SESSANT’ANNI D’INNOVAZIONE NELL’IMPLANTOLOGIA DENTALE
Oltre a privilegiare la comunicazione interna, per la gestione dei vostri team di professionisti nelle sei sedi dei Centri Odontoiatrici Victoria, voi avete sempre curato la comunicazione esterna con interviste e messaggi promozionali, che aiutano i pazienti a intendere quante e quali trasformazioni sono intervenute nel corso degli ultimi anni nell’odontoiatria e quindi a sfatare le fake news sull’invasività degli interventi odontoiatrici…
Se si considerano gli avanzamenti degli ultimi sessant’anni, al di là dei problemi che ciascun singolo paziente può avere, possiamo affermare che le procedure adottate negli interventi sono sempre meno invasive e si cerca di evitare traumi fisici che possano avere anche conseguenze psichiche. Soprattutto avvalendoci delle nuove tecnologie, oggi siamo in grado di determinare con precisione, per esempio nell’implantologia, le parti di osso più cospicue in cui inserire un impianto con maggiore probabilità di successo, mentre in passato occorreva individuare tali parti in fase chirurgica, attraverso un importante scollamento gengivale e periostale, che comportava una fase di guarigione molto più dolorosa e più prolungata.
È stato un grande passo in avanti, anche se si continua a lavorare sulla riduzione dei tempi di osteointegrazione: dieci anni fa siamo partiti da sei mesi, poi siamo passati a quattro, poi a tre e di recente abbiamo constatato casi in cui il processo si è concluso in quaranta giorni.
Quando Stefano Tramonte introdusse la vite endossea autofilettante in titanio, nel 1964, il concetto di osteointegrazione non esisteva. Era tuttavia una vite rivoluzionaria, con una spira molto accentuata che, avvitandosi meccanicamente nell’osso, dava stabilità all’impalcatura protesica. Con l’osteintegrazione, invece, l’impianto non è connesso per via meccanica, ma per via integrativa all’osso, ovvero l’unione fra l’osso e l’impianto non è dovuta alla filettatura e alla sua lunghezza, ma alla formazione di superficie ossea intorno alla spira dell’impianto. La filettatura serve soltanto a dare una stabilità primaria, a far sì che l’impianto sia fermo, perché senza stabilità l’osso non si apporrebbe.
Può dirci qualcosa di più intorno all’osteointegrazione?
Il termine osteointegrazione, coniato alla fine degli anni sessanta da Per-Ingvar Brånemark, professore svedese di biotecnologia applicata, è usato in vari campi della medicina (odontoiatria, chirurgia maxillo-facciale e ortopedia) per definire l’intima unione tra un osso e un impianto artificiale senza tessuto connettivo apparente. Si definisce “intima unione” quando lo spazio e i movimenti relativi fra osso e impianto non superano i 100 micron.
Avere un impianto ben osteointegrato è il prerequisito per una corretta terapia implantoprotesica. L’osteointegrazione è, in poche parole, la guarigione dell’osso attorno all’impianto, infatti l’osso mascellare o mandibolare integra l’impianto dentale inserito in esso grazie alla produzione di nuovo tessuto osseo. Terminata la fase di osteointegrazione, la superficie implantare viene ricoperta da osso e l’impianto è pronto per svolgere il suo compito di supporto della corona.
Da che cosa dipende la riuscita del processo di osteointegrazione?
La velocità del processo di osteointegrazione e la sua quantità variano in funzione del tipo di superficie dell’impianto, che può presentare una geometria tale da attrarre cellule osteoblaste. Una superficie liscia è meno adatta a questo scopo, per questo motivo si possono utilizzare trattamenti particolari, i più comuni sono la mordenzatura con acidi o la sabbiatura. Studi recenti hanno dimostrato che se l’impianto viene dotato di una superficie di tipo spugnoso, il processo è notevolmente più rapido e intimo. Per contro, se la spugnosità e la rugosità sono troppo accentuate, la superficie è molto più esposta a colonizzazioni batteriche che possono facilmente portare alla perdita dell’impianto stesso.
E che cosa può dirci del materiale utilizzato negli impianti protesici?
Il materiale usato per la maggior parte degli impianti è il titanio, particolarmente apprezzato per vari motivi: è molto leggero, possiede ottime caratteristiche strutturali, ha un’elasticità pari a quella del tessuto osseo, non si corrode e, grazie alla sua biocompatibilità, non provoca alcun problema al sistema immunitario.
Dobbiamo rendere onore ancora una volta al merito di Stefano Tramonte, che con l’introduzione del nuovo materiale per la sua vite rese possibile la riuscita di tutti gli impianti successivi. Deve essere chiarita questa priorità che, trent’anni dopo, alcuni hanno attribuito alla scuola svedese.
Certo, se nell’implantologia moderna tutti gli impianti hanno di mira l’osteointegrazione, questo è dovuto al citato svedese Brånemark, il primo a condurre studi sui bovini e sui maiali e a constatare che, intorno all’impianto, dopo alcuni mesi, si veniva a formare tessuto osseo.