanto una questione di comodità, per ché in realtà il movimento meccanico offriva maggiore robustezza. Tuttavia oggi è l’elettronica che comanda, anzi, la meccatronica, per cui è tutto robotizzato. Basta vedere la nostra ultima linea, la Sinfonia: di meccanico è rimasto ben poco, è tutto controllato elettronicamente, anche il movimento delle vaschette avviene attraverso shuttle navette magnetiche che scorrono su binari, come i treni magnetici, vengono mosse in maniera indipendente l’una dall’altra e permettono elevatissime flessibilità ed efficienza, però è tutto programmazione, non c’è niente di meccanico. Infatti il montaggio avviene abbastanza in fretta rispetto a una linea più complessa a livello meccanico, che ha più componenti. La complicazione invece è passata nel software, che richiede un progetto decisamente molto più articolato rispetto a una linea standard. Comunque, la nostra macchina di ultima generazione si chiama Sinfonia perché fa muovere tutte le navette magnetiche all’unisono, proprio come un’orchestra.

Lei dirige il team di Ricerca e Sviluppo. Qual è il processo per cui si giunge all’in novazione nella vostra azienda?

Di recente abbiamo avviato vari progetti di Operational Excellence, eccellenza operativa, per coinvolgere e responsabilizzare i collaboratori nei processi che portano all’innovazione. Appena capiscono che c’è la volontà di migliorare il processo e, per migliorar lo, abbiamo bisogno dell’aiuto di chi il processo lo vive ciascun giorno, si sen tono coinvolti. Da lì scaturiscono tante di quelle idee che bisogna metterle in fila. Sono tante buone idee che hanno un grande valore per l’azienda perché, se chi ha a cuore il processo si sente ascoltato e capisce che le sue idee, quando sono valide, vengono portate avanti, il miglioramento in tutte le aree è continuo, e questo sicuramente va ad aumentare l’efficienza. Se, invece, ogni volta che un collaboratore esprime una sua idea non viene ascoltato – perché non c’è tempo, perché c’è una struttura aziendale troppo rigida – smette di parlare, si demoralizza, si limita al suo compitino e poi non c’è da stupirsi se cambia posto di lavoro, anche perché, soprattutto in questi anni, le persone cercano un senso in ciò che fanno e un coinvolgimento attivo. Poi però quando vengono coinvolte effettivamente si scopre che possono dare tanto, indipendentemente dal ruolo che hanno in azienda, e noi, soprattutto rispetto all’innovazione, abbiamo una struttura orizzontale: ciascuno, indipendentemente dal ruolo, può esprimere la propria idea e viene preso in considerazione. È l’unico modo per fare innovazione e affermare il diritto al sogno imprenditoriale.