FERMIAMO LA DISTRUZIONE DELL’UOMO
Quali sono le condizioni attuali del mercato globale mondiale dell’industria ceramica?
La maggior parte della produzione di ceramica italiana è costituita da piastrelle e da lastre. Oggi, la produzione mondiale è di oltre 15 miliardi di metri quadrati all’anno, i cui due terzi sono prodotti in Asia, dove, se la produzione registra un calo in Cina, sta crescendo moltissimo in India. Noi europei ne produciamo intorno al 10%, circa il 7% viene dai paesi sudamericani e il resto da diversi continenti.
Da sempre lo sviluppo civile di un paese si accompagna alla maggiore richiesta di ceramica. Nei paesi poveri, per esempio, lo sviluppo passa dalla necessità di utilizzare la ceramica, perché risponde a criteri di maggiore igiene, che migliora la qualità della vita: si incomincia a mangiare nei piatti di porcellana o di ceramica, i bagni hanno sanitari in ceramica e i pavimenti e i rivestimenti permettono di igienizzare le abitazioni, riducendo l’impatto delle malattie e, quindi, il costo sociale della sanità del paese in via di sviluppo.
Quali sono i problemi che attanagliano le piccole e medie imprese?
Attualmente, in Italia, le industrie di piccole dimensioni si trovano in difficoltà ad adempiere alle nuove normative sempre più stringenti. Il whistleblowing, per esempio, permette a chiunque e soprattutto ai dipendenti di fare una segnalazione anonima a un ente di controllo per denunciare una illegalità o la non corretta gestione di alcuni parametri all’interno delle imprese. Questa è un’attività abbastanza rilevante, che si aggiunge agli oneri per il rispetto della privacy di cui sono già gravate le aziende. Senza contare altre normative che hanno inflitto colpi ulteriori alle piccole aziende, come per esempio quella degli ETS (Emissions Trading System), legata alla gestione dell’energia. Inoltre, la crisi delle materie prime, che è seguita alla guerra in Ucraina, ha avuto ripercussioni durissime nel nostro settore. Le argille di migliore qualità, infatti, venivano dal Donbass.
In che modo il sistema di scambio delle emissioni di anidride carbonica (ETS), che ciascun’azienda deve dichiarare, rischia di essere una nuova tassazione?
Questa è una delle misure stabilite per controllare le emissioni che possono creare problemi economici e sociali. Ma occorre considerare alcuni parametri di base. Primo, l’Europa emette l’8% della CO2 del mondo, quindi anche se l’azzerasse non cambierebbe niente. La Nigeria in sei mesi recupera quell’8%. Quindi, era importante creare meccanismi competitivi: emetto meno CO2 perché divento più competitivo, consumo meno energia e faccio vedere a tutto il mondo che la mia tecnologia è migliore. A quel punto si otteneva il risultato sperato e poi anche gli altri avrebbero seguito l’onda. Ma questo gioco non potrà funzionare se continuiamo a fare leggi che rischiano di impoverire le aziende. Gli imprenditori saranno costretti a delocalizzare, non soltanto per l’aumento dei costi delle materie prime, ma anche perché nel mercato devono competere con imprese di altri paesi che vendono a prezzi estremamente ridotti.
Il problema è nell’ideologia di base. Quando si parla di sostenibilità non bisogna considerare solo l’aspetto della sostenibilità ambientale, perché la sostenibilità deve essere allo stesso tempo anche sociale ed economica. Il commercio delle quote di emissione ha obbligato tutti i produttori a dover pagare per l’emissione di CO2. Da quando è stata emanata questa normativa siamo passati da 4 euro tonnellata a 90 euro tonnellata, perché in questo gioco è stata favorita la speculazione finanziaria. Ma, se andiamo a controllare, circa due anni fa abbiamo emesso più CO2, quindi vuol dire che qualcosa non funziona. Sono state drenate risorse finanziarie alle aziende, che invece avrebbero potuto investire proprio per ottenere migliori performance ambientali.
Inoltre, i dati pubblicizzati non mi sembrano molto chiari. Sembra che a questo mondo con le rinnovabili si possa fare tutto. Ma abbiamo idea di che cosa comporti questo? In Italia consumiamo 300 Tera wattora di energia elettrica. L’ex ministro Roberto Cingolani dice che di questi 300 Tera wattora il 65% è già prodotto da rinnovabili. Ma, se vogliamo utilizzare l’automobile elettrica e la caldaia elettrica, in casa di Tera wattora ce ne serviranno mille. E come facciamo a moltiplicare per tre la produzione di energia elettrica in questo paese? Non si fa su due piedi e non certo con le pale eoliche o con i pannelli fotovoltaici, ma servono altre soluzioni. Ho sentito un illustre cittadino di Sassuolo, nel presentare il programma di Confindustria, dire chiaro e tondo che la transizione va fatta verso il nucleare o rischiamo di non uscire da questa situazione. L’energia nucleare è più sicura e più pulita, inoltre garantisce il futuro al paese. Io ho avuto occasione di visitare il Brasimone e ho constatato che abbiamo tecnologie avanzate in Italia anche per la capacità di fare centrali nucleari di quarta generazione e di piccole dimensioni, che usano come combustibile le scorie delle vecchie centrali nucleari. Quindi, stiamo parlando di economia circolare nucleare.
