CREIAMO LE CONDIZIONI PERCHÉ I TALENTI NON PERDANO IL LORO ENTUSIASMO

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ingegnere, general manager di Clevertech Group Spa, Cadelbosco di Sopra (RE)

Alla fine degli anni ottanta, l’entusiasmo e la tensione verso la qualità hanno spinto un giovane ingegnere com’era lei all’epoca a visitare in breve tempo la maggior parte degli scatolifici sparsi per il mondo, dopo avere automatizzato tutti quelli operanti in Italia con la neonata Clevertech. È ancora frequente trovare giovani che scommettano con entusiasmo nella forza delle proprie invenzioni? Stando a una statistica elaborata da Infocamere-Unioncamere, dal 2019 a oggi, la presenza di imprese giovanili (tra i 18 e i 35 anni) è calata del 6,6%, mentre dal 2011 si è riscontrato un calo di circa 185 mila imprese…

Il contesto storico attuale è molto differente rispetto a quello della mia generazione, nata subito dopo la seconda guerra mondiale. Erano gli anni del boom economico e del miracolo italiano, quando bastava un po’ d’ingegno, di volontà e d’impegno per avviare un’attività che, nell’arco di poco tempo, diveniva un’industria. Negli anni sessanta, si viveva con l’idea che il futuro riservasse continue sorprese, perché la tecnologia regalava cose meravigliose a tutti: la televisione, la lavatrice, il telefono. Ricordo che un giorno, quando ero alle elementari, l’allora Sip convocò tutti i bambini a una dimostrazione al cinematografo del paese, per spiegarci com’era possibile che due persone distanti potessero comunicare grazie al telefono. Per non parlare della prima autostrada, che diede un grande impulso alla mobilità. La nostra generazione è stata veramente fortunata perché immaginava il futuro come una successione di eventi che portavano felicità e miglioramento della qualità della vita per la maggior parte dei cittadini. All’epoca, era piuttosto semplice trovare lavoro e ottenere una tranquillità economica che consentiva di raggiungere obiettivi essenziali come farsi una casa e mantenere una famiglia.

Oggi, invece, il contesto è completamente differente: i millennials, i ragazzi nati nel 2000 non si meravigliano più dei prodigi della tecnologia, l’hanno assorbita, padroneggiano i media, le telecomunicazioni, i social, però il loro è un futuro incerto, pieno di insicurezze, quindi è normale che abbiano paura, che abbiano timore del futuro, cosa che per noi era sconosciuta. Quando ci siamo laureati, noi avevamo l’unico problema di selezionare la migliore offerta di lavoro. Adesso invece c’imbattiamo spesso in ragazzi preparatissimi costretti a barcamenarsi in lavori poco qualificati, pagati male o a provvigione e a tempo determinato. Non avendo alcuna prospettiva certa per il futuro, inoltre, ritardano il più possibile il momento in cui decidono di farsi una famiglia e continuano a vivere con i genitori anziani, perdendo man mano la voglia di mettersi alla prova.

Tuttavia, in alcuni casi, dando qualche opportunità e un po’ di sicurezza a giovani con tanto entusiasmo di fare e di riuscire, si trovano collaboratori disposti a mettersi in gioco. La nostra azienda ha un’età media molto bassa, abbiamo una generazione di millennials eccellenti, con grandi talenti e capacità di lavorare in team. Certo, sarebbe necessario averne molti di più, ma, cercando d’interpretare meglio il loro modo di pensare e instaurando con loro dispositivi di parola, si possono ottenere ottimi risultati.

Quindi, i giovani possono trovare in Clevertech Group interlocutori della loro scommessa e mettere a frutto i loro talenti, anziché seguire chimere e falsi miti che propongono guadagni facili senza il lavoro e l’impegno…

Noi abbiamo dato spesso belle opportunità anche a giovani immigrati o figli d’immigrati residenti da anni nella nostra zona, che hanno veramente tanta sete di raggiungere mete ambiziose. L’Italia, paese che ha le culle vuote, con una giusta politica d’immigrazione, dovrebbe intercettare i talenti provenienti dal Nordafrica, dall’America Latina o dai paesi dell’Est, anziché soltanto la manovalanza.

Nel numero 95 della rivista, lei ha raccontato che nel 2001, con il crollo delle Torri gemelle, la Procter and Gamble (all’epoca uno dei vostri principali clienti) è andata in crisi e voi avete attraversato un periodo molto difficile. Tuttavia, forti dell’esperienza acquisita, siete riusciti a rilanciare con entusiasmo. In che modo, dinanzi a una crisi, l’imprenditore trova nuove opportunità, anziché abbattersi?

Chi ha deciso d’intraprendere un’avventura imprenditoriale non può tirarsi indietro quando le cose non vanno per il verso giusto, perché non solo si è esposto finanziariamente con banche e fornitori, ma ha coinvolto collaboratori che gli hanno dato fiducia e hanno scommesso nel suo progetto. In America il fallimento non è considerato una macchia indelebile, e questo è interessante. Tuttavia, non credo sia fruttuoso cambiare business di frequente, perché nell’impresa paga anche la perseveranza, la capacità di crescere sempre di più e di aumentare di anno in anno la propria influenza sul mercato di riferimento. Certo, anche un bravo imprenditore può trovarsi in mezzo a un guado assolutamente non prevedibile come quello che si è prodotto con la pandemia. Però, con un’analisi approfondita sulle cause interne o esterne all’azienda che hanno prodotto il dissesto finanziario, molto spesso l’imprenditore riesce a trovare all’interno dell’azienda le energie per riportare l’azienda in una situazione di rilancio.