È ESSENZIALE SNELLIRE LE PROCEDURE

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presidente e consigliere di amministrazione di MWM Italia Srl, Zola Predosa (BO)

Lungo l’itinerario della vostra impresa, leader nella progettazione e realizzazione di prodotti e attrezzature per la riparazione della plastica delle auto, avete visitato molte industrie del settore automotive nel mondo. Quali sono gli aspetti che più vi hanno colpito rispetto all’organizzazione del lavoro?

Lamberto: un’esperienza molto interessante è stata la visita alla linea di costruzione della Ford, a Detroit. Del resto, la catena di montaggio è stata inventata da Henry Ford. Negli Stati Uniti è differente rispetto a quanto ac cade in Italia: per esempio, i lavoratori possono andare in azienda anche in calzoncini corti, perché l’importante è che abbiano guanti e scarpe antinfortunistiche. Se vogliamo fare una traversata nell’altro capo del mondo, in Cina per esempio, fino a dodici anni fa era l’esatto opposto. Siamo entrati in uno stabilimento fuori Shanghai che sembrava una fabbrica italiana degli anni trenta. I soffitti erano bassi e tutti erano chinati a lavorare per terra, tutti in fila.

Raffaele: in Italia si parla tanto di normative sulla sicurezza nelle aziende ma in altri paesi, come la Germania per esempio, sarebbero molti gli interventi da fare. E parliamo di aziende di un certo livello. Anche questa è concorrenza sleale.

Quanto incidono le normative sulla sicurezza, in Italia?

Raffaele: molto. Queste normati ve sono assolutamente giuste, il loro rispetto però non dipende soltanto dall’imprenditore, ma anche da coloro che lavorano in azienda. Nell’impresa ciascuno deve essere responsabile, per ché molte volte accade di commettere qualche leggerezza e poi pagano tutti.  

Lamberto: lo Stato potrebbe dare qualche incentivo economico per la formazione alla sicurezza, semplice mente perché nelle aziende non formiamo soltanto lavoratori più accorti, ma anche cittadini più responsabili e questo è un vantaggio per tutta la comunità.

Raffaele: noi, per esempio, abbiamo promosso un corso per l’uso del defibrillatore, che abbiamo acquistato a nostre spese. Non è stato un obbligo per l’azienda.

Lamberto: quindi, se nel circondario qualcuno avesse bisogno di un defibrillatore, potrebbe rivolgersi a noi, il 118 ne è informato e, quando occorre, arriva la notifica sul cellulare.

State lavorando a qualche nuovo progetto di attrezzatura per la riparazione auto?

Raffaele: noi lavoriamo sempre a cose nuove, perché vogliamo miglio rare i nostri prodotti. Molte volte acca de di confrontarsi con i concorrenti e chiedersi: “Perché lui riesce a fare quel prodotto a un prezzo più conveniente? Come possiamo migliorare i nostri prodotti anche in questo aspetto?”. Allora, è importante capire come possiamo risparmiare senza rinunciare alla qualità. La ricerca è continua perché le idee non si fermano nemmeno nella fase della produzione e per me è una sfida quotidiana.

In questo numero della rivista apriamo il dibattito intorno al tema La giustizia, la ragione, il diritto nell’impresa. Qual è l’apporto del diritto nella sua esperienza?

Raffaele: da imprenditore devo at tenermi alle normative. A volte, forse, avrei da fare qualche obiezione, soprattutto quando intervengono normative di natura amministrativa, ma le accetto e mi adopero in modo che siano adempiute alla perfezione. Certamente capita che mi chieda: perché dobbiamo produrre tante scartoffie che poi finiranno impolverate in qualche scaffale? Nel lavoro dell’imprenditore è essenziale snellire le procedure, il tempo è vitale per l’impresa. Invece, il lavoro del burocrate sembra fatto apposta per allungare i tempi e svilire l’attività produttiva, imponendo procedure sempre più complicate. Il tempo, enorme, dedicato al rispetto di queste procedure si traduce in un ulteriore onere economico per l’impresa. Basta considerare oggi quali siano i costi di gestione di un’azienda. Inoltre, molte volte manca anche chiarezza e si par la di incertezza del diritto. Chi scrive questo tipo di normative non ha mai lavorato in azienda e se ne sta seduto dietro alla scrivania dicendo agli altri come si fanno le cose, partendo dall’immaginazione e non dalla pratica.

