L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: QUALI IMPLICAZIONI PER LE IMPRESE ITALIANE

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CEO di TEC Eurolab, presidente Giovani Imprenditori Confindustria Emilia

Prima di passare ad alcune considerazioni sull’intelligenza artificiale, racconto brevemente come è avvenuto il mio incontro con questa tecnologia. Nel 2013, subito dopo la laurea in ingegneria meccanica, iniziai a lavorare in TEC Eurolab – l’azienda di famiglia, centro di eccellenza specializzato nelle prove di laboratorio e nei controlli non distruttivi per le industrie manifatturiere –, introducendo la tomografia industriale, tecnica di controllo a raggi X che permette di ottenere un’immagine 3D dei componenti industriali per rilevarne i difetti interni e misurarne le dimensioni con precisione micrometrica. Nel 2018, tramite tomografia industriale, ci venne richiesto di controllare più di 4.000 componenti aeronautici, ciascuno a sua volta composto da migliaia di sezioni. Mi proposi quindi di migliorare il processo di controllo per ottenere tre importanti risultati: migliorare la produttività, aumentare l’affidabilità e migliorare l’ergonomia del controllo per il tecnico operatore. Puntando a una parziale automazione di questa ripetitiva attività di controllo, ho intuito che l’intelligenza artificiale potesse essere un valido aiuto. Quindi ho prima seguito un breve master online organizzato dal MIT di Boston sulle applicazioni business dell’AI, poi ho interpellato una start-up di Trento specializzata in computer vision per la messa a punto di un algoritmo AI di ausilio al nostro controllo tomografico. Qualche anno dopo, nel 2022, la nostra azienda ha investito in questa start-up tramite aumento di capitale, per avvalersene ulteriormente e per poterne proporre le innovazioni anche ai nostri clienti industriali.

Questa è la mia diretta testimonianza imprenditoriale. Ma per l’industria, e in particolare per le nostre PMI, cosa comporta l’intelligenza artificiale? Innanzitutto, dovrebbe essere considerata uno strumento. Uno strumento rivoluzionario come lo furono gli utensili in ferro che determinarono la fine dell’età del bronzo. Immaginiamo che cosa abbia voluto dire per quelle popolazioni che, non avendo accesso all’innovazione metallurgica, si sono trovate a combattere con armi di bronzo contro armi di ferro. È essenziale conoscere bene e sapersi avvalere degli strumenti e delle innovazioni tecnologiche perché, se anche non lo facciamo noi, certamente lo faranno i nostri competitor.

In una fase storica in cui le aziende d’eccellenza non trovano abbastanza disponibilità di collaboratori adeguatamente formati, ritengo inoltre sia vano preoccuparsi della possibile perdita di posti di lavoro per effetto dell’innovazione tecnologica. Quando fu inventato l’aratro, credo che in pochi si siano preoccupati che potesse sottrarre posti di lavoro, felici piuttosto che migliorasse il sostentamento. Forse, l’invenzione del trattore ha destato qualche preoccupazione in più. Ma, sebbene al tempo una fascia grandissima della popolazione mondiale lavorasse nell’agricoltura, anche in questa circostanza non si è avuto un problema di carenza di lavoro. Sicuramente in seguito sono risultati necessari meno braccianti, ma più ingeneri meccanici, progettisti, e si sono sviluppati i servizi all’industria. La popolazione mondiale è aumentata, così come la ricchezza media e la qualità della vita, proprio grazie a queste innovazioni.

Tornando a un esempio specifico, la computer vision, una delle applicazioni industriali dell’AI, consente tramite una telecamera o altri sensori visivi, di rilevare elementi anche invisibili all’occhio umano e d’interpretare le immagini registrate. Certo, qualcuno potrebbe ancora obiettare che il controllo qualità tramite computer vision farà perdere il lavoro all’operatore che lo faceva prima. Tuttavia, nella maggior parte dei casi l’algoritmo lavora in sinergia con l’operatore e non in sostituzione completa, perché interviene in modo differente. L’intelligenza umana e quella artificiale si integrano, non si sostituiscono. Inoltre, la maggiore disponibilità di strumenti di questo tipo può estendere la capacità di controllo ad ambiti cui precedentemente era preclusa a causa dei costi troppo elevati. Quindi, con l’estensione degli ambiti di intervento, il lavoro non cala, ma semmai aumenta, anche al netto dell’automazione.

Oltre alla computer vision occorrerebbe accennare anche ad altre tecnologie di intelligenza artificiale, come l’elaborazione automatica di testi (NLP) diventata recentemente nota grazie a Chat GPT, e come gli algoritmi predittivi o prescrittivi. Molte di queste applicazioni sarebbero sembrate fantascienza meno di cinque anni fa. E purtroppo lo sembrano ancora per quelle aziende che ancora non si sono neanche affacciate alla digitalizzazione dei processi, anzi, diverse continuano a lavorare con il cartaceo. L’intelligenza artificiale è un’estrema automazione del digitale, così come la robotica è un’automazione della meccanica, ma se questa transizione è ancora incompleta – non solo in Italia – rischiamo di trovarci grandi contrasti: cattedrali di automazione adiacenti a baraccopoli di arretratezza. Come pensiamo di avvalerci dell’intelligenza artificiale se in alcune aziende c’è chi ancora usa la calcolatrice per verificare i conti eseguiti da Excel?

È essenziale che le nostre imprese facciano la loro parte nella rivoluzione in atto e si attrezzino, ciascuna secondo i propri mezzi, per farvi fronte. Le grandi aziende stanno facendo investimenti importanti per esplorare al loro interno le opportunità dell’AI, mentre le PMI, che chiaramente hanno meno possibilità di costituire un team dedicato, devono decidere se avvalersi subito di professionisti esterni per avvantaggiarsi sulla concorrenza o se al contrario attendere che tali strumenti divengano disponibili a tutti, perdendo magari posizioni di mercato. L’intelligenza artificiale raggiungerà man mano numerosissime applicazioni. Ciò che resta da vedere è in che tempi, e chi se ne avvantaggerà a danno di chi invece ritarderà attendendo di essere trascinato.

Tuttavia, per l’adozione dell’intelligenza artificiale purtroppo non è sufficiente la decisione dell’imprenditore o del dirigente. Affinché siano efficaci queste tecnologie devono essere diffuse in ciascun settore dell’azienda in modo trasversale: dal responsabile marketing all’addetto vendite, dal responsabile di produzione ai collaboratori più giovani, ciascuno deve essere messo in condizione di esplorarle. Occorrono dieci, venti, trenta “esploratori” in ciascuna azienda, perché innovazioni così pervasive non funzionano se sono introdotte soltanto dall’alto. Si tratta quasi di imparare una nuova lingua. Mai come nel caso dell’intelligenza artificiale, il cervello dell’impresa non è prerogativa dell’imprenditore o dei dirigenti, ma ciascun collaboratore ha la chance di trovare l’applicazione specifica per il proprio compito.

In conclusione, ritengo che non ci sia alternativa all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Il mio auspicio è che l’Occidente per primo si avvalga di queste opportunità in modo etico. Rifiutare questi strumenti significherebbe lasciare campo libero ai regimi autocratici, cinese o russo, per non essere vaghi, che certamente ne trarrebbero il peggio.