L’INFORMAZIONE SENZA PIÙ CANONE DELL’UGUALE
Cos’è la disinformazione? Come la si riconosce? In che modo è funzionale ai totalitarismi? Il giornalismo vi partecipa diventandone complice o vittima? L’AI, le cosiddette intelligenze artificiali, come ChatGPT, possono arginarla o la diffonderanno in modo irreversibile?
Dalla “nobile menzogna” di Platone all’uso spregiudicato degli algoritmi, ogni potere politico, economico, militare, ma anche ogni contropotere, fonda sulla comunicazione e sul suo controllo la propria strategia di dominio, facendo leva sulla paura dell’ignoto, sul bisogno di sicurezza, sul desiderio di felicità dei sudditi: ognuno tende a rifiutare ciò che sconvolge le proprie certezze o, per dirla con Luigi Pirandello, tende a rifiutare ciò che “scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni” (Enrico IV).
Il principio di sicurezza è il corollario dell’idea di fine su cui prosperano l’oligarchia mondialista, finanziaria, militare, farmaceutica, energetica, digitale e le forme di governo che essa detta. Così la fabbrica mondiale della mistificazione della realtà poggia sulle “notizie del diavolo”, le informazioni che parlano la lingua del “padre della menzogna” (Giovanni, VIII, 44): le notizie frutto della censura e dell’autocensura, dell’acquiescenza e dell’opportunismo, del servilismo e della sudditanza.
Proseguendo idealmente in forme diverse l’arte della guerra e della politica, la disinformazione si è estesa a ogni ambito della comunicazione con lo sviluppo dei mass media, soprattutto attraverso il digitale. Sembra che nessuno possa sperare di essere immune dalla fake news. Ma i termini della questione sono davvero questi?
Dario Fertilio conduce una ricerca da oltre trent’anni intorno alle commistioni fra potere e disinformazione, fra politica e comunicazione. In particolare, nel libro Le notizie del diavolo. La parabola ignota della disinformazione (Spirali) – fra i libri essenziali del Novecento –, l’autore analizza le tecniche della disinformazione utilizzate dai regimi, a partire da quello sovietico, orientale e occidentale.
Le tecniche della disinformazione, scrive Fertilio, possono essere adattate all’ambiente, alla cultura e alle tradizioni in cui lanciare le fake. Fra queste cita la tecnica dell’“appiattimento”: «Una versione italiana della “sfumatura” sovietica è l’“appiattimento”, che discende da un’altra tecnica disinformante, però americana, il “leak”, la fuga di notizie, il polverone delle voci, il gioco delle smentite e delle controsmentite […] che fu una delle caratteristiche del caso Watergate. […] L’appiattimento ne fa propria la strategia, annega la verità in un mare di notizie di contorno in sé irrilevanti. L’abilità del disinformatore sta nell’impedire alla vittima, sommersa da tutti questi particolari, di distinguere quel che è significativo da ciò che non lo è. Infatti, quando si è bombardati da notizie di dubbia origine, tutto finisce con il diventare ugualmente privo di importanza».
A proposito degli effetti dell’appiattimento nell’informazione, durante i cinquantadue giorni del sequestro Moro, Fertilio scrive: “mancarono quasi del tutto segni di allarme sociale e isteria collettiva […] mentre invece la tiratura dei quotidiani raddoppiò, la sera del 9 maggio (quando venne ritrovato il cadavere di Moro) il TG1 delle 20 raggiunse il picco storico di 33 milioni di spettatori”. Il divario fra l’enorme spazio concesso da tutti i mass media al rapimento Moro e il progressivo raffreddarsi della partecipazione po[1]polare è in gran parte da attribuire all’appiattimento. Verrebbe da dire con William Shakespeare, “tanto rumore per nulla”: tanto rumore di fondo per annullare la notizia, e con essa la realtà e la verità effettuale.
A proposito della verità, Fertilio prosegue: “Il condizionamento che spinge tante persone a ignorare la verità, in omaggio alla forza, si rivelò di nuovo negli anni in cui i dissidenti russi cercavano inutilmente di far arrivare all’estero la loro voce”. E cita il caso dell’intellettuale sovietica Ida Nudel, che, “per il solo fatto di avere chiesto sette volte il visto per Israele, era finita in Siberia”, caso per lo più ignorato in Italia, insieme alle deportazioni nei campi di concentramento in Russia, i gulag, come del resto oggi avviene per quelli in Cina, i laogai. Esattamente i campi da cui arrivano i prodotti, in plastica, che noi acquistiamo per 1 euro o poco più e poi andiamo nelle piazze a protestare contro l’inquinamento, per un mondo più pulito! “I maiali di Orwell (l’autore del Grande Fratello) portarono esclusivamente la divisa sovietica? No, di certo”, scrive Fertilio. E non è forse ciò che constatiamo oggi, nella guerra che si svolge in Europa, contro la troppo occidentale Ucraina?
