IL MUSEO DELLA COMUNICAZIONE G. PELAGALLI, UNA STRAORDINARIA TESTIMONIANZA CIVILE

Qualifiche dell'autore: 
Commendatore al Merito della Repubblica Italiana, fondatore del Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli “Mille voci… mille suoni”, Patrimonio UNESCO della Cultura

Premiato e omaggiato nel mondo, sostenuto dall’amicizia che le hanno dedicato la principessa Elettra Marconi e i fratelli Ducati, lei ha ricevuto onorificenze e attestati di stima da parte di quattro Presidenti della Repubblica e da ministri di vari governi per la traversata che ha compiuto e che le ha consentito di costituire a Bologna il più importante museo della storia della comunicazione, dal 1760 ad oggi, il Museo della Comunicazione e del Multimediale G. Pelagalli “Mille voci… mille suoni”. Il Museo è oggi ricco di produzioni di inestimabile valore, che testimoniano due secoli e mezzo di arte e invenzione, tanto da essere dichiarato nel 2007 patrimonio dell’umanità inserito nel programma UNESCO della Cultura. Com’è incominciata la sua avventura nella comunicazione?

Il mio viaggio è incominciato in modo abbastanza curioso, grazie a un brutto voto. Il professore di lettere, in prima media, ci diede un tema dal titolo: “La trasmissione radio che più mi pace”. Nel dopoguerra la famiglia Pelagalli era molto modesta: non avevamo la radio. Pertanto, consegnai il compito in bianco.

Sono nato il 19 maggio del 1941 e nel 1952 non avevo ancora visto una radio, ma avevo letto dell’avventura di Guglielmo Marconi, in occasione dell’esame della quinta elementare. Dopo l’episodio del brutto voto, i miei genitori mi avevano regalato una radio, pagandola a rate. È un bel pomeriggio quando il giovanissimo Giovanni Pelagalli torna a casa dalla scuola e vede una scatola, gira un pomellino e subito dalla scatola esce una voce. Fu uno shock! Allora mi chiesi come facesse la voce a uscire da quella scatola. Nei mesi seguenti tanto feci e tanto brigai con mio padre che riuscii, con suoi grandi sacrifici, a farmi iscrivere a una scuola di radiotecnica per corrispondenza, mentre frequentavo ancora la scuola media. Appena terminati gli studi ho incominciato subito a lavorare come tecnico in Sinudyne, la fiorente industria bolognese che aveva la sede sotto casa, in via della Ghisiliera, e poi ho seguito altri corsi serali di specializzazione per ottenere il diploma.

Dovevo contribuire anche io alle spese della famiglia, però mio padre mi permetteva di tenere quello che guadagnavo dalle riparazioni degli apparecchi radio di amici e parenti. Nella mia vita non ho mai avuto tempo di non far niente! Nove anni dopo, nel 1965, mi sono licenziato, restando sempre grato ai soci fondatori della Sinudyne, Bruno Berti, mio maestro imprenditoriale, e Antonio Longhi, maestro tecnico di grande ingegno. Nello stesso anno ho aperto la mia azienda, Elettronica Pelagalli, che si occupava di produzione, installazione e allestimenti d’impianti visuali e voce e riparazioni. L’azienda ebbe subito un notevole sviluppo, permettendomi anche di cofondare una delle prime emittenti televisive bolognesi, la famosa “Bologna Uno”.

Nel 1989 cade il muro di Berlino e anche per Giovanni Pelagalli si apre una breccia…

Nel 1989 Giovani Pelagalli chiude l’attività, che gli aveva dato già molte soddisfazioni, e fonda il “Club Mille voci e Mille suoni”, facendo un investimento importante, perché gli strumenti che lei vede oggi nel Museo sono capitali frutto del mio lavoro imprenditoriale. Il primo strumento esposto è stato il grammofono che mio padre utilizzava quando, nel 1936, era impiegato nell’Africa Orientale Italiana come autista autotrasportatore di materiali per la costruzione delle famose strade imperiali. Insomma, noi in casa non avevamo la radio ma avevamo il grammofono, che usavo anche per giocare e grazie a cui sono divenuto cultore della musica. È seguita, poi, la macchina fotografica che papà usava per fare gli autoscatti da inviare alla mamma, quando lei abitava ancora a Trebbo di Reno. Ma qui c’è anche la radio che ho costruito dalla prima alla terza media.

