L’INDIFFERENZA: IL NOSTRO PIÙ GRANDE NEMICO

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presidente di TEC Eurolab, Campogalliano (MO), di ALPI e di EUROLAB

A partire dai dati sull’andamento demo grafico nel nostro paese, l’Istat ha rilevato che tra vent’anni ci saranno 6,8 milioni di italiani in meno in età da lavoro. Per alcuni economisti questo porterà a un nuovo tipo di recessione causata dalla mancanza di lavoratori, che si aggiungerà all’attuale miss-match fra domanda e offerta, che sta già mettendo in crisi le aziende di vari settori. Anziché limitarci a fare previsioni negative, possiamo pensare a nuovi modi di lavorare e di vivere, a una nuova economia con esigenze oggi inimmaginabili?

È una questione veramente complessa. Innanzitutto, è difficile fare previsioni su ciò che sarà necessario fra vent’anni, considerando che stia mo vivendo una fase di forti cambia menti, come quelli legati all’intelligenza artificiale, di cui non conosciamo ancora bene l’incidenza che avrà nella maggior parte dei processi produttivi. Non sappiamo quali saranno le esigenze future delle aziende. Certamente in molte attività continuerà a essere necessario l’intervento diretto della mano dell’uomo: nel settore edile, per esempio, è difficile immaginare i robot che costruiscono un edificio, anche se i cinesi hanno già realizzato qualche casa con la stampa 3D. Se penso alla nostra azienda, fra vent’anni alcuni reparti potrebbero essere organizzati in modo differente rispetto all’attuale: probabilmente, l’interazione con il mercato per quanto riguarda lo scambio di informazioni standard, che oggi passa ancora attraverso le persone, sarà automatizzato, mentre rimarrà di fondamentale importanza l’intervento del tecnico che presiede all’esecuzione dei test e alla valutazione dei risultati; magari potrà essere agevolato dall’utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale, ma sarà sempre il tecnico a guidare il test e a esprimere il giudizio finale.

Quindi quali saranno le esigenze delle industrie fra vent’anni e quali quelle della pubblica amministrazione, la cui attività può essere quasi completamente digitalizzata e automatizzata? Di sicuro saranno necessarie ulteriori competenze, e questo è il primo aspetto che hanno toccato i relatori del convegno I giovani e le imprese dell’avvenire (Modena, 23 novembre 2023), nell’ambito del quale si è discusso anche di un altro aspetto molto importante: i cosiddetti NEET, i giovani dai 15 ai 24 anni che non lavorano e non studiano e che in Italia sono il 20%. Ma questi giovani vanno recuperati anche con operazioni sociali, dando un senso allo studio e al lavoro e facendo in modo che si sentano protagonisti, partecipi e che non prendano cattive strade, una del le quali, anche se non la più evidente, è l’indifferenza rispetto a quanto ci circonda.

Quale sarà poi l’effetto delle ondate migratorie? Saremo in grado di tra sformare un problema a oggi ingestibile in un’opportunità da cogliere? Sapremo rispondere al calo demografico con una politica di accoglienza controllata? Potremmo iniziare subito, per esempio inserendo i minori non accompagnati in un percorso formativo e culturale appositamente studiato per loro, anziché lasciarli chiusi in strutture dove non ricevono servizi dedicati al loro inserimento sociale, tanto che dopo un anno di permanenza non sanno che poche parole di italiano. La questione è totalmente politica e richiede un approccio di lungo periodo, mentre la nostra politica vive del brevissimo termine, con partiti costantemente in campagna elettorale per comunali, regionali, europee, politiche.

Inoltre, non si può parlare di cosa ci aspetta tra vent’anni senza toccare il tema dell’istruzione: a partire dalle elementari, per arrivare alle medie e alle superiori, occorrerebbe cambiare i modelli e adeguarli a ciò che siamo oggi e che pensiamo di essere nel futuro. Invece, siamo inesorabilmente fermi: la scuola, salvo rare particolarità, è un mondo a parte, non c’è comunicazione con le imprese, e nemmeno con gli enti pubblici, con la conseguenza che al termine del ciclo di studi il ragazzo non ha idea di cosa aspettarsi, non ha idea di come funzioni un’azienda, di come inserirsi, di come crearsi opportunità; per non parlare dell’assoluta mancanza di educazione all’imprenditorialità o della completa assenza di formazione finanziaria in un mondo che è dominato e determinato dalla finanza.

In breve, il problema dei giovani è talmente complesso che non è affrontabile con un’unica azione, occorre un’operazione culturale, politica e sociale che riesca, tra le altre cose, a far percepire ai ragazzi l’importanza della vita, la fortuna di avere ricevuto il dono della vita e, quindi, la spinta a restituire qualcosa di questo dono.

In che modo?

Ciascuno può trovare un proprio modo di adempiere al compito insito nel dono della vita, perché ciascuno ha un “fuoco” dentro di sé che lo spinge in una direzione o nell’altra e gli consente di dare un contributo alla civiltà. Ma per questo occorre coinvolgere i giovani, in modo che possano scoprire verso quale setto re o passione indirizzare il proprio interesse – medicina, ingegneria, assistenza agli anziani, insegnamento, impresa, sport, cultura, arte, scienza, e così via – e capire quali sono i loro sogni, ammesso che sappiano ancora sognare.

