COME VIVERE SENZA L’IDEA DI DOMINIO
Ringrazio gli organizzatori del dibattito “La follia, la scrittura, il potere” per avermi fatto incontrare le opere di Francesco Saba Sardi, un autore che non conoscevo. Leggendo i suoi scritti, negli ultimi venti giorni, mi ha colpito molto la sua poliedricità. È stato in grado di tradurre da sette lingue, anche libri di grande letteratura e difficilissimi: un’impresa straordinaria. Per esempio, ha tradotto La nave dei folli di Sebastian Brant, poema famoso anche ai suoi tempi, in rima baciata dal tedesco del 1494. Saba Sardi si è occupato anche di critica d’arte e di altri aspetti della cultura e della letteratura, ma è stato soprattutto un poeta, nel senso del poiéin (in greco, “creazione”). L’uomo è poeta e creatore, non soltanto nel lavoro meccanico o nella costituzione degli ordinamenti giuridici, ma con la parola, con l’arte e anche con i suoni e con la musica. Anche lo scienziato, di cui una volta si diceva che doveva capire il mondo, non può essere ridotto alla funzione del “capire”, che in latino significa anche “afferrare”, “prendere”. La scienza è, come ha insegnato Kant, una creatura dell’uomo, non può essere ridotta alla comprensione della natura. Anche la scienza è una creazione dell’uomo, non una forma di registrazione della natura. La contesa fra Niels Bohr e Albert Einstein, per esempio, non riguarda chi ha ragione e chi ha torto, ma due modelli scientifici differenti di lettura della realtà. Il sostantivo “poeta”, nell’accezione più ampia, comprende la capacità dell’uomo di creare. E, nel creare, l’uomo è legato al mondo interiore, agli impulsi, agli istinti, alla curiosità. Non è un raccoglitore di esperienze, ma un creatore. Quindi immagino Saba Sardi, in tutte le cose in cui si è impegnato, come qualcuno che ha sempre messo al primo posto, più che la “ragion pura”, la “ragione poetica”, che è il livello più elevato della dignità dell’uomo, e l’ha sviluppata in un numero davvero impressionante di campi.
Tuttavia, mi sembra che in lui rispunti in modo molto importante anche la “ragion pratica”. Ho notato che nel suo testo compare spesso la parola chiave “dominio”, un modo per chiedersi come mai nella società umana accada che alcuni impongono la propria volontà ad altri. In che misura il dominio discende da esigenze naturali? In che misura è arbitrio? In che misura è prepotenza? Essere padroni di sé non è la stessa cosa che essere sottomessi a qualcuno. Rilevo come nella riflessione dell’Autore affiori in modo palese l’idea della necessità di affrancare gli esseri umani dal dominio, dall’imposizione, dalla costrizione. Il contrario di dominio si chiama “libertà”, cioè la capacità di poter decidere le cose che ciascuno vuol fare, le scelte proprie che ciascuno intende portare avanti. Dominio è un sostantivo che racchiude molte altre parole, ed è un’espressione brutale: dominus vuol dire padrone, padrone e servo, riprendendo Hegel: il padrone è tale se impone la sua volontà agli altri. Dominio contiene al suo interno anche la parola “potere”. Tuttavia, il lessema “potere” indica un concetto più neutro rispetto a “dominio”, ed ha anche un’accezione più descrittiva. Il potere di un genitore sul figlio è un dato quasi fisiologico, nel senso che discende da un elemento naturale. Il potere di un educatore sugli allievi è anch’esso un potere quasi naturale. I filosofi e gli scienziati che si sono occupati di potere hanno sempre mantenuto un aspetto descrittivo, la “fenomenologia del potere”. Max Weber, considerato il più grande sociologo del potere, non ha mai parlato di origine del potere, ma lo ha solamente descritto, e noto in questo la sua grande lucidità. Si occupò in particolare del cosiddetto “potere carismatico”, che s’instaura non a partire dalla forza e dall’imposizione, ma dalla capacità di persuasione. La democrazia dell’Atene di Pericle non si sarebbe mai instaurata, se non ci fosse stato questo signore, Pericle, che non aveva poteri, ma un potere carismatico straordinario. Potere carismatico, potere burocratico, sono tutti fenomeni, descrizioni che non colgono l’essenza della questione.
Quando il potere diventa dominio? L’originalità del lavoro di Saba Sardi, anche con importanti contributi antropologici, sta nell’avere dato due risposte: una di carattere storico, o meglio preistorico, l’altra legata più esplicitamente alle modalità con cui il potere si esercita. La risposta storica è legata a una conoscenza già nota agli antropologi, ma si tratta di una riflessione importantissima, che riguarda la cosiddetta “rivoluzione neolitica”. Si tratta di quel periodo storico, o meglio preistorico, in cui l’uomo è passato dalla condizione di nomade a quella di agricoltore. Prima, per vivere, si dava prevalentemente alla caccia. Lo stesso Uomo di Neanderthal era essenzialmente un cacciatore (recenti ricerche hanno rivelato che, in grandi gruppi, era addirittura in grado di cacciare un elefante) e non conosceva l’agricoltura. La “rivoluzione agricola” è una delle più grandi conquiste dell’essere umano, perché il nomadismo impedisce la stabilità. Invece, da quando l’uomo si è accorto che anche un pezzetto di terra, se lavorato, gli consente di vivere e addirittura di produrre ricchezza, non ha più ragione di spostarsi e cacciare per vivere. Diventa “stanziale”: hic manebimus optime. Se la terra era fertile, era ancora più opportuno fermarsi a coltivarla. Con questa rivoluzione, forse più importante della stessa rivoluzione industriale, l’uomo incomincia a rivendicare la proprietà sul suo pezzo di terra. Così nasce la proprietà privata, e il potere diventa “dominio”.