Il Museo si compone di varie sezioni e appendici, con diverse collezioni di strumenti e oggetti che costituiscono la storia della comunicazione…

I dodici settori del Museo raccontano la storia e l’impresa della comunicazione moderna, che, incredibile ma vero, si basa sulle onde radio di Marconi. Nel Museo la sua invenzione è arricchita da varie appendici. Si parte dalla storia della radio proseguendo per quella della fonografia di Thomas Alva Edison, degli strumenti musicali meccanici, del cinema dei fratelli Lumière, passando per la storia della televisione e del telefono, fino a quella del computer, dal pallottoliere al regolo calcolatore del 1850, ai grandi calcolatori degli anni sessanta e fino ai personal computer di oggi. Qui abbiamo anche la storia dell’opera italiana, della canzone italiana e napoletana, per concludere con la “musica a colori” dei juke-box.

La sezione che ha dato il via a questa opera di paziente e tenace raccolta di collezioni è quella che incomincia con l’invenzione di Guglielmo Marconi. Stiamo parlando di una nonnina di centovent’anni. Eppure, questa nonnina è ancora protagonista della comunicazione, perché il principio che sta alla base della radio è lo stesso impiegato per il funzionamento di tutti, dico tutti, nessuno escluso, gli strumenti della comunicazione moderna, si tratti di musica, suoni, immagini, colori, bit, sms, whatsapp: l’onda radio di Marconi, il mezzo di trasporto della comunicazione.

Nel Museo vi è anche il prototipo del dispositivo con cui Marconi produsse la fiammata intermittente di 100 Kilovolts che attivava onde radio…

È la macchina elettrostatica di Wimshurst. I predecessori di Marconi, ultimo dei quali in ordine di tempo Augusto Righi, avevano sperimentato e descritto quella fiammata come un’energia visibile che, nel momento in cui appare ritmicamente, genera a sua volta energia invisibile che si propaga alla velocità della luce negli spazi circostanti. Marconi resta affascinato da questo principio, che va sotto il nome di elettricità. Siamo fra il 1880 e il 1890, quando si sviluppa la sperimentazione intorno a questo apparente nulla che addirittura, nei testi dell’epoca, fa pensare di poter rigenerare la vita.

Quindi, la fiammata libera genera un’onda radio altrettanto libera, che però di per sé non trasmette nulla. E qui subentra la genialità di Marconi, il quale collega alla macchina che produce fiammate il tasto telegrafico che genera segnali in codice Morse. Dal suo tavolino trasmettitore di onde radio, nel 1895, lo scienziato bolognese incomincia a inviare impulsi, potenziati dal collegamento con antenne, i famosi parafulmini di Benjamin Franklin. Queste lanciano nell’universo le onde radio, trasmettendole non più tramite cavi.

Guglielmo Marconi, Augusto Righi e prim’ancora Luigi Galvani hanno contribuito a fare di Bologna la città della comunicazione e non sarà un caso se, negli anni settanta, a Bologna nascerà la prima radio libera italiana…

Marconi inventa la civiltà della moderna comunicazione. Leggenda vuole che lo scienziato bolognese abbia subito annunciato al mondo: “Via i fili, via la greve materia. Ho sperimentato un filo invisibile che sostituirà il filo visibile: è nata la radiotelegrafia!”. Questo filo invisibile si chiama onda radio, su cui Marconi aveva appoggiato i punti e le linee del telegrafo di Morse. Da quel momento tutti i governi del mondo gli chiedono di togliere i fili ai loro sistemi telegrafici e i naviganti di attrezzare le loro navi con strumenti per lanciare segnali che, con incremento delle palificazioni a terra, possano essere ricevuti a distanza.

