IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ ALLA TRASFORMAZIONE IN ATTO
Vorrei introdurre il mio intervento a questo convegno, I giovani e le imprese dell’avvenire (Modena, 23 novembre 2023), con un aneddoto: un amico che viene da una famiglia di origine ebrea, un neurofisiologo come me, mi ha raccontato che suo nonno, subito prima della seconda guerra mondiale, viveva in Germania con la famiglia ed ebbe l’intuizione molto felice di emigrare negli Stati Uniti. Era una famiglia che viveva in condizioni agiate e non sapeva che cosa avrebbe trovato negli Stati Uniti e neanche se sarebbe riuscita ad arrivarci. Allora, il nonno radunò i figli e i nipoti e disse loro: “Noi qui lasciamo tanti beni, ma c’è un bene che nessuno potrà mai portarvi via: quello che avete nel vostro cervello”. Sta qui la grande forza di un popolo che ha avuto la storia che sappiamo, ma che ovunque nel mondo ha portato intelligenza, mente, cervello. Che non vuol dire – riallacciandomi a ciò che diceva giustamente Patrizio Bianchi – attività puramente intellettuale, ma tutte le forme di skills e di abilità, comprese quelle più manuali, perché il nostro corpo non è separato dal cervello, ne è governato, e ciascuno di noi utilizza il cervello secondo ciò che gli è più congeniale o che gli è stato reso possibile dall’educazione. Questo è un primo messaggio molto importante: educhiamo noi stessi per quelle che sono le nostre capacità, che nessuno può toglierci.
Nel titolo di questo convegno ci sono tre parole – giovani, imprese e avvenire –, che mi hanno evocato altre tre parole che normalmente si associano all’università: didattica, ricerca e terza missione. Le prime due più tradizionali, mentre la terza, che risale a circa venticinque anni fa, oggi si specifica in modo più appropriato come impatto sociale. Sono tre missioni dell’università che s’intersecano fra loro perché non c’è una formazione di alto livello senza ricerca e innovazione e non c’è impatto sociale senza una formazione di alto livello che deriva dalla ricerca e dall’innovazione. Quindi credo che l’università – insieme agli altri attori della formazione e agli ITS – sia veramente al centro del cambia mento di cui parlava Patrizio Bianchi. Ma qual è il contributo che possiamo dare alla trasformazione in atto? Prima di tutto, dobbiamo essere attrattivi verso i giovani, ovvero non dobbiamo lasciare che restino al di fuori di questo processo, perché sarebbe una perdita per tutti. Pertanto, è estrema mente importante l’orientamento, un aspetto rispetto a cui Unimore sta iniziando una collaborazione più stretta con altre realtà del territorio, partendo da percorsi che finora erano paralleli: offriamo orientamento in ingresso alla formazione post-diploma, ma anche orientamento in itinere – per far sì che, se uno studente si rende conto di non aver scelto inizialmente la strada più congeniale, può cambiare percorso, e qui entrano in campo le sinergie tra diversi tipi di percorso professionalizzante –, e chiaramente orientamento in uscita, per trovare la collocazione migliore in quei tre anni che oggi sono, a livello internazionale, il tempo di permanenza in un posto di lavoro, ma che comunque sono estremamente importanti per il futuro della persona perché la introdurranno nel mondo del lavoro a pieno titolo.
La prima cosa che possiamo, e dobbiamo, fare come università è quella di passare da un insegnamento top-down a un insegnamento più interattivo. Questo è fondamentale, innanzitutto perché è molto più motivante e poi perché sviluppa negli studenti tutte quelle competenze che strutturano la capacità di apprendere, il vero tesoro che si porterà dietro per tutta la vita chiunque frequenti un istituto di alta formazione professionale. Capacità di apprendere, capacità d’interazione e, aggiungerei, educazione civica, educazione alla tolleranza e al rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza, come quelle purtroppo evocate da tanti episodi di questi giorni. Le università devono offrire un ecosistema formativo che aiuti ad appassionarsi alla ricerca, alla formazione e all’impatto sociale, più di quanto non stiano facendo attualmente. Questa è una delle missioni fondamenta li di Unimore e la stiamo portando avanti in vari modi. Per esempio, con lo sviluppo di percorsi specifici come il progetto TACC (Training for Automotive Companies Creation) – il cui protocollo d’intesa con i Giovani Imprenditori di Confindustria Emilia Area Centro è stato siglato proprio nell’ambito di questo convegno – e altri percorsi di cui è stato promotore e mentore il prorettore Gianluca Marchi e che stanno dando ottimi frutti. Ma l’università dovrebbe intervenire più come regista che come attore protagonista, cioè dovrebbe essere un perno di stimolo e aggregazione di diverse realtà sociali in ambito non solo economico-produttivo, ma anche istituzionale e culturale.
È questa una delle nuove grandi sfide che ci permetteranno di migliorare il nostro modo di lavorare per l’avvenire dei nostri studenti, del nostro territorio e del nostro paese.