La politica della transizione energetica ha portato all’emanazione di molte normative e usi che creano problemi soprattutto alle medie e piccole imprese… Possiamo rispondere con un esempio. Una multinazionale che compra e rivende materiale da costruzione ha deciso che la ceramica non è sostenibile, perché lo è molto di più il LVT (Luxury Vinyl Tiles). LVT è una stratificazione di plastiche di qualità scadente. Vi lascio immaginare che tipo di particelle si sprigionino nel caso di un incendio. Sono andato a parlare con questa multinazionale proprio per capire perché penalizzavano la ceramica per favorire questo nuovo prodotto, che è certamente più facile da posare ed è più leggero da trasportare, ma non è ignifugo, non ha garanzie di igiene e di durata. Alla fine ho capito che il vantaggio fondamentale è dato dai costi di trasporto, essendo un materiale più leggero della ceramica. Le multinazionali creano dei vademecum e il fornitore è confermato soltanto se risponde come vogliono loro. E questo è fare ecologia, secondo voi? In pratica, quando il fornitore adempie a quegli standard è migliorato il profitto di queste multinazionali, ma non quello della piccola impresa. Questo è quanto sta accadendo.
Qual è il processo produttivo della ceramica italiana?
Partiamo dalle materie prime, che in termini tecnici sono gli alluminosilicati, ovvero sabbie e argille che costituiscono il 95-96% della crosta terrestre, quindi materia prima inesauribile. In Europa la vita media di manufatti di queste materie è normata a cinquant’anni, negli Stati Uniti a settanta. Ora faccio un esempio: qui siamo a Vignola, dove c’è un castello fatto di mattoni. Da quanti anni sono stati sfornati? Qual è il loro impatto ambientale? Stiamo parlando di leggi prodotte in base a dati che sono sconosciuti, ma che poi ci obbligano a fare il cappotto alle case con 8 centimetri di polistirene! Ma se facessimo una doppia parete di mattoni questa durerebbe per tutta la vita. Quel polistirene, invece, tra quindici anni diventa polvere. Il guaio è che l’incendio divampato nei palazzi di Valencia, in febbraio scorso, è il terzo più grave avvenuto in Europa, dopo quello che ha prodotto trecento morti in Inghilterra e poi dopo quello avvenuto a Milano. È scoppiato un incendio nel terrazzino di un palazzo e si è esteso agli altri quattro lì vicino. Quel materiale è dichiarato ignifugo fino a 630 gradi, ma quando prende fuoco non si spegne più. Se quei quattro palazzi fossero stati rivestiti di ceramica oggi sarebbero ancora in piedi e non sarebbe morto nessuno. La ceramica non brucia ed è materiale ignifugo, considerato che viene fuori da un forno a 1200 gradi.
Dico chiaramente che per tutta la pianificazione della transizione energetica bisognava fare opposizione dieci anni fa, quando i burocrati di Bruxelles hanno incominciato a stabilire che nel 2030 avremmo assorbito il 55% delle emissioni. Ma in base a quale parametro è stato stabilito questo? Dov’è il piano? Dov’è l’energia alternativa per farlo? Semplicemente non c’era. Non c’era allora e non c’è ancora oggi: il 2030 è qui alle porte. E occorre che incominciamo a dire ai cittadini che non è vero che si può ottenere questo risultato. A meno che non pensiamo forse che per ottenere emissioni zero dobbiamo deindustrializzare un continente! Ma chi glielo va a spiegare alla gente che perde il posto di lavoro per questo concetto ideale?
E poi si parla di distruzione del pianeta. Ma il pianeta non lo distrugge nessuno! Invece si sta consumando la distruzione dell’uomo e chi ci va di mezzo siamo tutti noi che abitiamo questo pianeta. Si difende e si rimette a posto da solo il pianeta, senza bisogno di questo ecoterrorismo. Poi, stiamo parlando di transizione energetica nel momento in cui abbiamo due guerre con bombe che stanno emettendo chissà che cosa nell’aria? Altro che la CO2!
Qual è la sua proposta per rilanciare l’edilizia in Italia?
È necessario riattivare l’edilizia in questo paese, ma non con il ricorso agli incentivi del 110%, che invece sono stati utili soltanto al 5% delle abitazioni essendo però pagati da tutti i cittadini italiani. Tuttavia, è vero che ci sono nuove necessità di costruire con criteri antisismici, a risparmio energetico e soprattutto per abbattere le barriere architettoniche. Noi abbiamo un patrimonio edilizio che risale agli anni sessanta. Le case popolari che hanno tre o quattro piani non sono dotate di ascensori e lì vivono relegati molti anziani. La prima necessità assoluta che abbiamo oggi è di rimettere mano alle normative per i permessi di costruzione. In Italia molti comuni non lasciano costruire un edificio che sia più alto della torre o dell’orologio della città. Ma perché? Noi abbiamo il fior fiore degli architetti che potrebbero fare progetti stupendi con il criterio sempre più diffuso di costruire edifici sviluppati in altezza, in modo che occupino poco suolo e siano vicini al centro delle città, impiegando moderni ascensori che consentono il risparmio energetico perché servono tanti piani. In questo modo anche la socialità migliorerebbe e si ridurrebbe la mobilità con i mezzi di trasporto. Mi spiegate perché non possiamo fare queste cose? Certamente bisognerà cambiare le regole di costruzione e in certi casi occorrerà demolire per ricostruire in spazi più piccoli. Il paese non cresce se non trova il modo di svilupparsi e l’economia sta in piedi quando l’edilizia funziona. Ma se viene bloccata l’edilizia anche l’economia si blocca.
Il testo di Giovanni Savorani è tratto dal suo intervento al Rotary Club Vignola, Castelfranco Emilia e Bazzano (Vignola, 26 marzo 2024).