Poi avviene il passaggio chiave per arrivare alla radio attraverso la valvola termoionica, la lampadina di Edison. Questo consente a Marconi di creare circuiti che generano onde radio continue, senza bisogno delle fiammate, su cui lo scienziato bolognese riesce ad appoggiare un codice, generato da un microfono. Questo serve non ad amplificare la voce, come comunemente si crede, ma a codificare l’onda sonora proveniente da un suono, da una voce, da una musica o da un canto. La voce così riprodotta diviene la comunicazione moderna.

Dopo l’avvento della telegrafia, alla fine dell’Ottocento, incomincia l’era della radiofonia...

La radiofonia marconiana si sviluppa con la nascita della radio italiana, che avviene il 6 ottobre 1924 come URI, Unione Radiofonica Italiana, che diventa EIAR, poi RAI e oggi RAI - Radiotelevisione Italiana. Nel Museo è raccolta la serie di apparecchi prodotti fra gli anni venti e trenta, costruiti in forme verticali in stile liberty e poi déco. Segue il settore espositivo dedicato alla radiofonia italiana del ventennio. L’Italia era in una condizione in cui, su 33 milioni di italiani, soltanto 55 mila avevano la radio. Al governo dell’epoca non era sfuggita la funzione di propaganda che la radio consentiva, perciò ne suggerì “fortemente” la dotazione a tutte le comunità rurali, a quelle scolastiche e, poi, via via alle sue colonie. Nella sezione di storia della fonografia abbiamo invece una vera e propria parata di trombe dei grammofoni ultracentenari di inestimabile valore antiquario e tutti funzionanti, che nel prosieguo dell’esposizione diventando i radiogrammofoni dei primi anni cinquanta.

La fonografia di Edison si evolve e si rivolge anche ai bambini…

Fra il 1920 e il 1930 l’industria incomincia a produrre anche dischi di cartone infrangibili, da apporre sulle “macchine parlanti”, piccoli giocattoli di lusso tramite cui si possono ascoltare le fiabe. Nel Museo abbiamo anche un altro tipo d’invenzione per bambini, che parla attraverso i gesti: i burattini. Prodotti in legno e con abiti originali questi burattini sono di Demetrio Presini, noto burattinaio bolognese. Essi sono qui esposti per un omaggio alla tradizione bolognese e alle sue quattro maschere (non tre, come comunemente si crede): Fagiolino, Sganapino, il Dottor Balanzone e La Flemma, che, tradotto dal bolognese, è l’uomo flemmatico.

Voltato l’angolo, eccoci giunti alla sezione dedicata alla storia del telefono, da quello di Antonio Meucci del 1871 alla moderna telefonia satellitare…

La collezione incomincia con i primi telefoni di fine Ottocento, che, privi del disco combinatore, dovevano essere collegati alla centrale telefonica tramite le centraliniste addette a passare le comunicazioni. I dischi combinatori arriveranno intorno al 1920-1930. Ricordo ancora che per collegarsi con Bologna da Porretta – da dove proviene il cognome Pelagalli – bisognava prenotare la telefonata con la centralinista, la quale avvertiva il destinatario del collegamento interurbano con il mittente. L’esposizione prosegue con i primi modelli del moderno cellulare, nel 1990 dotati di antenna esterna, fino all’ultimo nato della comunicazione, il computer. Qui sono raccolti i suoi vari modelli, dal Commodore 64 al Mac di Steve Jobs e al PC di Bill Gates. Nel 1999, ho ricevuto anche qualche proposta da parte di un emissario di Gates, che si è recato al Museo un paio di volte.

E adesso salpiamo subito per l’Oceano Atlantico e navighiamo sulla nave della memoria attraverso l’antenna radiogoniometrica della nave di Marconi…

Nel Museo è allestita anche la Sala Marconi, che raccoglie decine di pezzi originali firmati dallo scienziato che è stato anche un grande imprenditore, con aziende sparse fra Stati Uniti d’America, Canada e Inghilterra che producevano radioricevitori e strumentazioni varie. In questa sala è possibile ammirare il laboratorio galleggiante di Marconi, nella copia della nave Elettra, con la famosa antenna radiogoniometrica in ottone, risalente al 1919. Con questo strumento Marconi è riuscito a sperimentare la trasmissione delle onde radio a lunghissime distanze.

