COME LIBERARE LA GIUSTIZIA

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avvocato, già docente di Diritto Industriale per il Management, Università di Milano Bicocca

Il saggio Liberare la giustizia. (Ju stice Unchained), di cui lei è autore con Dario Fertilio, ha un indubbio pregio: riesce a farci penetrare nei meccanismi complessi della giustizia italiana, a criticarli e a proporre soluzioni alternative, mantenendo un linguaggio diretto e facilmente comprensibile. Ma le singole riforme da voi suggerite sono numerose. Qual è la più importante?

Posso dirle quale riforma è divenuta di gran lunga la più importante, dopo la pubblicazione di Liberare la giustizia.

Come mai? Un’ispirazione tardiva?

No. Una riforma prevista dal governo.

Dunque, un riconoscimento che, come tale, assume maggior valore. Qual è questa riforma miracolosa?

Non è proprio così. Si tratta di una riforma da noi avversata preliminarmente, e fortemente, perché blinderebbe l’attuale situazione contraria alla Costituzione, rendendo tutte le altre riforme peggio che inutili, sol tanto complicazioni che imbastardiscono ulteriormente la già troppo confusa situazione attuale.

Di quale riforma si tratta?

Il discorso deve partire necessaria mente dall’articolo 108 della Costituzione, per il quale il Pubblico ministero “gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.

In base a questa norma, il Parlamento, subito dopo l’approvazione del la Costituzione, emanava una legge ordinaria che attribuiva a tutti i Pm, compresi i sostituti, le medesime garanzie stabilite per i giudici.

Ebbene, ora la riforma governativa prevede una modifica dell’articolo 104 della Costituzione che stabilisce: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, per sostituire tale premessa con la seguente: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera inquirente”. Perché? Evidentemente, perché per la tuttora vigente Costituzione la magistratura è ancora costituita dai soli giudici e la legge ordinaria, con la quale a suo tempo la qualifica di magistrati veniva estesa ai Pm, era ed è ancora in contrasto con la Costituzione. E per il governo tale contrasto va preliminarmente sanato appunto con l’attuale riforma, per evitare che tutte le altre riforme, a cominciare dal Csm per i Pm, siano incostituzionali e, quindi, nulle alla base. Che è esattamente l’opposto di quello che noi auspichiamo, e cioè proprio l’abolizione dei Pm magistrati in quanto “parti imparziali”, dei Pm/giudici.

Chiaro. Veniamo alle riforme che suggerite.

La prima in realtà è una non riforma. È noto che il Ministero della Giustizia è occupato da circa duecento magistrati. Meno noto è che non avviene per legge, ma per prassi consolidata che ciascun ministro può interrompere quando e quanto vuole.

A questo punto, è necessaria una spiegazione sia della prassi sia della necessità di abolirla.

La prassi è incominciata quando c’e ra il Pubblico ministero, rappresentante e difensore del Ministro della Giustizia, con relativi dipendenti Pm, cosicché era ovvio che il ministro chiamasse i suoi avvocati (e magari anche qualche giudice magistrato indipendente) a collaborare.

Successivamente, il Pubblico ministero veniva abolito e tutti, dal Procuratore Generale della Cassazione all’ultimo sostituto, furono qualificati magistrati equiparati ai giudici, con i quali hanno esercitato la giurisdizione. Dunque, insieme costituiscono un potere autonomo, alternativo a quello esecutivo del ministro.

Ministro del quale non dovrebbero determinare le decisioni altrettanto autonome che, tra l’altro, quasi sempre riguardano proprio i magistrati, con conseguente conflitto di interessi. Clamoroso il caso dello svuotamento della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, in luogo dei quali di fatto risponde lo Stato.

Proibire ai giudici di associarsi in un sindacato, come l’Anm, è davvero una condizione indispensabile per un’autentica riforma della giustizia?

Certo, perché dividerli dai Pm nel Csm e conservarli uniti nell’Anm, cioè proprio dove fanno politica e nominano i componenti del (o in futuro dei) Csm, è una presa in giro.