Noi abbiamo aderito al bando di un ente per partecipare ad alcune fiere come fornitori. Rispettando alcuni criteri che il bando prevede, potevamo ottenere un contributo dalla Regione o dallo Stato. Quindi, noi abbiamo preparato un progetto per intervenire come espositori e abbiamo comunicato il programma delle fiere a cui l’azienda avrebbe partecipato dopo un anno, un anno e mezzo dalla presentazione della richiesta. L’impresa è tenuta a precisare i costi che sosterrà per partecipare alle fiere e lo Stato, tramite l’ufficio preposto, si impegna a erogare il contributo che copre il 50% dei costi. Bene. Può accadere, però, che durante quest’anno, anno e mezzo non vi siano più le condizioni per fare una delle fiere che si tengono all’estero, per esempio a Bangkok. L’imprenditore, allora, dice: “Non faccio questa fiera a Bangkok, ma la faremo da un’altra parte perché in quel paese non ci sono le condizioni”. In un anno le cose possono cambiare. Abbiamo visto in Inghilterra come in un giorno la Brexit ha cambiato il mondo. Noi abbiamo già fatto tre delle quattro fiere previste, mancava la quarta e per questo non abbiamo potuto ottenere i finanziamenti già in programma. Chi interviene in questo modo non ha la minima idea di come si lavora in un’impresa, perché un’azienda può cambiare l’orienta mento di vendita, non procede secondo standard fissi essendo in continua trasformazione e restando vigile su ciò che accade ciascun giorno nel mercato. Chi è impiegato negli uffici preposti a programmare queste normative non tiene conto di questa trasformazione o, se lo fa, la intende dopo qualche anno… Noi siamo stati esclusi dal bando. Quindi, abbiamo partecipato a tre fiere pagate di tasca nostra. Ho fatto le mie rimostranze anche alle associazioni di categoria a cui siamo iscritti, perché non hanno saputo tutelare il nostro interesse. Queste cose non devono succedere. Vivere in azienda è diverso dal modo di vivere in ufficio e immaginare come dovrebbero fare gli altri. Le normative di legge dovrebbero essere scritte dopo avere visitato le imprese. Sono sicuro che molti burocrati, a quel punto, direbbero: “che bravi! Diamogli una mano”. Invece sembra no impegnati a far chiudere le aziende!

Ma le faccio un altro esempio. Ogni anno in Italia viene aperto un bando che si chiama ISI INAIL e consente, per esempio, di rinnovare i macchi nari obsoleti che non rispondono più ai criteri di sicurezza per i lavoratori. Basta presentare la domanda di finanziamento per ricevere il contributo a fondo perduto che copre il 65% delle spese. Chi aderisce al progetto? INAIL comunica che l’accesso al bando sarà aperto il tale giorno, per esempio, alle 9. Bene. L’accesso per potere accreditarsi online rimane aperto 20 secondi. Se siamo bravi riusciamo a cliccare nel secondo giusto, sennò perdiamo l’opportunità. Ci rendiamo conto che progetti di questo genere sono lega ti a un click day? Riesci solo se sei il primo a spingere quel bottone in quei 20 secondi. Quante aziende ci sono in Italia? Saranno migliaia? Quante potranno presentare la propria domanda cliccando nel preciso istante in cui il portale viene aperto? Altrimenti, la domanda non sarà nemmeno presa in considerazione. E anche quando si riesca, siamo solo al 50% del percorso, perché dopo occorre seguire tutta una procedura che richiede la perizia asseverata per certificare l’obsolescenza del macchinario e il contributo deve essere collegato anche alle condizioni del credito d’imposta per beni strumentali 4.0. Risultato: se l’imprenditore ne ha necessità sarà costretto a fare l’investimento lo stesso.

Cosa occorrerebbe fare?

Raffaele: occorre che i funziona ri esperti in burocrazia entrino nelle aziende per capire cosa gli serve, prima di scrivere complesse procedure che si basano sull’immaginazione. Le procedure possono essere migliorate, però questi signori devono visitare le aziende. Non parlo di aziende di cento dipendenti. Il tessuto industriale dell’Italia è costituito da imprese che hanno al massimo 50 dipendenti, è lì che devono andare questi funzionari per capire quali sono veramente le esigenze delle nostre imprese e parlare con gli imprenditori che le guidano. Io dico spesso che “ci devono mettere della passione”, perché se vanno nelle aziende di questo paese tanto per farsi un viaggetto e arrotondare lo stipendio con le spese di trasferta è meglio che stiano chiusi nel loro ufficio. È necessario trovare il modo di vivere l’azienda per capire quali sono le sue esigenze e abbiamo bisogno di funzionari motivati a migliorare il paese.