AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: UNA CONTRORIFORMA ITALIANA
Il concreto funzionamento della cosiddetta “amministrazione di sostegno” in Italia, con l’impegno alla denuncia delle violazioni dei diritti umani che a essa si accompagnano (in una prospettiva di riforma), ha costituito una delle ragioni della nascita – nel 2017 – dell’Associazione Radicale “Diritti alla Follia”. Stiamo parlando di un istituto introdotto dalla legge n. 6 del 2004 con il dichiarato intento di intervenire nelle situazioni di difficoltà per le quali il destino dell’individuo era rappresentato dall’interdizione, con la conseguente morte civile che ne derivava. L’amministrazione di sostegno – si promise – avrebbe lasciato alla persona in difficoltà ampi spazi di autonomia, limitando l’intervento dell’amministratore di sostegno (ADS) agli ambiti individuati in modo specifico in rapporto alle effettive esigenze dell’individuo (chiamato, più “dolce mente”, “beneficiario”).
Così non è accaduto: per un verso le amministrazioni di sostegno riguardano numeri esorbitanti di cittadini (parliamo di oltre 500.000 procedure), per altro verso il contenuto concreto di tali provvedimenti non differisce in nulla – in termini di “poteri” conferiti all’ amministratore di sostegno – dalla vecchia tutela, che peraltro continua a esistere ed essere applicata.
Questa “controriforma” italiana ha palesato tutta la sua arretratezza giuridica, oltre che culturale, quando nel 2006 è stata firmata – anche dall’Italia – la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (la cosiddetta CRPD, poi resa esecutiva con legge n. 18 del 2009). Tale trattato internazionale segna l’obbligo per il nostro paese di rispettare i diritti fondamentali riconosciuti ai portatori di disabilità, anche di disabilità psico-sociale, come in questo caso. Diritti fondamentali (a partire dalla titolarità di un nucleo in scalfibile di diritto all’autodeterminazione), del tutto incompatibili con le decine di migliaia di amministrazioni di sostegno “sostitutive”, cioè caratterizzate appunto dalla sostituzione dell’ADS al “beneficiario” nella presa di decisioni.
La strada prescritta dalla Convenzione corrisponde al supportare chi vive una difficoltà perché realizzi da solo le proprie aspirazioni, la mulattiera italiana, invece, porta a decidere al posto del fragile (così “infantilizzato”). Nelle Osservazioni al primo rapporto dell’Italia, prodotte ad agosto 2016 dal Comitato ONU che si occupa di monitorare il rispetto della CRPD, si “raccomanda di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno” (corsivo nostro).
Le istituzioni italiane, naturalmente, si sono guardate bene dal raccogliere le indicazioni del Comitato, così come i giudici tutelari si guardano bene dall’applicare l’istituto in modo da renderlo compatibile con i diritti consacrati nella stessa legge italiana attuativa della Convenzione, tanto che l’Associazione che presiedo ha messo in campo un progetto di legge di iniziativa popolare (nella sordità istituzionale e politica alle “urla di dolore” che si levano da parte di “amministra ti” e familiari degli stessi) teso a “legalizzare” l’istituto. La proposta si può firmare negli uffici dell’anagrafe dei principali Comuni italiani, e da settembre 2024 anche online, con modalità digitali, nella piattaforma governativa dedicata agli strumenti di democrazia diretta.
La campagna – che abbiamo intitolato “Fragile a chi?” (https://dirittiallafollia.it/campagna-riforma-amministrazione-sostegno/) – mette in luce come l’amministrazione di sostegno sia divenuta uno strumento d’eccellenza per istituzionalizzare decine di migliaia di cittadini, privati della possibilità di decidere dove risiedere e costretti contro la propria volontà a trasferirsi sine die in strutture sanitarie o assistenziali (è tristemente noto il caso di cronaca di Carlo Gilardi, un anziano sradicato dai luoghi che gli erano cari e trasferito coattivamente in una Rsa dove ha poi trovato la morte, all’indomani di una segregazione censurata anche in una sentenza del la CEDU). E come sia andato creandosi un esercito di “professionisti” dell’amministrazione di sostegno, soprattutto avvocati e commercialisti – per lo più falliti professionalmente – che gravitano attorno agli uffici di volontaria giurisdizione dei tribuna li italiani a caccia di “beneficiari” (in alcuni casi possono esserne “affidati” decine a uno stesso ADS, immaginiamo con quali possibilità concrete di svolgere un’attività di supporto) sui cui patrimoni – spesso esigui – lucrare indennità esentasse.
Quindi, firmate, firmate, firmate!