LA FEDE NELLA RIUSCITA

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
presidente di S.E.F.A. Holding Group Spa, Sala Bolognese (BO)

L’entusiasmo è la condizione della vita e della sua tensione al valore, ovvero di quella forza non naturale, della forza intellettuale che non cessa mai, nemmeno nei momenti più difficili della battaglia quotidiana. In che modo l’entusiasmo è stato condizione della riuscita nel suo itinerario imprenditoriale nel settore siderurgico?

L’entusiasmo è la condizione dell’impresa e di quella forza che consente di portare a compimento il proprio progetto. Dal 1970, quando ho incominciato a lavorare nella siderurgia e, in particolare, nella Mazzoni Acciai, l’entusiasmo non è mai mancato. Anche quando Alberto Mazzoni mi aveva assunto da pochi mesi e mi aveva subito proposto di andare nella nuova sede di Calenzano, perché gli avevo detto che volevo “diventare venditore”. Era un momento di grande rilancio dell’industria italiana e fare il venditore era sinonimo di riuscita. È stato un passo importante a cui ne sarebbero seguiti altri. In ciascuna occasione procedevo sempre dalla sfida e mai l’entusiasmo è venuto meno; esso è costante perché non è l’euforia.

L’entusiasmo è anche la condizione della fede nella riuscita. Non puoi riuscire in questo lavoro se non hai fede: devi essere tu ad avere fiducia nella riuscita del tuo progetto e non puoi demandare ad altri la tua scommessa. La riuscita, infatti, non dipende dal destino o dagli altri: puoi riuscire soltanto se ci metti tutte le tue forze. Anche nella Bibbia c’è scritto “La tua fede ti ha salvato”, non “Io ti ho salvato”. Ma occorre procedere dall’apertura, dalla relazione e senza risparmiarsi. Ricordo Luigi Pazzaglia, proprietario delle Officine Cevolani, azienda pioniera nelle macchine per il packaging di barattoli e di scatole metalliche per alimenti. Lui aveva l’entusiasmo e l’esigenza di produrre con gli acciai migliori, ma, non riuscendo a trovarli, aveva aperto anche l’azienda per il loro approvvigionamento e la loro commercializzazione, Cias Acciai. Pazzaglia era un interlocutore prezioso ed era anche grande estimatore degli acciai Uddeholm.

L’entusiasmo non vi è mancato anche quando, nello scorso febbraio, il vostro Gruppo ha avviato in Piemonte una nuova unità commerciale che implementa il progetto di SEFA Holding…

Oggi noi stiamo esportando il nostro modello di business. Il nostro modo di commercializzare gli acciai, infatti, è divenuto un modello di servizio e di assistenza, che ci ha reso man mano partecipi dei progetti industriali dei nostri clienti. Qualche giorno fa, per esempio, ci ha chiamato un cliente di Torino per avere delle informazioni su un fornitore che potrebbe dargli una mano per fare un tipo specifico di lavorazione. Lo ha indirizzato a noi l’amico di un amico, come spesso accade. Questo patrimonio di esperienze e la nostra capacità di consigliare vanno nella direzione di capitalizzarsi sempre di più. Per noi il fornitore è parte integrante della produzione e oggi stiamo cogliendo i frutti di questo approccio, sempre più apprezzato dai nostri clienti. Del resto, il nostro motto è sempre stato: la tua riuscita è la mia riuscita.

Il lavoro è spesso inteso come qualcosa che pesa e che sacrifica l’entusiasmo…

Per Bruno Conti lavorare non è mai stato un peso, perché è parte integrante del suo percorso. La rappresentazione del lavoro come peso risponde al luogo comune che antepone al lavoro l’idea di riscatto e l’idea di libertà cosiddetta personale, nel senso di fare quel che si vuole, ma la libertà non è questa. Il lavoro, invece, ha bisogno di regole, di disciplina, di metodo e di ritmo, che sono poi legate alla forza intellettuale e alla forza fisica. La questione che si pone con il lavoro è che non bisogna farsi sopraffare dai problemi, ma occorre dargli la giusta dimensione.

