MEDICI, ETICA, MAESTRI... GIANCARLO COMERI
Io credo che l’eternità terrena, senza voler disturbare quella sublimata e religiosa dell’anima, stia nelle opere che si sono compiute in vita, positive e negative. Purtroppo è più facile dare risalto agli uomini e ai fatti negativi succedutisi nelle epoche, che non ai tanto più nobili e numerosi personaggi positivi che con le loro opere hanno migliorato nel tempo la nostra esistenza e le nostre qualità umane ed etiche. Così oggi è tanto più facile parlare di rari episodi di malasanità, di medici dissennati e incapaci, che non dei tanti successi della terapia, dell’intervento e della dedizione di migliaia di medici che ogni giorni compiono “più del loro dovere”, come recita il logo dell’Ordine dei Medici di Bologna.
Solo tardivamente, giornalisti e governanti, si occupano ora dell’essere come tale e non del semplice caso clinico. La medicina può fallire, non può farlo l’humanitas, termine che impropriamente attribuisco a quella oscura, ma esaltante qualità interiore che ciascuno di noi ha e che in modo sempre più stentoreo tende a esternare, quasi per vergogna e debolezza, per i tempi e i costumi correnti, eppure messaggio così nobile e mistico.
Ed ecco straordinariamente innovativo e lodevole, il concetto di Eubiosia, introdotto da Franco Pannuti di Bologna con la sua iniziativa dell’ANT (preso ad esempio dall’Organizzazione della Mondiale Sanità), “l’ospedale domiciliare oncologico” per soggetti in fase terminale: il concetto cioè, della “morte dolce”, tra gli affetti familiari e le mura amiche e con un’assistenza a domicilio stemperata da intollerabili forme di accanimento terapeutico.
È questo, mi sembra, il senso della lunga intervista, rivolta a Giancarlo Comeri dal gruppo di studio di Armando Verdiglione e così originalmente trasformata in romanzo di vita professionale, ma anche di Vita. Quanto è bello leggere da Comeri del suo interesse per la riabilitazione urodinamica per i soggetti portatori della vescica neurologica, che ne condiziona pesantemente la vita quotidiana. E così anche della sua dedizione a tecniche sempre meno invasive, nel rispetto del dolore e della dignità nella malattia.
Le malattie del secolo non saranno l’AIDS e il cancro, bensì le disabilità, specie quelle acquisite con l’età, perché alla maggiore longevità acquisita dagli italiani non ha fatto ancora seguito un’adeguata qualità della vita che proprio con l’età scade progressivamente.
Ecco la nuova frontiera: la qualità di vita. Si pensi ai confronti laceranti in corso sull’opportunità dell’eutanasia per i soggetti gravemente cerebrolesi.
Il comportamento dell’uomo, o più semplicemente l’etica, è una variabile, da valutare nel periodo storico e nel contesto geografico-sociale nel quale si vive.
Ciò che oggi appare normale e lecito solo alcuni decenni fa sarebbe stato oggetto di scandalo, censura e conseguenze penali: aborto, divorzio, adulterio (si pensi solo alle sconcertanti assoluzioni di uxoricidi in ragione del cosiddetto “delitto d’onore”, consentito dal Codice Penale non molti decenni fa; si pensi allo scandalo destato dalla minigonna, dal topless, dall’ombelico scoperto). Alcune pubblicità allusive oggi trasmesse tranquillamente in fascia oraria di massimo ascolto e altre demenziali trasmissioni voyeuristiche allora sarebbero state vietate come film “a luci rosse”. La riflessione che emerge decisa è che in tanta variabilità etica, geografica e temporale, ben stabile e costante rimane l’etica del medico che da Ippocrate in poi ha mantenuto fede al suo giuramento. Infatti, sebbene la medicina e la scienza con il progredire delle tecnologie e delle scoperte scientifiche ci mettano di fronte a conflitti interiori dell’animo, più che della mente, il medico continua a restare fedele a quel principio che pone l’uomo-paziente al primo posto, riconoscendo il rispetto della sua individualità sia esso il prodotto del concepimento non ancora nato o il vecchio canuto e stanco. Ecco dunque l’incalzare delle pratiche di rianimazione, le protesi meccaniche e animali, l’espianto di organi “a cuore battente” per trapiantarli in un altro corpo, l’eutanasia e il suo contrario, cioè l’accanimento terapeutico. Dilemmi di fronte ai quali di fatto il medico non ha un atteggiamento univoco e risoluto, ma dubbioso, spesso lacerante e conflittuale.
Non ci sono leggi che lo affranchino dalla sua coscienza (l’aborto, l’eutanasia, gli embrioni sacrificati, le gravidanze affittate in uteri diversi, i trapianti di organo). Nessuno di loro, nessun medico, ha la risposta certa, ma la cerca in se stesso: qual è l’azione giusta? In questo sta la stabilità della sua etica. Troppo facile per chi sta fuori, per chi non deve usare le proprie mani per queste pratiche, propendere per l’uno o per l’altro atteggiamento.
La bellezza del libro di Comeri sta anche in questo: è la storia di un uomo, prima ancora che di un medico. I passaggi della sua vita professionale, le novità scientifiche, “i maestri”, l’ansia della carriera, le superspecializzazioni, la responsabilità, le umanissime quote di narcisismo e personale soddisfazione. Ma si coglie sempre al centro l’humanitas, stabile nell’etica del singolo e nel suo viaggio introspettivo.
Di Comeri mi piacciono molto le citazioni dei “maestri”. I “maestri” sono stati per me e certo per Comeri fonte di cultura, di saggio rapporto umano e professionale, di etica, di saggezza ed esperienza, di mistica rassegnazione e di entusiasmi scientifici, che Comeri trasmette a sua volta con straordinaria semplicità.