CINQUANT’ANNI DI ESPERIENZA NELLA SIDERURGIA

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presidente di S.E.F.A. Holding Group Srl, Sala Bolognese (BO)

Con il dispositivo della parola la vita civile non si sistema nel canone sociale, non si mortifica, non si conforma all’ideale. Questo dispositivo non è mai lo stesso perché punta alla valorizzazione di ciascun atto che va in direzione della qualità. Della valorizzazione dell’atto, per esempio di quello fondativo dell’impresa, dà conto l’esperienza civile, tema di questo numero della rivista. L’esperienza, infatti, non si accumula, è esperienza in atto, è esperienza che esige la trasformazione incessante. Come lei dà testimonianza dell’esperienza civile nel suo itinerario?

La civiltà non è la civiltà ideologica, non è la civiltà burocratica, ma è nel fare e, per quanto mi riguarda, è nell’atto di trasmissione dell’esperienza agli altri. L’imprenditore opera nella quotidiana trasmissione di esperienze e di valori verso i propri collaboratori, per esempio. Garantendo il reddito e la crescita della cultura tecnica nell’azienda, chi fa impresa dà una testimonianza di esperienza civile. Assicurare l’avvenire connota l’esperienza civile dell’imprenditore, perché è su questa base che il lavoratore e il cittadino danno avvio al proprio e all’avvenire dei figli, com’è su questa base che l’imprenditore contribuisce alla cultura e alla comunità. Garantire il lavoro è di per sé un atto di civiltà.

Quando parla di lavoro che cosa intende?

Intendo la capacità dell’uomo di creare opportunità per migliorare le condizioni di vita e rilanciare le condizioni per la trasformazione. L’imprenditore ha il compito di fare l’impresa, di proseguire a cercare e a intraprendere in modo incessante per realizzare il proprio progetto, offrendo opportunità a chi incontra sulla propria strada. Il lavoro dà questa dignità, permette all’uomo di crescere, di avviare la trasformazione culturale, di non chiudersi in una situazione statica, trasferendo le proprie acquisizioni, anche quelle tecniche, in contesti differenti. Una volta si nasceva contadini e si moriva contadini, mentre oggi chi nasce contadino, può diventare meccanico e poi imprenditore. Questa è la mia storia. Quando ciascuno lavora non spreca i propri talenti a contemplarsi, pensando all’avvenire ideale, perché il fare non è ideale.

Il fare, la parola non finiscono e oggi la mia esperienza di cinquant’anni nella siderurgia si arricchisce di una maggiore tensione a qualificare l’itinerario della nostra impresa lungo il perfezionamento della parola e della nostra cultura in questo mestiere. Oggi, per noi s’impone la necessità di avviare il processo di valorizzazione dell’esperienza di SEFA e di TIG. Anche per questo noi stiamo assumendo sempre più collaboratori specializzati, indirizzandoli alle nuove necessità dell’azienda a seconda dei settori, da quello commerciale a quello delle spedizioni, per esempio, ma senza perdere la storia e la direzione intrapresa, continuando a investire nella qualificazione delle competenze dei nostri collaboratori.

Quali sono i vostri progetti in atto?

Noi siamo leader nella commercializzazione di acciaio e titanio, ma vogliamo essere leader anche nella sostenibilità e nell’intelligenza dell’impresa. Stiamo facendo un grande sforzo per adeguare gli ambienti in cui lavorano i collaboratori e per la loro formazione tecnica. I nostri operatori seguono spesso corsi specializzati e, fra questi, anche quelli per la cosiddetta sostenibilità ambientale. A coloro che lavorano in SEFA viene insegnato quanto ingegno occorra e quale materiale sia necessario per costruire gli oggetti e gli strumenti che adoperiamo quotidianamente. Il tappo della bottiglia di plastica, per esempio, oggi è un tappo che non inquina perché resta attaccato al contenitore ed è riciclabile con esso. Questa modalità di utilizzo della bottiglia è frutto di una cultura industriale affinata lungo i dispositivi di parola, i dispositivi tecnici e i consigli che sono intervenuti nell’incontro con i produttori.

L’esperienza civile assume il rischio di riuscita e la scommessa sull’intelligenza…

Il rischio interviene prima e dopo che hai incominciato a fare l’impresa e non è detto che, anche quando ti trovi in una condizione appagante, il progetto prosegua per il meglio. Fare impresa implica il rilancio incessante. La maggior parte delle volte chi si trova in un rischio d’impresa non deve farsi sopraffare dalla delusione, ma occorre che si informi, che si guardi attorno, che parli con altri e che sia promotore dello scambio di parola. La civiltà è la civiltà della parola, è dallo scambio della parola e dalle relazioni che nasce l’impresa.