Chi dice che il lavoro è un peso, sta dicendo che ha sbagliato mestiere. Il lavoro non è un dovere, ma un ambito da cui trarre soddisfazione, tramite cui crescere e avviare relazioni con gli altri. Chi lavora con noi, per esempio, ha relazioni quotidiane con gli operatori della produzione, del magazzino e dell’amministrazione, ma anche con le ditte esterne dei fornitori e dei nostri clienti. Questi dispositivi sono parte della vita e sono imprescindibili, perché consentono un’indipendenza culturale, un arricchimento. L’era attuale consente di trovare e di svolgere lavori che rispondono alle nostre inclinazioni. Mentre in passato chi nasceva contadino moriva contadino, come auspicava Platone, oggi ciascuno ha l’opportunità di sviluppare l’intelligenza e di contribuire alla vita civile, disegnando la propria storia e la propria impresa.

Quali sono i vostri progetti per i prossimi anni?

Con entusiasmo, che è anche condizione dell’intelligenza e della forza, delle capacità culturali e intellettuali, stiamo valutando nuovi progetti fra cui il rinnovo degli stabilimenti della sede, in modo che diventi più efficiente e anche più bella. L’entusiasmo è anche la condizione della bellezza e noi vogliamo fare un’azienda bella, dove sia bello vivere.

L’impresa dà la spinta per vivere ed è una prova di fede anche questa, perché la fede nella riuscita comporta avere fiducia nei propri mezzi e in quelli dei collaboratori. Io credo che l’impresa e l’imprenditore siano esempi di abnegazione verso gli altri, soprattutto oggi, se consideriamo che è sempre più diffusa la mentalità di fare quello che più è comodo, secondo l’adagio mors tua vita mea. Per esempio, noi ci avvaliamo di professionisti e di fornitori di altissimo livello che sono partecipi del nostro progetto. Ecco perché non abbiamo mai cambiato professionisti tanto per cambiare, loro viaggiano insieme a noi.

Se c’è una componente della società che procede dall’apertura verso gli altri, questa è l’impresa. Per esempio quando assume lavoratori stranieri offrendo loro un’educazione e un progetto di vita, con regole e obiettivi da raggiungere per crescere. Compito dell’impresa, infatti, non è fare l’assistente sociale, ma esercitarsi in una tensione incessante al valore. L’imprenditore non è quello che sfugge ai problemi e alle sue responsabilità, ma le affronta con grande capacità, per esempio quando deve tenere conto delle diverse istanze dei collaboratori, anche di quelli che non hanno fede nella riuscita. L’imprenditore ha avuto talenti che gli hanno consentito di aprire l’azienda e, mettendoli a frutto, offre un valore aggiunto alla società. Senza questi talenti, la società non avrebbe sanità, cultura e distribuzione di reddito, quest’ultima grande utopia del nostro tempo. È inutile parlare di distribuzione della ricchezza se spesso alle imprese è impedito di produrre, per esempio opponendo loro sempre più spesso ragioni ambientali, paesaggistiche e climatiche per non fare.

Lo stile SEFA è costituito non soltanto dalla fornitura di prodotti metallurgici mirati alla produzione del cliente, ma anche dalla parola del fornitore che cammina a fianco del cliente...

Noi abbiamo realizzato un’impresa di cui il cliente dice: “Di te mi fido”. Qualche settimana fa, per esempio, un cliente mi ha detto: “Mi puoi risolvere tu il problema? Sei l’unico che può farlo e di te mi fido”. Non è facile ricevere queste attestazioni di stima, e occorre grande responsabilità per attenersi alle aspettative, che danno conto della forza intellettuale e dell’esigenza di bellezza che ci contraddistinguono. Perché la forza non è battere i pugni sul tavolo, ma procedere incessantemente in direzione della qualità ed è constatabile quando il cliente dice: “Di te mi fido, perché scommetto insieme a te sulla riuscita della mia azienda”.