Attorno all’idea di proprietario sorge l’interrogativo: chi è il padrone?. Nasce così un’organizzazione sociale in cui vi sono il padrone e lo schiavo. Lo schiavo è uno strumento di lavoro sul territorio. Di questo argomento si è occupato anche Engels, soprattutto nel libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Marx ed Engels appongono un cemento ideologico a tale questione, nel senso dell’ineluttabilità, quasi meccanica, del formarsi della proprietà privata in questi termini, e del relativo potere. Invece, Saba Sardi propone un’altra lettura, incentrata sulla mediazione ideologica della religione. Il monoteismo, considerato dalle culture religiose come un avanzamento, quasi un segno di modernità, rispetto alle deità primitive, in realtà risulta il cemento ideologico che giustifica e legittima le più grandi disparità sociali: il padrone per eccellenza è dio. Dio non è più una forza naturale, ma il tiranno. Il potere dato ai sacerdoti è la legittimazione dello stato di fatto che si è creato, e la religione legittima questa concezione con l’esistenza di un dio sovrannaturale. Per definire chi sta in alto, chi sta più in basso, chi sta ancora più in basso, viene introdotto il significante “gerarchia”. Chi sta più in alto vale di più, è più sacro. Nasce il potere del sacro, la costruzione di una gerarchia al cui vertice c’è il padrone, rispetto al quale il fedele è sottomesso, crea tutte le premesse per la giustificazione e la legittimazione della disparità sociale e del dominio. Nelle religioni monoteiste il clero dispone di un potere rispetto al quale bisogna sottomettersi, un potere non certo pastorale o d’insegnamento. Tutte le religioni monoteiste assegnano a dio il potere reale. Ricordo che, ancor prima, Platone aveva affermato che per avere buoni cittadini occorre prima di tutto avere buoni sudditi. Quindi, con le religioni monoteiste, viene legittimato il potere in quanto proveniente da dio.
Nel Quattrocento non esisteva ancora la concezione di un potere proveniente dal popolo. Ma anche oggi i poteri più autoritari sono quelli che possono disporre di un contenuto teocratico, cioè che si dichiarano ispirati direttamente da dio. La nascita della proprietà privata e l’affermazione del monoteismo sono stati strumento per l’imposizione del potere assoluto e del dominio. E il dominio è prepotenza, è arroganza. Prendiamo l’esempio della favola del lupo e dell’agnello. Il lupo trova tutte le giustificazioni per convincere l’agnello a farsi mangiare, l’agnello controbatte con efficacia, ma alla fine il lupo lo mangia lo stesso. Questo è il dominio.
Il dualismo tra dominio e potere comprende un terzo elemento: la guerra. A un certo punto, i sudditi si ribellano e avvengono rivoluzioni e guerre. Quindi la guerra non è provocata soltanto dallo scontro tra classi, come sostiene Marx, ma è la reazione inevitabile del dominio sui sottomessi e diventa elemento permanente della società.
È straordinario come per Saba Sardi tutto questo non comporti una rassegnazione, ma piuttosto il disegno di un futuro dell’umanità in cui si possa eliminare il dominio, o ridurlo grandemente. Ridurre o eliminare il dominio non richiede l’affermazione di una società degli uguali, alla Rousseau, o l’abolizione della proprietà privata: nell’Emilio, di cui Francesco Saba Sardi si è occupato, Rousseau immagina addirittura di abolire il potere attraverso l’educazione, mentre Saba Sardi individua come il potere possa insinuarsi anche nelle pieghe dell’educazione, quindi possa manifestarsi non solo attraverso la violenza.
La questione che emerge allora è la seguente: è possibile una società in cui il potere e il dominio siano eliminati o smascherati? La risposta potrebbe essere data da un termine molto delicato, soprattutto di questi tempi: tale termine è “anarchia”. Anche l’anarchia, come prospettato da Saba Sardi, propugna un futuro dell’umanità in cui il dominio possa essere eliminato, o ridotto in modo significativo, ma mai esercitato come abuso. Tuttavia, Saba Sardi trova improprio il termine: sarebbe meglio definirlo, come dice, “acrazia”, eliminazione del potere. Arché è il principio fondativo, c’è anche nella parola monarchia. L’idea del dominio è data da “crazia”: pensate a burocrazia, aristocrazia, meritocrazia, alla stessa democrazia. “Crazia” indica l’imposizione della propria volontà. Ribadiamo comunque che “anarchia”, tradizionalmente, è una dottrina nobile, che mette al centro dei suoi obiettivi l’eliminazione o la riduzione di qualsiasi imposizione o coercizione dalla società, mettendo al centro la libertà degli individui. Ridurre il ruolo del dominio significa anche ampliare i margini di libertà dell’individuo. C’è indubbiamente anche la questione delle leggi, che esercitano sempre una coercizione. Dove c’è la società, c’è la coercizione della legge: Ubi societas, ibi ius. La coercizione dev’essere esercitata, in quanto i delitti non sono sopportati dalla società, ma tale coercizione dev’essere usata in termini minimi dallo Stato e, appunto, attraverso le leggi, ma non diamole un carattere ideologico. E ciascuno diventi se stesso prima di divenire suddito.
Mi piacciono quelle figure d’intellettuali, come Saba Sardi, che si sono battute in modo originale: leggendo i suoi libri, ho ritrovato lo spirito di grandi pensatori, che sono stati pensatori solitari. Tra questi, Borges, Celine, Ionesco, Nietzsche. Trovo questi pensatori assolutamente “acratici”.