Allora perché i giudici?

Perché la Costituzione – agli articoli dal 101 al 107 – prevede un giudice professionale neutrale e, ben per questo, titolare di privilegi unici al mondo, il cui solo scopo è appunto quello di rendere possibile la sua neutralità. Naturalmente, nulla è eterno, e si può non credere alla possibilità di questa neutralità, e cambiare. Noi stessi, proprio per questa ragione, prevediamo l’elezione del giudice singolo. Ma, se si ritiene impossibile anche la neutralità del giudice collegiale, bisognerà cancellare gli articoli dal 101 al 107 della Costituzione, e l’alternativa più realistica in un paese democratico sarebbe l’istituzione della giuria, come nei paesi anglosassoni.

Ma come si è giunti a questa situazione?

In realtà l’Anm è sorta come libera associazione dei giudici non solo apolitica, ma senza scopi sindacali in quanto implicanti la politica, e perciò resi inutili da un provvedimento per il quale il loro compenso era (ed è) stabilito molto generosamente con legge.

Successivamente, divenuti magi strati anche i Pm, si sono associati anch’essi all’Anm e, insieme ai giudici, hanno incominciato a dividersi pubblicamente in correnti politiche e a esercitare di fatto attività “sindacale”.

In seguito, hanno ufficialmente inserito nello statuto l’attività sindacale, escludendo ancora espressamente l’attività politica che, però, esercita vano di fatto. Fin quando, nonostante il perdurante divieto dello statuto, l’Anm ha cominciato a rivendicare il diritto dei magistrati di fare politica attivamente non solo all’interno del sindacato, ma anche pubblicamente al pari di ogni altro cittadino e di ogni altro politico. Può andare anche bene. Ma senza i privilegi unici al mondo per preservare la neutrale professionalità del giudice, e in particolare l’il limitata irresponsabilità, di cui agli articoli dal 101 al 107 della Costituzione.

Il discorso relativo ai Pm è diverso, in parte perché superato da altre riforme da noi auspicate, e in parte più complicato, meno semplice e lineare di quello relativo ai giudici.

In effetti, voi prospettate l’elezione popolare dei giudici singoli. Chiarisce meglio il punto?

Come abbiamo appena visto, la Costituzione prevede un giudice professionale asettico che applica scientificamente la legge, per cui non esercita alcun potere, tanto da sottrarsi all’applicazione dell’articolo 1 della Costituzione, per il quale la sovranità appartiene al popolo. E, quindi, essa detta gli articoli dal 101 al 107 per rendere possibile la sua neutralità. Ma all’articolo 106 prevede un’eccezione per il giudice singolo, in quanto è sempre possibile impedire agli altri poteri di influenzarlo, ma molto più difficile che si autocontrolli. E noi, con i pretori d’assalto, abbia mo avuto la prova che non solo non si autocontrollano, ma sono giunti a esercitare i ruoli: della Corte costituzionale, giudicando direttamente la costituzionalità della legge; del Parlamento, formulando la nuova legge costituzionalmente corretta; del governo, ordinando talvolta agli organi amministrativi l’applicazione di tale nuova legge; del giudice, finalmente, applicando la nuova legge, retroattivamente, con atto di arbitrio inaudito perfino nelle dittature. Ora il clima è cambiato, ma il rischio resta.

Fra le tante proposte di riforma, voi indicate il “ripristino del correttivi”, in campo sia civile sia penale. Che cosa in tendete?

La Costituzione blinda il giudice dalle interferenze degli altri poteri, ma lo lascia solo con la sua coscienza per quel che riguarda l’influenza del suo orientamento politico. La lacuna, nei limiti del possibile, è stata colmata dal legislatore ordinario con i seguenti correttivi: la distinzione delle controversie in base al valore, in maggiori e minori; la corrispondente distinzione dei giudici in monocratici per le controversie minori e collegiali per quelle maggiori; la motivazione della sentenza; la sua impugnabilità; la sua esecuzione differita.