Qual è l’età media in TEC Eurolab?

L’età media è di 34 anni, ma si tratta proprio di una media: abbiamo i giovanissimi, i ventenni, ma anche qualcuno che si affaccia alla soglia dei cinquanta, quindi un’azienda giovane, ma dove non manca l’esperienza. Devo poi rimarcare l’elevato grado di maturità dei nostri giovani. Diversi di coloro che hanno superato la trentina hanno un’esperienza azienda le che va dai cinque ai dieci anni e sono giovani che hanno già superato quella fase della vita in cui si definisce il per corso professionale; inoltre, molti di loro sono sposati, con figli, sono forte mente motivati e sono di esempio e di stimolo ai ventenni che arrivano nella nostra azienda, chi per restarci, chi per fare uno stage, chi per il tempo di pre parare una tesi e chi per quei quindici o venti giorni previsti dall’alternanza scuola-lavoro. Ciascuno, comunque, indipendentemente dal tempo in cui rimane con noi, è accolto in modo che si senta utile nel programma della giornata, per cui anche i tanti ragazzi che provengono dalle scuole, fin dal primo giorno, indossano il camice ed eseguono le analisi, chiaramente seguiti dal loro tutor che non solo ne sovrintende l’operato ma anche trasmette loro l’entusiasmo per questo lavoro, o comunque consente loro di capire se le attività di laboratorio possono riguardare il loro futuro o almeno di capire che cosa si fa in un laboratorio tecnologico e, in ogni caso, l’esperienza risulta loro molto utile.

Il nostro grande nemico è l’indifferenza, l’indifferenza della politica verso i giovani, l’indifferenza dei giovani verso le scelte politiche, l’indifferenza di chi dice: “Io non posso farci niente”. A me dispiace non avere tante leve per fare qualcosa, ma almeno all’interno dell’azienda facciamo del nostro meglio per e con i tanti giovani che arri vano da noi. È una goccia, ma ci sono tanti imprenditori che stanno facendo altrettanto o anche meglio, e qualche risultato sta arrivando, lo constatiamo anche nelle testimonianze pubblicate in questa rivista, “La città del secondo rinascimento”, che potrebbe trovare anche il modo di avvicinarsi un po’ di più ai giovani, magari invitandoli a scrivere, come in questo numero.

Ma se non ci sarà un intervento vigoroso della politica, temo che i cambiamenti in atto possano assumere connotazioni negative per i giovani: occorre prospettare loro opportunità di studio, di impiego, di realizzazione di un progetto di vita.

Per quanto mi riguarda, nutro gran di speranze e aspettative per i giovani, ne abbiamo incontrati molti che dimostrano una forte motivazione, sono preparati e sono disposti a fare sacrifici per seguire le loro ambizioni. Tuttavia, temo che aumenti sempre più il divario tra questi giovani e gli altri, quelli che non studiano, non lavorano e non sono nemmeno interessati a trovarlo un lavoro, i cosiddetti NEET. Questo si tramuterà in una crescente differenza tra chi può fare delle cose, ottenere risultati, costruirsi un futuro e chi se ne sta sul divano con la playstation. Facciamo attenzione perché più aumenta la differenza di potenziale tra chi può e chi non può e maggiore diventa il rischio di una disgregazione sociale, magari difficile da contenere. Se dovessi andare alle origini di questa crescente differenza di potenziale sociale, pur ammettendo che non sono un sociologo, punte rei il dito su due concause. Da un lato, un mancato adeguamento del sistema formativo, per scarsi investimenti o non efficiente utilizzo delle risorse o per una gestione improntata a difendere posizioni acquisite a scapito dell’innovazione, tutte questioni che hanno portato la scuola a un crescente allontana mento dalle esigenze della società, con il conseguente scollamento tra organizzazione sociale e formazione. Un secondo punto riguarda il ruolo della finanza che da tempo è a sua volta scollegata dalle esigenze sociali. La finanza mira a creare denaro dal denaro: sposta enormi masse di denaro senza contribuire in modo strutturato al benessere sociale. Sono mondi che fanno fatica a dialogare: la scuola è per la scuola, l’impresa per l’impresa e la finanza per la finanza, ognuno per conto proprio, con scarsi punti di contatto. Sono argomenti che meritano una trattazione ben più approfondita e competente di quanto io possa esprimere, ma gli effetti mi paiono evidenti, compreso il fatto che la formazione ha perso parte delle sue caratteristiche di ascensore sociale: anche se ti impegni nello studio e prendi una laurea o magari due, avrai risolto solo una piccola parte dei tuoi problemi. E allora qualcuno, sbagliando, pensa: ma chi me lo fa fare? E se ne sta sul divano ad aspettare sussidi pubblici.

È un grande spreco di risorse, bisogna fare tutto il possibile per recuperare questi ragazzi, non possono tirarsi indietro, non devono immolare la costruzione del proprio futuro, in pratica la loro vita, sull’altare dell’indifferenza, del “non mi riguarda”, del “tanto non cambia nulla”.