DALLA FAKE NEWS ALLA FAKE LIFE, DOVE UNO VALE UNO
Nel suo libro La mia bussola. L’amicizia, la famiglia, l’impresa (Spirali), lei racconta le vicende in cui si è trovato coinvolto in vari ambiti, nelle circostanze più differenti e varie, senza mai giudicarle buone o cattive, ma affrontandole nel gerundio della vita, vivendo. Invece, La fake news (come recita il titolo di questo numero della rivista) subentra al posto del racconto autentico, è frutto dell’idea che ognuno possa “raccontarsela” o “raccontarcela”…
Purtroppo non ci limitiamo più alle fake news (notizie false), da tempo dobbiamo fare i conti con un fake world (mondo falso): fake news, fake claims (pubblicità ingannevoli), fake goods (merce contraffatta). Questi fenomeni si sono diffusi moltissimo grazie all’esplosione della connettività garantita da internet e dominata dai social network, da Facebook, Instagram, Tik Tok, Twitter, ecc.
Partiamo dalle fake news. Una prima considerazione è che, come dimostra uno studio del MIT (Massachusetts Institute of Technology), le notizie false si diffondono in modo molto più rapido e massivo rispetto alle vere. In pratica il MIT ha confermato in modo scientifico ciò che Jonathan Swift ha scritto tre secoli fa: “La falsità spicca il volo e la verità la segue zoppicando”. In altre parole, la verità non riesce a competere con bufale e falsità e a contrastarle. Lo studio del MIT assegna a questa differenza d’intensità di condivisione tra vero e falso il rapporto di 6 a 1 in favore della notizia falsa; inoltre, la velocità di diffusione della notizia falsa è dalle dieci alle venti volte maggiore rispetto a quella della notizia vera. Il successo delle notizie false è dovuto a due concause che finiscono per operare in modo sinergico.
La prima è di tipo squisitamente emozionale e quindi legata alla nostra cultura, forse è addirittura un fenomeno antropologico: le fake fanno leva su forti emozioni, suscitano curiosità, sorpresa, riprovazione, disgusto, spavento, mentre le notizie vere sono solitamente associate a stati emozionali più tenui come quelli provocati dall’ordinarietà delle cose, dal senso di fiducia o anche da sentimenti malinconici o tristi. Consideriamo, inoltre, che solitamente le fake si concentrano su temi molto popolari come la politica, il terrorismo, i disastri naturali, la finanza, la scienza. Che dire? Pare proprio che le fake news ci piacciano: ci cibiamo di fake news, ne siamo attratti, le comperiamo e le smerciamo. Quindi non siamo esenti da responsabilità sulla loro proliferazione.
Purtroppo questa nostra predisposizione per la condivisione delle fake viene notevolmente rafforzata dagli algoritmi che presiedono alla diffusione delle notizie sui social network: semplificando al massimo, possiamo affermare che gli algoritmi privilegiano il rilancio di notizie sulle quali gli utenti stanno dimostrando particolare interesse, considerando il numero di condivisioni. Ecco allora che i due sistemi si alimentano a vicenda producendo una valanga di fake news. Per essere chiari: la notizia, totalmente falsa, di un politico che ha commesso una nefandezza batte 30 a 1 la notizia, assolutamente vera, dello stesso politico che ha compiuto un atto meritevole. Tutto ciò è in grado d’influenzare enormemente il nostro giudizio, per cui c’è chi ne approfitta. Da qui la diffusione di fake news create ad arte per favorire determinate tendenze sociali e quindi politiche.
Ulteriore preoccupazione deriva dalla possibilità di utilizzo dell’intelligenza artificiale per produrre fake news molto sofisticate: falsi filmati, false interviste. Il rischio di non riuscire più a distinguere il falso dal vero è reale. È vero che esistono anche siti web dedicati al cosiddetto fact-checking, allo smascheramento delle bufale, ma sono poco utilizzati. D’altra parte chi, prima di condividere una news che gli è giunta attraverso un social network, si prende la briga di verificarla? Da un lato, forse proviamo un certo gusto a trasmettere ad amici, conoscenti e anche semplici contatti social, una news che ci ha suscitato curiosità, sorpresa, riprovazione, disgusto, spavento e non ci sentiamo responsabili della sua veridicità. Dall’altro, ciascuno di noi è impegnato nella propria vita, dedica tempi residuali alla raccolta di informazioni e molto spesso le acquisisce e le digerisce senza nemmeno rendersene conto.
La responsabilità della grande diffusione delle fake news non è solo degli stupidotti, o più spesso dei malintenzionati che le creano e dei computer (i famigerati bot) che le diffondono, è anche e soprattutto di chi le condivide con grande spensieratezza e velocità, non sentendosi responsabile di tale atto.
All’inizio dell’intervista lei sosteneva che oltre alle fake news abbiamo a che fare anche con fake claims, ovvero con pubblicità ingannevoli. Tuttavia, chi ritiene di dovere fabbricare fake claims per vendere di più spesso non ne avrebbe motivo: basterebbe raccontare con arte e invenzione le cose straordinarie che si fanno ciascun giorno in un’azienda…
È vero, ma ancora una volta i responsabili siamo noi umani, in questo caso noi consumatori, che siamo più attratti dall’immagine di uno stracchino che vola, associato all’idea che sia prodotto da un nonno, cioè da una persona saggia, affidabile, piuttosto che dalla visione e dal racconto di una filiera agro-alimentare che parte dall’allevamento dei bovini da latte, dalla loro alimentazione, dall’automazione dei processi di mungitura e di trattamento del latte, fino alla produzione dello stesso stracchino in condizioni tali da garantire le qualità organolettiche del prodotto operando con grande attenzione alla sicurezza. Troppo lungo, troppo complesso, meglio lo stracchino volante del nonno. In tante pubblicità relative a prodotti alimentari c’è una rincorsa alla dichiarazione di artigianalità del prodotto, una volontà di negare la sua industrializzazione, come se essa costituisse un fatto negativo. In molti casi è solo marketing, cioè esclusivamente comunicazione volta a cercare di ottenere maggiori vendite, anche se spesso si esagera, come nel caso della “pizza fatta con le nostre mani” da parte di un’industria che produce quasi cinquecento milioni di pizze in un anno. Ma noi acquistiamo perché quel claim ci richiama il pizzaiolo che impasta la pizza, la stende, vi aggiunge il pomodoro, e così via.
