DALL’ETÀ NESSUN LIMITE AL PROGETTO DI VITA

Qualifiche dell'autore: 
dirigente di struttura sanitaria, membro del direttivo dell’Associazione culturale Progetto Emilia Romagna

Fra le molte iniziative culturali, formative e informative messe in campo dall’Associazione cifrematica di Bologna e dall’Associazione culturale Progetto Emilia Romagna spiccano indubbiamente quelle riguardanti il tema degli anziani. Con puntualità e frequenza tali incontri hanno affrontato le questioni rilevanti sul tema nell’attualità. Nel corso di questi nostri convegni, a cui hanno dato il loro contributo medici specialisti, soprattutto geriatri e neurologi, psicanalisti, brainworkers, scrittori, imprenditori nei settori della salute e dell’assistenza, sono emerse questioni, ma anche proposte che hanno trovato, il più delle volte, attuazioni molto interessanti e innovative da parte di ASL e IPAB.

Sul finire degli anni novanta del secolo scorso c’è stata forse la maggiore trasformazione della nozione di assistenza, passando, dopo quasi due secoli, dalla modalità caritatevole, propria delle organizzazioni religiose, che considerava residuale la quota di popolazione per anzianità non più autonoma né in grado di continuare a vivere e a operare nella società, alla modalità di cura e riabilitazione. Con il passaggio, quindi, da istituzioni asilari pubbliche secolari quali gli ospizi o, in ambito privato, da case di riposo che non offrivano alcuna specificità di assistenza, a strutture specializzate in ambito medico, riabilitativo e assistenziale come le RSA, nelle quali confluirono anche le strutture più grandi, le IPAB. E, anni dopo, in talune regioni, come l’Emilia Romagna, anche nel settore privato sono sorte strutture come le CRA, che offrono ormai prestazioni assimilabili a quelle delle RSA. La “rivoluzione” ha riguardato non soltanto le istituzioni, ma anche le cosiddette professionalità, con l’introduzione di figure quali gli OSS e gli OSA per l’assistenza e l’obbligatorietà di figure sanitarie mediche e infermieristiche all’interno di RSA e CRA. Oltre a queste, ha assunto grande importanza anche l’introduzione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) nelle RSA di molte regioni. Il differente e più ricco monitoraggio delle situazioni di assistenza e cura, gli atti sanitari diretti, non più media[1]ti, quando possibile, dalle strutture ospedaliere, l’introduzione di indagini diagnostiche sempre più accurate e di farmaci più efficaci, integratori compresi, hanno determinato un aumento mai conosciuto prima dell’aspettativa di vita nelle prime due decadi di questo secolo, precipuamente in Europa, in particolare in Italia e ancora più in particolare nel suo Nord Est: Triveneto, Emilia Romagna, Marche e Umbria. Nella maggior parte di queste regioni la rete di assistenza territoriale alla cosiddetta “terza” o “quarta” età è più diffusa ed efficace. Ma, come spesso accade, soprattutto in medicina, il miglioramento di alcune situazioni porta anche a nuovi problemi.

Allungare la vita non vuol dire allungare anche il vivere in salute. Così la parte estrema dell’esistenza, che in tal modo ha una durata maggiore, può portare a molte patologie che le RSA non sono in grado di affrontare, per cui si sono dovuti ampliare i reparti di lungodegenza pubblici e privati e istituire nuove tipologie di reparto come quelle per le “cure intermedie”, per garantire il ricovero a coloro per i quali le cure delle RSA non sono più sufficienti o per i quali s’instaura un pendolarismo tra ricovero in RSA e ricovero ospedaliero. Tale problema, con forti impatti sull’economia, è rimasto aperto, come emerso anche negli ultimi due convegni organizzati da noi. Vi è poi la questione dell’uso, spesso dell’abuso, di psicofarmaci anche a forte azione, i cui effetti collaterali negativi sono sempre più evidenti. Ma esiste un altro problema rilevato in ciascuno dei nostri incontri, da quello del 1996 a quel[1]lo recente, L’età, le donne, il fare. Nel momento della cosiddetta “istituzionalizzazione”, cioè dell’abbandono della propria abitazione, delle proprie abitudini domestiche e di gran parte delle relazionali abituali, della “sottomissione”, in ciascun caso, a nuove regole, il proprio progetto di vita subisce quasi sempre un arresto, un ridimensionamento o una deviazione forzata. Ciò incide fortemente su quello che viene chiamato “disorientamento”, innanzi tutto emotivo. Ciascuno, nel corso della propria esistenza, formula un proprio progetto di vita e, nella “terza” e “quarta” età, è ancora più forte l’esigenza di attenervisi. La stessa prosecuzione del progetto è garanzia di riuscita dello stesso, al di là del raggiungimento degli obiettivi materiali.

Negli anni in cui ho lavorato nella riabilitazione fisica degli ospiti in strutture che accoglievano anziani ho avvertito sempre come questa esigenza fosse molto forte. Anche raccontare storie e dettagli della propria vita da parte dell’anziano può essere considerato un modo di favorire la memoria precisandola e di “passarne il testimone” a chi ascolta, meglio ancora se si tratta di una persona di fiducia, affinché questi lo aiuti a salvaguardarne la cifra e a conservare i valori che hanno orientato il suo viaggio di vita. L’instaurarsi di questa modalità di ascolto e di occasione di parola è molto importante anche per il mantenimento della salute. Ma la “figura” esterna all’organizzazione istituzionale in grado di sostenerla non può essere effimera. Educatori e psicologi intervengono spesso in modo standard. L’elaborazione della cifrematica invece già anni fa mi ha offerto strumenti indispensabili per questo lavoro, e le riflessioni più recenti lo hanno ulteriormente arricchito. Come scrive Armando Verdiglione: “Il bello dell’età è il bello del principio della vita in atto: è il bello della tolleranza, è il bello dell’accettazione della vita. L’età della vita è l’età libera: non è l’età che serve a liberarsene. L’età della vita è l’età che nessuno porta: è l’età che nessuno pensa. È l’età che non sta sotto il nome ideale”.