Attraverso i suoi libri, Fertilio apre il dibattito intorno all’imperialismo del potere totalitario, del potere che insegue un grande ideale, la cosiddetta “visione unitaria”, la “visione di sistema”, di un mondo mondato da tutto ciò che non risponde al canone dell’Unico, all’identità ideale (o al suo corollario, le diversità), all’ideale di sé, che poi diventa critica di sé e, quindi, critica dell’Altro perché non si conforma all’ideale.
Secondo la procedura unitarista, tutto ciò che non è riconducibile al suo ideale di sé è guasto, perché non rispetta i tre principi aristotelici d’identità, di non contraddizione e di terzo escluso, e deve essere eliminato nei campi di sterminio della disinformazione. L’informazione non univoca è da epurare, ecco perché nei regimi la parola è perseguita. Il reato che si contesta è esattamente la non conformità al canone dell’uguale e dell’omertà. Fertilio chiama questo canone “controllo”: com’è possibile controllare, senza avere stabilito prima il canone dell’uguaglianza ideale, per confermare l’idea di sistema? Non è per questo che Mahsa Amini è stata ammazzata? Il capello sfuggiva al controllo che impone il velo come strumento del sistema di omertà.
La valanga giornaliera di notizie funzionali all’egida della paura oggi diventa lo strumento per rendere sempre più difficile il discernimento fra le notizie. Ma è interessante constatare come ciò che era nato come strumento di controllo, la Dezinformacija, oggi stia virando sempre più verso il dissolvimento della verità come l’abbiamo intesa finora. La cifrematica, la scienza della parola, constata che la verità è effetto del fare, altrimenti è il regno del tribunale, dell’interrogatorio dell’inquisitore alla ricerca di prove che confermino il proprio spettro.
Nel mare della produzione di notizie e, addirittura, di prodotti artistici e culturali, intervengono anche le nuove “intelligenze”, come ChatGPT e altre. Sarebbero intelligenze per il solo fatto che risparmierebbero la ricerca e il tempo, sarebbero preposte a dare la risposta all’indovinello della Sfinge: tre gambe per sapere la vita a partire dal conto e dal calcolo della morte. ChatGPT e le altre AI si pongono come la terza via, la nuova Sfinge, la nuova Iside, la nuova Sophía, ovvero l’idea di uguale utile a confermare il sistema. ChatGPT sarebbe la nuova macchina che guiderebbe verso l’amore della verità, intesa come bene ultimo. E chi si affida a questa via facile troverà certamente la sua guida, da cui reclamare la libertà. Parodiando Jacques Lacan: avrà trovato il proprio padrone. E sarà finalmente libero, libero di confermarsi come schiavo soggetto alla paura, per continuare a reclamare la libertà.
La procedura della parola sfata l’idea di libertà come idea di soggetto libero. È una contraddizione in termini che lascia aperta la questione: come può un “soggetto” essere libero? La parola non soggiace, perché procede dalla libertà assoluta. Sigmund Freud ne aveva colto le “associazioni libere”, ma la cifrematica ne rilancia il pleonasmo che sfata i tentativi di padroneggiarla, cioè di significarla, di costringerla in apposite categorie funzionali a confermare la fabbrica dei soggetti. Per questo non c’è mai il luogo della parola. La parola è sempre fuori luogo, e il disagio è intoglibile, non c’è modo di normalizzarlo. Così come la parola non è pertinente o consona se non rispetto a un’idea di sé e dell’Altro. ChatGPT ha la funzione di confermare queste idee e, rispondendo, diventa l’“ampio spettro” della comunità sociale. La qualità a cui giunge la produzione intellettuale, piuttosto che quella delle cosiddette “intelligenze artificiali”, esige l’itinerario di arte e invenzione della parola, non è minacciata dall’idea di risparmio su cui si regge il successo dell’AI, che pure resta strumento da non demonizzare.
Il convegno intorno al Giornalismo, la comunicazione, i totalitarismi. Dalle fake news a ChatGPT (Bologna, 18 maggio 2023) è, allora, l’occasione per intendere se l’intelligenza artificiale sia l’ennesima macchina che toglie il lavoro all’uomo, dunque una sciagura da deprecare o da osannare, o se sia piuttosto un utensile che indica come la vita in atto esiga il cervello intellettuale, un cervello non naturale e non tecnologico. Intellettuale è quel cervello che, come scrive Niccolò Machiavelli nel Principe, “discerne”, diversamente da “quello che non intende né sé né altri”. E non intende perché annega nell’idea di sé, che tutto deve unificare, e diviene idea dell’Altro che razzia sé e la vita stessa.
Allora, potremmo dire che il nutrimento di questo cervello, il nutrimento intellettuale, è l’antidoto al virus del totalitarismo, che si regge sul nuovo volto di Sophía, il tecnospiritualismo. Noi ringraziamo Fertilio per il libro pubblicato dalla casa editrice Spirali e per gli altri suoi libri, che ci offrono l’opportunità di questo dibattito.