IL COMMERCIO RESTA GLOBALE
Per le imprese di import-export è sempre più importante avvalersi di un interlocutore specializzato in diritto internazionale. In particolare, l’equipe di avvocati del vostro studio legale segue da molti anni vicende inerenti al diritto dei trasporti e al diritto internazionale per conto di diverse imprese italiane.
Quali sono le principali differenze fra la cultura giuridica della Cina e la nostra?
I trasporti sono alla base del commercio internazionale, quindi il nostro studio legale assiste imprese che operano nei mercati internazionali e in particolare in quello cinese. Non sono un sinologo, ma come operatore di mercato tengo conto del forte approccio pragmatico tipico della cultura cinese, che tiene ad analizzare ogni singolo passaggio di ciascuna trattativa. Spesso le nostre imprese, quando investono in Cina, avviano grandi progetti senza avere chiari i singoli step da mettere in atto. E lo stesso accade quando le aziende cine si investono in Italia. Il nostro approccio, quindi, è cercare di dare costanza e concretezza all’azione dell’imprenditore. Quali sono le questioni che riscontrano più spesso le aziende italiane che operano in Cina? Considerato che la Cina ha una cultura diversa dalla nostra, molte imprese tendono subito a mettere da parte il nostro approccio giuridico per farsi guidare da prassi di mercato. Ma occorre tenere conto che la Cina è un paese molto vasto e ciò che vale a Shanghai non è detto che valga a Qingdao o a Shenzhen. Io sfido chiunque in Italia a firmare un contratto che sia redatto in lingua cinese senza averlo letto prima con un consulente di fiducia. In passato è accaduto spesso che il testo del contratto fosse bilingue, sia in inglese sia in cinese, per cui ciascuna versione riteneva valido quello redatto nella lingua di riferimento del contraente.
Per altro verso, alcune imprese tendono a muoversi in Cina come se operassero in Italia, non tenendo conto delle abitudini e delle prassi commerciali dell’area di intervento. Noi conosciamo il nostro diritto, ma non possiamo fermarci certo alla lettura del codice civile. In Cina, per esempio, la rappresentanza giuridica di una società è certificata dal timbro sociale, per cui un contratto firmato ma non timbrato ha una validità discutibile. Dalla nostra prospettiva, invece, il timbro è un elemento quasi accessorio, per cui l’apposizione del solo timbro non è sufficiente a indicare che il contratto è stato concluso correttamente.
Quali sono i maggiori freni agli investi menti esteri in Italia?
I motivi che scoraggiano gli investimenti sono diversi: vanno dalla complessità delle procedure amministrative alla burocrazia e all’incertezza del diritto. In Cina, per esempio, un giudizio di primo grado richiede il tempo medio di un anno, un anno e mezzo al massimo. Inoltre, se è ammesso il ricorso a clausole arbitrali per gestire in modo pragmatico e veloce recupero crediti o conflitti commercia li, nell’ambito amministrativo, invece, siamo costretti ad accettare l’incertezza del diritto. Quindi, è molto complesso spiegare all’investitore internazionale problemi come questi.
Quali sono i settori in crescita in Cina e quali quelli in Italia?
Noi abbiamo attivato una nuova di visione specializzata nella sanità – in particolare nel farmaceutico e nel bio medicale – perché il mercato cinese è in crescita in questi settori. Inoltre, anche a seguito del Piano Mattei per l’Africa, abbiamo attivato un’ulteriore divisone per gli investimenti in Africa, dove opera uno dei nostri avvocati franco libanese. In prospettiva, per le nostre imprese, è il mercato più interessante, anche perché storicamente l’Italia ha investito molto nell’Africa mediterranea. Ma offriamo la nostra assistenza legale anche alle aziende dell’area africana francofona, la cosiddetta OHADA (Organisation pour l’Harmonisation en Afrique du Droit des Affaires), una sorta di mercato unico con un diritto commerciale uniforme, che permette alle aziende di operare in diversi paesi mantenendo le linee guida del diritto commerciale a noi riconoscibile.
Stiamo riscontrando una controtendenza rispetto alla globalizzazione estrema a cui si era arrivati fino all’avvento del Covid, però ritengo che in ogni caso il commercio resti globale. Le tecnologie e i mezzi di trasporto che abbiamo a disposizione oggi, così come le spinte economiche che hanno guidato la globalizzazione, non sono magicamente venute meno. Per queste ragioni non credo si arrivi a quel
reshoringtotale ipotizzato subito dopo la fase Covid. Il commercio non si può fermare. Non si è mai fermato e non si fermerà mai.