Non è facile trasmettere questo approccio, perché è frutto di un processo che richiede anni di impegno, stima, fiducia e rischio, senza cadere nelle lusinghe di chi per esempio ti dice: “Beato te che hai un’impresa”. Pochi possono intendere quanto ti è costato e quanto hai investito nell’impresa in termini di denaro, di vita e anche di rinunce. Anche se, poi, io non ho rinunciato a nulla, perché il mio itinerario non è sacrificale. Con “rinunce” intendo che occorre rigore con se stessi per fondare e proseguire l’attività d’impresa, a cui in qualche modo partecipano anche la famiglia, i figli e i nipoti. Ma non si tratta soltanto di attenersi al programma, perché occorre anche proseguirlo con lo spirito costruttivo che connota l’attività dell’imprenditore: nell’impresa sono coinvolte anche altre persone che, nel nostro caso, vanno dal collaboratore alla concessionaria Uddeholm con cui lavoriamo da molti anni. Noi siamo i suoi distributori esclusivisti, e quando mi viene chiesta un’informazione io gliela fornisco perché è mio partner, viaggiamo sulla stessa onda, abbiamo lo stesso obiettivo.

Quali sono le vostre nuove acquisizioni?

Stiamo consolidando le divisioni commerciale e finanziaria, soprattutto per rendere più solida anche la parte tecnica del Gruppo. È in atto un cambiamento nelle politiche industriali del territorio, che noi abbiamo considerato anche in termini positivi. Per esempio, in questi ultimi anni abbiamo constatato il rilancio dei distretti del farmaceutico e dell’alimentare, di Parma in particolare. Però, il distretto dell’automotive, e della subfornitura dell’auto in particolare, oggi è in una condizione estremamente preoccupante, perché alla globalizzazione si è aggiunta la scelta politica scellerata di puntare esclusivamente sull’auto elettrica in tempi brevissimi, causando grandi squilibri nella produzione industriale. Questo ha comportato in tutti i settori lo sviluppo della politica del “mordi e fuggi”, che è motivo di ulteriore incertezza: molti imprenditori non sanno quale strada intraprendere per mettere l’azienda in condizioni di sicurezza per il futuro.

Il comparto manifatturiero richiede politiche concrete, politiche di stabilità sufficientemente lunghe per assorbire gli investimenti e le trasformazioni tecniche, perché oggi deve trasformare la cultura dei progettisti, per esempio. Siamo in una fase storica in cui è necessario lo scambio di parola anche con esponenti di altri settori merceologici: le informazioni che arrivano da settori marginali rispetto a quelli in cui siamo abituati a intervenire servono per capire quali saranno le tendenze. La formazione tecnica, la cultura e lo scambio sono essenziali per l’impresa, perché è da questi dispositivi di parola che poi nascono le idee. La maggior parte di ciò che tocchiamo è nata dall’intelligenza dell’uomo, dalla necessità di capire quali erano le esigenze e i bisogni della società, cui l’impresa doveva rispondere prontamente con nuovi prodotti e nuovi servizi. Per noi questo è avvenuto, per esempio, con il titanio. Tutti siamo chiamati a divenire produttori di civiltà, ma l’imprenditore ancora di più, proprio perché procede dalle relazioni e si trova nel rischio e nella scommessa incessanti.

Quali sono le novità nella siderurgia in Italia?

La tendenza è quella di usare fonti energetiche alternative ai combustibili fossili, come per esempio l’idrogeno. In Italia sono stati realizzati già diversi progetti. Noi lavoriamo nel Gruppo Voestalpine, con Uddeholm in particolare, in cui la cultura della sostenibilità è molto elevata ed è già realizzata al 70-80% del suo potenziale.

Inoltre, è in atto il trasferimento delle reti commerciali e distributive a seconda dei consumi nelle zone di influenza. Il Gruppo Marcegaglia, per esempio, ha acquistato una rete distributiva in Lettonia per essere più vicino all’utilizzatore. Oltre a offrire più posti di lavoro quindi, contribuirà a ridurre l’inquinamento, perché saranno necessari meno viaggi per le spedizioni. In Italia, che è la seconda manifattura d’Europa, la politica snobba la diffusione della cultura siderurgica perché è spesso più impegnata a valorizzare quella del buon cibo. Il modello delle PMI nel manifatturiero è vincente e nessuno riesce a copiarlo, ma in Italia è contrastato. Nato per questioni politiche e sindacali, poi però è diventato la carta vincente per la crescita del paese. Il 90% delle PMI, infatti, produce la maggioranza del PIL nazionale.

Noi italiani non siamo molto favorevoli a trasferirci, perché amiamo il territorio, per cui tendiamo ancora a fondare l’impresa nella zona in cui siamo nati, anche sul cucuzzolo del[1]la montagna. Pensiamo al caso della Dallara, che ha la sede a Varano de’ Melegari. Qual è il valore di questa impresa? Tenere unito il territorio che altrimenti sarebbe spopolato, mentre lì è nata anche la scuola professionale grazie a cui molti giovani trovano lavoro in Dallara. Per la comunità questo è un valore che non ha prezzo: tiene unito il paese l’esperienza civile di una impresa. Se manteniamo vive e produttive le aree del paese, assicuriamo anche la manutenzione di monumenti, di strade e servizi pubblici, ma anche, per esempio, dei boschi, dei nostri calanchi, dei nostri castagneti secolari, che potranno ancora essere fruibili per generazioni, ed eviteremo disastri ambientali. Si assicura la civiltà non distribuendo finanziamenti. Lasciando l’uomo libero di fare impresa salviamo anche il paesaggio dell’Italia.