Entriamo ora nella sezione dedicata a un’altra rappresentanza dell’imprenditoria bolognese nota nel mondo: i fratelli Ducati…

Fra il 1960 e il 1965, tramite la mia attività imprenditoriale ho collaborato con i tre fratelli Ducati: Adriano, Marcello e Bruno, che nel 1924 fondarono insieme ai genitori la Società Scientifica Radio, in Via Collegio di Spagna a Bologna. Quando nasce, la società dei fratelli Ducati non produce ancora motociclette ma ricevitori, macchine fotografiche, rasoi elettrici, calcolatrici e macchine cinematografiche. Qui abbiamo, per esempio, il cineproiettore Ducati modello Gioia, del 1941. Ma oltre all’amicizia, vi è un filo sottile che lega Marconi e i fratelli Ducati. Adriano era emulo di Guglielmo Marconi ed era diventato grande esperto di onde radio. Nel Museo sono esposte le lettere autografe che rivolgeva ai genitori e ai fratelli, mentre era in navigazione nell’Atlantico per ripetere l’esperimento di Marconi. Alla sua morte mi aveva chiamato il suo esecutore testamentario, Bruno Ducati, per donarmi le lettere e i quaderni autografi in cui Adriano aveva raccontato anche gli esperimenti che faceva presso la NASA, per il lancio dei primi satelliti artificiali americani degli anni cinquanta.

Dai fratelli Ducati ai fratelli Lumière il passo è breve. Siamo appena giunti nella sezione dedicata alla storia del cinema…

La storia del cinema incomincia con i “Lanternisti”, nel 1750. Detti anche “Portatori di lanterne magiche”, i lanternisti erano ambulanti come i cantastorie e i venditori di lunari, che, portando sulle spalle il loro apparecchio munito di vetrini con dipinte immagini, si spostavano di città in città, di villaggio in villaggio, fermandosi nelle accademie e nelle università per dare spettacoli. Nel 1895, i fratelli Lumière perfezionano la tecnica dei lanternisti: girando velocemente la manovella dell’apparecchio in modo tale da far passare decine di fotogrammi al secondo dinanzi all’occhio del cinespettatore, questi non vede più le fotografie in successione ma il movimento delle immagini. Era nata la magia del cinema. Nel Museo è anche allestita la collezione di cineproiettori, a partire dai primi del 1930, quando nasce il cinema sonoro, proseguendo con la serie declinata secondo l’avanzamento tecnologico del settore.

Nel 1895, mentre Guglielmo Marconi incomincia gli esperimenti che porteranno all’invenzione della radio, in Francia nasce il cinema grazie alla fotografia animata dei fratelli Lumière, che l’anno successivo scelgono Bologna per presentare la loro invenzione…

Qualche decennio più tardi, intorno al 1925-1930, arrivano anche i radiovisori elettromeccanici con disco rotante, inventati da John Logie Baird, radiotecnico inglese anch’egli emulo dello scienziato e imprenditore bolognese, il quale appoggerà sulle onde radio di Marconi non più le voci, ma i chiari e scuri delle immagini. Nasce così la televisione, che fra il 1935 e il 1949 sarà a schermo tondo, in bianco e nero. In Italia la televisione arriverà nel 1954 e diventerà a colori soltanto a partire dalla metà degli anni settanta, ultima in Europa.

La trasformazione tecnologica non esclude quella del design e così, com’era avvenuto per la radio, accade anche per la televisione…

Siamo nel 1968, l’uomo sbarca sulla luna e il design dei televisori rilancia la novità. Qui è esposto il modello che rappresenta il casco dell’astronauta insieme a un altro molto raro, il Condor, costruito nel 1965 e fra i più avveniristici per lo schermo a scomparsa. In questa sezione ho dedicato un angolo alla RAI, dove sono raccolte alcune telecamere insieme al famoso Ampex, il videoregistratore con nastro magnetico utilizzato dal 1975 per mandare in onda i programmi registrati. La mia passione per la musica mi ha portato anche a dedicare un settore alla collezione di preziosi juke-box, muniti di 11653 titoli di canzoni che i visitatori possono selezionare, perché sono tutti funzionanti.