Con l’applicazione integrale di que sto sistema, la giustizia non funziona va perfettamente, ma di certo non era il fallimento attuale, mascherato solo parzialmente dalle lunghe prescrizioni, dai procedimenti di ammissibilità, eccetera. Allora il suggerimento è semplice: ripristiniamo gli originari accorgimenti di cui si è appena detto e forse salviamo il sistema.

Altrimenti?

L’alternativa è la cancellazione della Costituzione in materia, l’abolizione del giudice professionale, il pensionamento degli attuali giudici e l’adozione della giuria in applicazione dell’articolo 1 della Costituzione.

E per il penale?

Per il tribunale, la Corte d’appello e la Corte di cassazione, il discorso è identico a quello riguardante il civile, con l’aggravante che non si tratta solo di soldi, ma della libertà personale, che è il bene più prezioso. Allora o ritorno immediato al giudice professionale apolitico il più possibile previsto dalla Costituzione e dai correttivi suddetti o la giuria in applicazione dell’articolo 1 della Costituzione. Quello che è assolutamente intollerabile, in ogni caso e soprattutto in penale, è il giudice professionale iper-garantito a vita professionale che fa il giudice politico.

E le Corti d’assise?

La giuria classica anglosassone decide sul fatto in base alla consuetudine. Ai “giudici popolari” previsti dall’articolo 102 della Costituzione non è attribuita la giurisdizione sul fatto in base alla consuetudine, che non abbiamo. È attribuita solo la “partecipazione” alla giurisdizione insieme a due giudici professionali in funzione di presidente e di giudice relatore che, con la loro competenza giuridica, sono destinati a influenzare notevolmente il giudizio.

Insomma, un sistema misto all’italiana che, però, sembra funzioni. Tanto che finora non ha subito alcuna modifica. Quindi abbiamo deciso di non toccarlo. Naturalmente, tranne nel caso in cui la giuria fosse adottata per gli altri giudici collegiali. In tal caso, non potrebbe che essere estesa anche alle Corti d’assise.

Veniamo ai Pm e completiamo il discorso iniziale.

La premessa è che la Costituzione prevede un unico Pubblico ministero (articoli 107, 108 e 112) presso la Corte di cassazione, cui erano (e dovrebbero essere ancora oggi) subordinati i Procuratori generali presso le Corti d’appello, cui a loro volta erano subordinati i Procuratori della Repubblica presso i tribunali, essendo i rispettivi “sostituti” – come dice la parola – dipendenti privi di autonomia professionale.

Quindi, in difetto della riforma del governo di cui si è detto, dovrà esse re ripristinato il Pubblico ministero unico che, tra l’altro, è tuttora non soggetto “soltanto alla legge”, come invece lo sono i giudici magistrati, tal ché dovrà intendersi ancora soggetto al Ministro della Giustizia. Dunque, non potrà disporre autonomamente del diritto di esercitare e coltivare l’azione penale. Figurarsi se potrà continuare a farlo ciascun singolo sostituto, come ora avviene di fatto. E, in quanto magistrato, senza nessun controllo.

E allora?

La verità è che la titolarità dell’azione penale non può essere attribuita ad altri che al Ministro della Giustizia e mai al suo rappresentante (procuratore, appunto).

Come se ne esce?

Noi riteniamo che sia giunto il mo mento di tornare tra i paesi democratici, con l’abolizione degli articoli 112 della Costituzione e 358 del Codice di procedura penale, e l’elezione del Pubblico ministero. Una soluzione che si armonizza con la Costituzione e, nel contempo, dà al Pubblico ministero quel tanto di autonomia che non ne fa un’espressione diretta del potere politico. Inoltre, questa soluzione renderebbe inutile la riproposizione dell’immunità parlamentare totale, che potrebbe essere sostituita da una immunità limitata al tempo dell’espletamento della funzione, come in Francia.

Il libro, propone anche diverse altre riforme, ma è su questa che si gioca il destino dell’Italia.