LA LIBERTÀ NON PUÒ ESSERE LESA DA ACCUSE PENALI
Nel libro Conflitto di poteri (Il Saggiatore), Marcello Flores e Mimmo Franzinelli scrivono che il conflitto tra politica e giustizia, in modo più concreto tra governo e partiti da una parte e magistratura dall’altra, continua da anni “senza soluzione di continuità; si è anzi accentuato e ha mostrato di rappresentare un dato ineliminabile dalla vita e dalla storia degli italiani”. Alcuni esponenti della magistratura lamentano le ingerenze dei partiti attraverso un’attività legiferante che tenderebbe a limitarne i poteri e dunque l’autonomia. Ma non esiste anche da parte di alcuni settori della stessa magistratura una certa compliance, se non verso i partiti, verso alcune ideologie stataliste e penalpopuliste avanzate dai partiti?
La magistratura è rappresentata da un Ordine che è indipendente dagli altri poteri dello Stato – il potere legislativo e quello esecutivo – espressi rispettivamente dal Parlamento e dal Governo.
La magistratura che nell’esercizio del potere giudiziario si lasci influenzare dai poteri dello Stato diventa un organo non sano rispetto alla sua funzione, che è assolutamente indipendente dai classici poteri enunciati dalla nostra Costituzione.
Lo stato attuale della funzione giudiziaria, appartenente a un organo di stinto rispetto agli altri classici poteri costituzionalmente previsti, subisce soggezione ideologica da parte degli altri organi che la Costituzione elenca.
L’indipendenza della magistratura non può essere influenzata da alcun potere statuale e di nessun genere. Le sentenze generate da ideologie e da volontà di compiacere i poteri dello Stato non sono pertanto da considerarsi giuste.
Vi è difatti una violazione della funzione riservata all’Ordine dei magistrati allorquando la sentenza, anziché essere mossa da imparzialità di giudizio, ha la finalità di perseguire uno o più cittadini per colpire idee o gruppi.
Purtroppo, non tutte queste decisioni giudiziarie vengono scoperte e giustamente annullate, com’è avvenuto nel processo per plagio intentato nei confronti di Aldo Braibanti o nei processi per concorso esterno nella criminalità organizzata, in cui si crea una particolare ipotesi di concorso nel reato. In processi come questi sorge il dubbio che la giustizia sia intervenuta in modo persecutorio, talora ripristinando il cosiddetto reato d’autore, per colpire idee o gruppi, anziché specifici fatti criminosi. Nella sua esperienza pluriennale lei è intervenuto come difensore in processi che con il pretesto dell’influenza hanno colpito associazioni e religioni minorita rie. Come difendersi da una giustizia che mira a colpire un avversario, seguendo la propria ideologia o quella di gruppi di pressione, più che a valutare l’esistenza o meno di un crimine?
Bisogna fortemente combattere le decisioni giudiziarie dettate da ideologia o anche palesemente dirette a colpire un determinato cittadino creando la cosiddetta “colpa d’autore”. La libertà, che è l’elemento essenziale della nostra democrazia, non può essere lesa da accuse penali. In tema di libertà religiosa, non possono esse re perseguite le associazioni di culto minoritario.
Il male che deriva da queste decisioni ingiuste difficilmente viene eliminato dall’appello, che però è esercitato spesso come una ripetizione delle ragioni di condanna.