Il viaggio nelle meraviglie della comunicazione si conclude con i cinquanta modelli di macchine musicali meccaniche, costruite fra il 1750 e il 1910 e ancora funzionanti. Queste macchine attraversano quasi due secoli di genialità di artisti artigiani, che, oltre a legno, metallo, un po’ di cartone e di colla, misero a frutto il loro ingegno per inventare orchestre meccaniche ancora oggi straordinarie da impiegare nei saloni di regge e case principesche.

L’immenso patrimonio d’arte e d’invenzione del Museo Pelagalli rappresenta il suo itinerario di trentatré anni di ricerca incessante…

Gli oggetti esposti nel Museo sono oltre 2000, con circa 400 apparecchi radio, 200 grammofoni, 50 macchine musicali, 200 computer, televisori e macchine cinematografiche. A questi si aggiungono pezzi non esposti, che fanno parte delle mostre viaggianti del Museo, oltre alla collezione di qualche decina di migliaia di dischi, alcuni di pregio, e di libri dedicati alla radiofonia marconiana, alla fonografia di Edison, all’informatica e alle macchine musicali meccaniche. Qui non ci sono doppioni e ciascun pezzo racconta le storie dell’umanità. Al Museo sono state dedicate alcune tesi di laurea ed è visitato 365 giorni l’anno dalle scuole, grazie anche all’attenzione che da sempre riceve dalle autorità scolastiche. Per esempio quella del direttore generale dell’Ufficio Scolastico dell’Emilia Romagna, Stefano Versari, che ha pubblicato sul sito della Pubblica Istruzione la circolare 2019-2020 indirizzata ai dirigenti scolastici territoriali, concludendo con queste parole: “Stante la rilevanza scientifica e storica dei temi trattati e considerate la ricchezza e l’unicità della collezione, le SS. LL. sono invitate a sollecitare la partecipazione delle classi delle scuole di riferimento”. Inoltre, il Museo è stato talmente apprezzato da ben quattro Presidenti della Repubblica – due dei quali hanno poi presenziato alle importanti mostre itineranti al Vittoriano, nel 2004, e a Lampedusa, nel 2016 – da conferirmi la nomina a Cavaliere (1994) e poi a Commendatore al Merito della Repubblica (2009). Ma il riconoscimento più importante è quello della principessa Elettra Marconi, che nella sua dedica ha scritto: “Qui rivive mio padre”. L’eco del Museo è giunta al Festival di Sanremo, dove sono stato ospite due volte, l’ultima nel 2011 e con la presentazione di Gianni Morandi. Il valore di questo Museo è, però, anche e soprattutto scritto nei registri redatti con le dediche di visitatori noti e meno noti, comprese quelle delle scolaresche provenienti da tutto il mondo.

Il prossimo anno ricorreranno i centocinquant’anni dalla nascita di Guglielmo Marconi e in questi giorni, oltre ogni aspettativa, stanno giungendo da altre regioni proposte di acquisto del Museo Pelagalli. La condizione ineludibile è che tutti i pezzi che lo costituiscono, nessuno escluso, siano esposti permanentemente in un luogo consono alla straordinarietà di queste collezioni. La mia speranza è che possa rimanere in una sede degna nella città che amo, Bologna.

La visita al Museo si conclude con la FIAT 500 C Topolino, restaurata e ancora funzionante, nonché “prima automobile da imprenditore” acquistata da Giovanni Pelagalli nel 1959. Da allora ne ha fatta di strada il Commendatore, che dal 2014 condivide con Elettra Marconi pure la patente ad honorem, conferitagli dal Ministero dello Sviluppo Economico. La sua opera testimonia come il ringraziamento e la donazione incessanti della parola siano prerogative della vita civile, che così oggi giunge a scriversi.