LA MINACCIA DEL MASS-RADICALISMO

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
giornalista, scrittore, docente di Teorie e tecniche della comunicazione giornalistica all’Università Statale di Milano

Per attenermi al tema dell’incontro, La comunicazione, le fake news, i totalitarismi, vorrei esplorare ciò che tiene insieme questi tre elementi: la comunicazione, le fake news, o le notizie del diavolo – come le chiamavamo quando è uscito Le notizie del diavolo. La parabola ignota della disinformazione (Spirali, 1994) – e i totalitarismi. Per inciso, nel 2019 è uscita una seconda versione del libro, Ultime notizie dal diavolo. I segreti della disinformazione dall’antichità alle fake news (Guerini Scientifica), che tiene in considerazione i nuovi media, internet in primis. Dal 1994 sono trascorsi 29 anni, in cui ho approfondito l’argomento, man mano che aumentava il fastidio e a volte l’indignazione nel vedermi preso per il naso, soprattutto dai media, ma non soltanto.

A proposito di questa triade, “comunicazione, fake news e totalitarismi”, vorrei citare alcuni enunciati. Per esempio, il grido di allarme per la salvezza del pianeta: “Aiuto, aiuto! Il mondo sta andando a fuoco, l’apocalisse sta arrivando, i ghiacciai spariscono al ritmo del 20% all’anno, il pianeta sta andando a fuoco, dobbiamo assolutamente evitare l’apocalisse. Come? Ce lo diranno le menti illuminate, intanto noi prepariamoci a questa certezza e, soprattutto, dobbiamo essere coscienti che le cose stanno andando malissimo, quindi qualsiasi cosa ci proporranno dovremo accoglierla con grande riconoscenza”. È la stessa impostazione che abbiamo sperimentato con l’apartheid, ovvero il “regime sanitario”, durante la pandemia, che ha cambiato in modo radicale le nostre vite. Procede da tale impostazione l’enunciato che ascoltavamo in televisione e sui media: “La scienza dice”. Ma la scienza non dice, la scienza è astrazione e confutazione. Se la scienza non astrae dalla realtà, non è scienza, perché non ha la possibilità di formulare teorie, che devono essere confutabili e falsificabili, secondo il metodo popperiano del trial and error, “prova ed errore”. Chi dice che qualcosa “lo ha detto la scienza” è un nemico della scienza.

E veniamo alla questione della guerra cui stiamo assistendo e che ci riguarda da vicino, anche se qualcuno fino a poco tempo fa credeva non ci riguardasse, perché è la guerra che conosciamo attraverso ciò che ci dicono: il presidente di una federazione di un paese che è il più grande del mondo come estensione geografica, di poco inferiore a un settimo delle terre emerse, si rivolge al suo popolo dicendo che è necessario combattere contro i nazisti, ovvero contro il paese che egli ha invaso. C’è però un piccolo particolare: l’ideologia su cui Putin si sostiene è impregnata fortemente di nazionalsocialismo, di nazismo, perché fa riferimento alla terra sacra, al sangue, all’etnia, alla religione di stato e all’idea che la lingua sia la discriminante: là dove si parla russo là è Russia. Tutti questi principi sarebbero stati accolti con entusiastico favore da parte del suo predecessore Adolf Hitler e anche, in una versione differente, dal suo predecessore Josif Stalin. Si tratta del nazicomunismo, un ibrido ideologico che mette insieme questi due elementi: da una parte, la razza identificata come éthnos, sangue, terra, lingua, più la religione ortodossa secondo i principi di Mosca e di padre Kirill, che benedice le armi, e, dall’altra, l’autocrazia, la presidenza che si autodetermina per decenni. “Noi russi quindi abbiamo un insieme di elementi che ci dicono che del nemico dobbiamo avere paura, perché il nemico è nazista”. È ciò che il filosofo Martin Heidegger, sulla scia dello storico Ernst Nolte, definiva Shreckbild, ovvero l’immagine spaventosa provocata dalla paura del nemico, accanto alla quale veniva proposta la Vorbild, la contro-immagine salvifica rassicurante, suscitata dall’adesione totale a un’opposta verità ideologica. La Shreckbild venne creata per la prima volta nel 1914 per organizzare la mobilitazione degli eserciti nella Grande guerra: si andava al massacro, verso l’inutile strage, come disse il Papa di allora, Benedetto XV, perché il nemico era il terrore, la Shreckbild, la paura.

