L’ITALIA AL PRIMO POSTO... NELLA BUROCRAZIA

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fiscalista, giornalista, docente in materia fiscale

Poco più di un anno fa Confartigianato Imprese aveva diffuso un dato piuttosto significativo quanto allarmante: tra i 27 Paesi dell’Unione, l’Italia si colloca al primo posto quanto a pressione burocratica sulle imprese. A dicembre 2023, l’ufficio studi di Cgia Mestre stimava in circa 160.000 norme attualmente vigenti in Italia, delle quali poco più di 71.000 di matrice nazionale e le altre emanate a livello regionale o locale. Numeri abnormi se confrontati – sempre secondo lo studio citato – con la situazione esistente in Francia o in Germania.

Il che significa che anche le realtà imprenditoriali meno strutturate sono chiamate a destinare risorse per soddisfare numerosi adempi menti, che talvolta appaiono del tutto ingiustificati.

In tale contesto, la “macchina” fiscale assume un peso importante, complice una normativa che ha raggiunto un livello elevatissimo di complessità.

Basti pensare ad esempio ad alcuni ambiti quali il Superbonus e più in generale le agevolazioni previste per il settore dell’edilizia, che nel giro di pochi anni sono stati attraversati da centinaia di atti, tra leggi, decreti, provvedimenti ministeriali e interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate, circolari, risposte a istanze di interpello, ecc.

Proprio con riferimento all’ambito prettamente tributario, il nostro attuale ordinamento ci consegna da un lato un carico fiscale che a detta di non pochi addetti ai lavori ha raggiunto livelli pesanti rispetto ai nostri più diretti competitor internazionali, ma anche – aspetto forse ancora più grave – una “tassa occulta” costituita dal dispendio di tempo e spesso di denaro che anche il piccolo imprenditore deve mettere in conto per stare dietro a questo ginepraio e non vedersi a sua volta sanzionato.

La volontà dell’Esecutivo di rafforzare l’azione di contrasto all’evasione fiscale appare del tutto condivisibile; è peraltro auspicabile che ciò sia accompagnato da una seria iniziativa volta a semplificare il nostro ordinamento tributario.

Da decenni in Italia viene ciclica mente riaffermata l’esigenza di riformare la normativa fiscale nel segno di una non ben definita “semplificazione”: autorevoli osservatori si sono impegnati nell’individuare, nel merito, alcune misure che potrebbero agevolare la vita di milioni di contribuenti e dei professionisti che li seguono (e in seconda battuta an che dei funzionari del Fisco). Si tratta di proposte di per sé suggestive che a parere di chi scrive andrebbero senz’altro nella giusta direzione. E, con tutta probabilità, anche i decreti contenenti l’attuale riforma fiscale sapranno, almeno in parte, andare incontro a queste esigenze.

Ma a ben vedere, prima ancora di modifiche che seguono a precise scelte fiscali, che solo il Legislatore può adottare, si avverte l’esigenza di perseguire una semplificazione che potremmo definire “di metodo”: prima e a prescindere da questo o quell’intervento normativo (che si tratti di cedolare secca sugli affitti o dell’ambito applicativo degli Isa, di aliquote Irpef o dei meccanismi di applicazione dell’Iva, in questa sede non rileva), occorrerebbe raggiunge re taluni precisi obiettivi in termini di certezza del diritto e di tutela del contribuente che sino a oggi sono rimasti talvolta sostanzialmente sul la carta.

È in tale contesto che andrebbe inquadrata la necessità che siano per quanto possibile uniformate le interpretazioni fornite dai singoli Uffici degli enti impositori (primi tra tutti, l’Agenzia delle Entrate) di fronte a situazioni che presentano profili tra loro assimilabili. Qualora si riscontrino applicazioni differenti della stessa norma, seppur in asso luta buona fede di chi è chiamato a interpretarla, saremmo in presenza di un’evidente violazione dello Statuto del contribuente e, soprattutto, della stessa Carta Costituzionale.

L’uniformità di trattamento vie ne peraltro chiesta anche alla giurisprudenza di merito, chiamata a risolvere le controversie tra Fisco e contribuente: non di rado, infatti, si registrano pronunce di Corti territoriali troppo discordanti tra loro. E, si aggiunga, tali criticità non possono ovviamente essere superate dal costante e pregevole sforzo interpretativo impiegato dalla Cassazione nello svolgimento della sua funzione nomofilattica.

Del resto, non dimentichiamo che la stessa normativa affida al Dipartimento delle Finanze – e quindi al Ministero dell’Economia – anche il compito di emanare provvedimenti interpretativi della legislazione tributaria, al fine di assicurare il rispetto, da parte degli uffici, delle esigenze di equità, semplicità e omogeneità di trattamento, con particolare riguardo ai principi fissati dallo Statuto dei diritti del contribuente.