Ben differenti e più gravi i casi in cui la pubblicità dichiara il falso, cioè fa affidamento a questa nostra attitudine alla semplificazione emozionale per propinarci caratteristiche del prodotto non rispondenti alla realtà.
Giuseppe Patat, nel suo libro Dittatura fake o marketing ignorante? (Cierre Edizioni), ha analizzato decine di messaggi pubblicitari ingannevoli, diversi dei quali possono in alcuni casi interferire con la nostra salute, ma in ogni caso con il nostro portafoglio di consumatori allocchi, sempre alla ricerca di soluzioni miracolose, che non richiedono alcuno sforzo, come la pillolina magica per ottenere una “pancia piatta” o i Fiori di Bach per curare il cancro.
Altri fake claims possono riguardare il comportamento virtuoso delle aziende in termini di sostenibilità ambientale: produzioni carbon free, cioè che non generano alcuna emissione di carbonio durante il processo di produzione, fornitura o funzionamento, cibi a chilometro zero, aerei che riducono le emissioni, logistica a basso impatto, gestione etica e sostenibile dell’impresa, ecc. Chi ci garantisce che queste comunicazioni siano veritiere e non costituiscano invece un’operazione di greenwashing, cioè una “strategia di comunicazione o di marketing per[1]seguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo” (Treccani)?
Oggi la veridicità di queste informazioni può anche essere verificata da Organismi di Certificazione accreditati da Accredia (l’ente unico per l’accreditamento in Italia) in riferimento a norme internazionali quali la ISO/IEC 17029:2020. Quindi, almeno in questo caso, un importante passo è stato compiuto. Inoltre, il 22 marzo 2023 la Commissione Europea ha pubblicato una proposta di Direttiva sui Green Claims. La proposta affronterà il problema del greenwashing, contrastando le false dichiarazioni ambientali fatte ai consumatori.
E poi ci sono i fake goods, i prodotti falsificati, che possono essere un vero pericolo per la nostra salute…
La riduzione delle barriere commerciali e il grande sviluppo dei servizi di e-commerce hanno incrementato notevolmente la possibilità degli scambi commerciali, anzi, potremmo dire che hanno contribuito a modificare le nostre vite. Tuttavia, questi cambiamenti, per un verso positivi, hanno aperto la porta a una nuova minaccia: l’invasione dei mercati da parte di prodotti contraffatti. Il mercato dei prodotti contraffatti, solo in Italia, ha raggiunto un valore pari a circa 9 miliardi di euro e riguarda oltre il 2% delle nostre importazioni, mentre a livello globale vale oltre 470 miliardi di dollari e riguarda il 2,5% di tutti gli scambi commerciali.
E non sono solo i beni di lusso a essere contraffatti, ma anche prodotti come medicine, alimenti, macchinari, pannelli solari, batterie, giocattoli, in cui è stato contraffatto il marchio CE che garantisce la sicurezza del prodotto, mettendo a rischio la salute e la sicurezza dei consumatori e danneggiando aziende e marchi. Come non tenere poi in debita considerazione gli effetti economici dell’importazione di prodotti contraffatti, che non colpiscono soltanto le aziende: pensiamo a quanti posti di lavoro vengono persi nel nostro paese a causa della vendita, e dell’acquisto, di prodotti contraffatti. Le autorità, le industrie e i legislatori sono impegnati nella battaglia contro la diffusione di merci contraffatte, ma occorre la sensibilizzazione dei cittadini: dobbiamo essere consapevoli del danno che arrechiamo e del rischio che corriamo acquistando prodotti contraffatti e agire in modo responsabile. L’educazione in tal senso dovrebbe iniziare dalle scuole ed è quanto alcune associazioni di categoria hanno cercato di fare mediante lo spettacolo teatrale Tutto quello che sto per dirvi è falso, attraverso il quale Tiziana Di Masi rende consapevoli i giovani dell’alto rischio economico e sociale che produce il mercato del falso gestito dalla criminalità organizzata.
Infine, mi pare inevitabile che un mondo popolato da fake news, fake claims, fake goods, un mondo dove è sempre più difficile distinguere il falso dal vero finisce per produrre anche una fake life, la falsa vita che alcuni vivono sui social, dove uno vale uno e l’idiota può controbattere allo scienziato, e per questo sentirsi importante. È la fake life dei leoni da tastiera, degli odiatori seriali.
Non dobbiamo sottovalutare i pericoli indotti da ciò che è falso e contraffatto e ancor di più dobbiamo temere le manipolazioni degli orientamenti sociali e politici che possono essere determinati da tali falsità. Le forze dell’ordine e gli organismi preposti al controllo devono operare con diligenza e impegno nella lotta a tutto ciò che è fake. Tuttavia, un risultato apprezzabile è ottenibile solo con la consapevolezza e l’impegno di ciascun cittadino: la lotta alle fake news è una lotta per la democrazia.