QUALE TUTELA PER LE NORMATIVE SUI RIFIUTI

Qualifiche dell'autore: 
legale rappresentante di SerTeC Società Cooperativa - Servizi Territoriali Coordinati, Bologna

Da oltre venticinque anni lei interviene in materia di tasse sui rifiuti come consulente di enti locali, comuni e gestori del servizio, ma anche di contribuenti privati, singoli cittadini e imprese. Le varie sigle per definire i rispettivi regimi tariffari, utilizzate dal 1993 ad oggi – TARSU, TIA 1, TIA 2, TARES, TARI e TARIP –, indicano i tentativi per adattare la normativa alla complessa gestione dei rifiuti. Lei come valuta la normativa sui rifiuti in Italia?

La normativa relativa ai contribuenti per le utenze domestiche non è particolarmente complessa. Per le imprese, invece, si pone la necessità di rigore interpretativo ogni volta che, in sede di accertamento, si verifica un’eccezione alle regole. La corretta applicazione di queste eccezioni non può essere soggetta a interpretazioni estemporanee fornite senza specifici riscontri.

Questa necessità di rigore e chiarezza è stata avvertita anche tra i giudici, come autorevolmente argomentato dalla CTP Sez. II di Reggio Emilia nella sentenza nr. 296/2015: “La nostra Costituzione definisce l’imposta concorso alla spesa pubblica come dovere di solidarietà (articoli 2 e 53). «Fondato su tali principi il nostro sistema tributario richiede leggi accettabili e comprensibili dai cittadini… (sentenza 307/83)» (De Mita 12 gennaio 2014) […] I tempi sono sufficientemente maturi per uscire dalla logica sia dell’emergenza sia della preconcetta visione di una condotta imprenditoriale sempre colpevole. La possibile strategia declinabile a tal fine non è né misteriosa né nuova. Occorrono norme semplici e stabili nel tempo […]”.

Il contribuente come può tutelarsi dalle incongruenze che talvolta possono intervenire da parte dell’ente erogatore del servizio di raccolta rifiuti nel calcolare gli importi della tassa?

Tali incongruenze non sempre sono subito evidenti al contribuente, spesso estraneo alla normativa che sottende la TARI. È necessario “indagare a fondo”, anche tra i dati disponibili e rilevabili negli atti ufficiali degli enti interessati, se il contribuente è tenuto a pagare o no gli importi che la P.A. gli chiede. Il contribuente ha il diritto di verificare se è tutto corretto ed eventualmente di fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria per far valere le proprie ragioni. La mia esperienza, maturata sul campo in tanti anni di servizi prestati a vari enti, rappresenta una tutela per il contribuente nel momento in cui viene messo nella condizione di valutare e tarare una reazione “uguale e contraria”, oltre a essere essenziale nella fase di “verifica” della fondatezza delle richieste dei vari uffici tributi.

In luglio scorso, con l’ordinanza 23137/2023, la Cassazione ha stabilito come tassabile, in quota fissa della TARI, anche la superficie adibita all’attività di produzione dei rifiuti speciali (Il Sole 24 Ore, 1/08/2023), in contrasto con quanto indicato dal Ministero delle Finanze, che propende da sempre per la completa esenzione di queste superfici. È un’ulteriore conferma di una giustizia tributaria tendente a penalizzare le imprese?

Il problema è che fra la legge e la sua applicazione intervengono spesso diverse incongruenze. Se si aumentano i metri quadri di superficie produttiva di rifiuti speciali – come prescritto dalla Cassazione –, questa variazione fa diminuire le tariffe in quota fissa di tutte le classi d’attività, come previsto dal DPR 158/1999, al fine di garantire la copertura dei rispettivi costi fissi del servizio pubblico.

Questo provvedimento, piuttosto, denota l’assenza di un’analisi preventiva di fattibilità e di interazione con il d.lgs 116/2020 che, oltre a definire i rifiuti urbani da conferire al servizio pubblico, ha soppresso la classe tariffaria delle attività industriali anziché adattarla alle nuove regole.

Per calmierare sia l’aumento dei quantitativi conferibili al servizio di raccolta sia quello dei costi, nel d.lgs 116/2020 è prevista la possibilità di fuoriuscire dal servizio pubblico che, per le imprese interessate, equivale all’esenzione dal pagamento della sola quota variabile relativa alla propria tariffa TARI.

A questo proposito, da un esame dei dati forniti dalla CCIAA di Bologna per l’anno 2021, il quantitativo provinciale di rifiuti relativi ai codici CER dal 150101 al 150107, ovvero quelli che sono divenuti urbani per legge, è risultato essere complessivamente pari a 71983 tonnellate che sono state smaltite direttamente dalle imprese, ovvero non conferite ai gestori che, però, in base al d.lgs sopra citato avrebbero dovuto riconoscere a queste la relativa esenzione della quota variabile.

In generale, prima di emanare leggi così innovative, sarebbe necessario valutarne l’impatto sia sui soggetti interessati alla raccolta dei rifiuti sia su tutta la normativa prevista per il calcolo e la definizione dei piani tariffari destinati ai contribuenti. Altrimenti, a cosa serve emanare leggi che, di fatto, vengono distorte?

A volte, l’approccio del gestore o dell’ente comunale titolare della tassa sui rifiuti sembra improntato a un potere d’imperio verso il contribuente. Lungo la sua esperienza può indicare alcune proposte per rendere meno afflittiva e più efficace per entrambe le parti (ente comunale e privato) la tassazione sui rifiuti?

Per contrastare l’eccesso di potere, soprattutto nei casi di verifiche per anni pregressi, suggerirei una volontaria implementazione cautelativa per le imprese che compilano il DVR (Documento Valutazione Rischi). Occorrerebbe inserire, tra i rischi, i codici CER dei rifiuti potenzialmente producibili nei locali o nelle aree destinate all’attività, con particolare attenzione a quelli speciali e/o pericolosi, unitamente alle misure delle superfici dei vari locali e delle aree di produzione dei rifiuti.

In un’ottica collaborativa con l’Ufficio Tributi, oltre ai MUD (Modello Unico di Dichiarazione Ambientale), questi dati potrebbero essere considerati validi come autocertificazione per gli anni precedenti a un eventuale accertamento.