Un elemento sintomatico in una visione totalitaria è l’idea della pace come concetto ideologico astratto, assoluto, un’idea che deve affermarsi perché si afferma: è pace perché io dico pace e, anche se c’è guerra, io dico pace. Questo è il terreno, l’humus ideale di sviluppo per il virus totalitario. Il virus totalitario ha bisogno di una falsa cortina fumogena dietro cui proseguire la sua attività di erosione, di distruzione, di combustione. Riassumendo, che cosa pone sullo stesso piano l’accusa di razzismo, l’idea che la separazione, l’apartheid sia la libertà, che avere paura sia sintomo di coraggio? “Bisogna avere paura perché il pianeta sta andando a fuoco”, così come si aveva paura dell’anno 1000 nel Medioevo (ricordo il detto “Mille e non più Mille”), come pure negli anni settanta si doveva avere paura dell’inverno nucleare, c’era l’idea che una guerra nucleare avrebbe provocato talmente tanti detriti da oscurare il sole e da provocare il contrario di quello che si dice oggi, cioè la glaciazione della terra. E qualcuno si ricorderà la paura apocalittica informatica del 31 dicembre 1999, quando avrebbero dovuto bloccarsi tutti i sistemi operativi dei computer e gli aerei avrebbero dovuto cadere, il millenium bug. Che cosa collega tutte queste previsioni? La paura. È la paura il primo strumento che il totalitarismo mette in campo. E quando sentiamo che qualcuno vuole farci paura o addirittura vuole farci credere che la paura è il vero coraggio, allora dobbiamo veramente metterci in allarme, perché c’è qualcuno che sta cercando di portarci dove vuole, ma con mezzi che non sono onesti.

Prendiamo altre parole che sentiamo ripetere ogni giorno, con un continuo lavaggio del cervello: ecologia, transizione, green, diversità, inclusione e, soprattutto, sostenibilità. Che cosa unisce queste parole? Che cosa unisce i vari salotti televisivi, dove esiste una sistematica metodica disinformazione basata sul gioco delle parti disuguali? Quando si vuole affermare un principio senza affermarlo e costringere qualcuno a pensare una cosa senza che l’abbia pensata, si convocano cinque esperti, quattro dei quali sostengono l’idea dominante, sono persone note, che sanno parlare bene, sono credibili, di elevato prestigio professionale, mentre il quinto è brutto, parla male, balbetta, non è credibile e copre di discredito l’opinione dissenziente, che in questo modo viene a rafforzare quella dominante.

Nicola Pozzati ha posto il problema dell’autocensura dei giornalisti, che credo si possano definire per moltissimi aspetti dei replicanti, cioè persone che si limitano ad affrontare la realtà senza spirito critico e secondo un vecchio metodo, che purtroppo ho conosciuto molto bene nella mia attività di giornalista militante, ovvero il metodo dell’intervista cosiddetta “a risposta domanda”, in cui prima si concordano le risposte che si vuole siano date e poi si adattano le domande alle risposte. Un metodo che è stato applicato in molte circostanze e, per esempio, ai tempi di Mani pulite.

Vorrei ricordare anche una serie di espedienti linguistici molto interessanti, che ho approfondito principalmente nei libri Dirsi tutto e Ultime notizie dal diavolo, ovvero le “frasi tagliola”, le frasi trappola. Per esempio, sentiamo spesso usare la frase: “scelta di civiltà”. Naturalmente, la civiltà è quella che dico io e, se voi non aderite alla mia scelta di civiltà, allora, per definizione, siete incivili, quindi non avete il diritto di parola: o aderite alla mia scelta di civiltà oppure fate il piacere di restare in silenzio o di uscire.

Un altro elemento importante è l’informatica, questa dea che ci ricorda: “Non avrai altro dio al di fuori di internet”, che fa parte delle nostre vite, che ci condiziona, che ci porta lontano, che a volte ci piace e a volte c’inquieta. Ma quando c’inquieta c’è una ragione: l’informatica è qualcosa che va spesso a raddoppiare la burocrazia nelle cose che facciamo, aggiungendo e moltiplicando i passaggi, complicandoli, selezionando uomini e mezzi a seconda delle capacità informatiche che devono cambiare continuamente, in base agli aggiornamenti. E l’aggiornamento, insieme alla gratificazione di essere riusciti ad acquisirlo, è il modo in cui l’informatica vi ha in pugno. Naturalmente, gli esegeti dell’informatica come miracolo e bene assoluto sono sempre presenti. E quale sarà lo slogan che potrà caratterizzarci tutti e che ci caratterizza tutti? “Scarica l’App!”. Con l’aver scaricato l’App siete a posto.

Che cosa accomuna dunque tutte queste manipolazioni? L’idea del controllo. Dopo la paura, il secondo grande obiettivo del totalitarismo. Quasi più importante della finalità, che è comunque una finalità fittizia, perché sappiamo che nelle alte gerarchie – a suo tempo nazional-socialiste e comuniste-bolsceviche, ma anche all’interno dell’islamismo radicale e persino all’interno del nazi-comunismo putiniano – non si crede a ciò che si predica. E quanto più si sale nella gerarchia, tanto più si ha la possibilità di capire che è tutto strumentale, è tutto finto. In realtà non si va da nessuna parte, si va soltanto a rafforzare il potere. Potere e controllo: ecco il secondo grande elemento che unisce l’informazione, quindi la comunicazione, che determina le fake news e il totalitarismo.

Il totalitarismo deve basarsi sempre su due grandi elementi: un elemento arcaico (utopistico) e un elemento di grande modernità, per poter catturare in pieno la nostra adesione.

Nel caso del nazional-socialismo, l’elemento arcaico era la superiorità della razza ariana e l’elemento scientifico era invece il darwinismo, cioè il fatto che le razze superiori, secondo Darwin, tendono ad affermare il predominio sulle altre.

Nel caso del comunismo leninista, c’era insieme il ritorno al mito della comune russa di villaggio, che poi diventa il soviet di fabbrica e, come diceva Lenin, l’elettrificazione, cioè l’industrializzazione, e quindi anche i piani quinquennali, e così via. Nel caso dell’islamismo radicale, abbiamo invece un’interpretazione radicale del Corano e delle Sure, delle successive applicazioni e interpretazioni, un’interpretazione parziale del Corano, cui si sommano le tecnologie moderne, informatiche e commerciali messe in atto da Al Qaeda in vari modi e anche dai Talebani, in modi un po’ diversi. Che cosa possiamo considerare che stia succedendo in questo momento nell’occidente democratico? Esiste una visione pre-totalitaria, para-totalitaria, che minaccia di diventare realmente totalitaria e che io chiamo mass-radicalismo, ovvero radicalismo di massa o anche massimalismo radicale. Questa visione, come tutte le grandi visioni totalitarie storiche, ha un elemento arcaico-utopistico, cioè l’idea che il mondo debba essere salvato, purificato, portato a una superiore qualità e a un’uguaglianza perfetta. Marx avrebbe detto: “Un mondo in cui ognuno riceve secondo i propri bisogni e a ognuno viene richiesto secondo le proprie capacità”. Questa è la visione di fondo: noi dobbiamo andare verso un mondo verde, un mondo perfetto, un paradiso in terra. Dobbiamo adorare questa divinità: la Terra. Abbiamo un solo pianeta ed è quello che dobbiamo adottare. Questo è a noi superiore, va al di là delle singole vite e noi vi promettiamo che il mondo sarà così, sarà bello, salubre, naturale. Non ci saranno più differenze e ognuno sarà ciò che desidera essere: il desiderio diventa realtà. Io voglio essere una cosa e la sono, e verrò riconosciuto per esserla. E, naturalmente, a questo punto, esiste un’infinita quantità di desideri e di diritti. I diritti sono il nostro futuro e tutti dobbiamo credere nei diritti, è una “scelta di civiltà”: se qualcuno non crede nei diritti, per favore, o taccia o esca dalla porta. C’è un piccolo problema, però: i diritti sono tanti e aumentano continuamente. Come facciamo? Alcuni sono anche contraddittori fra loro e, siccome l’aumento dei diritti, per sua natura, giunge a restringere le libertà di qualcun altro, incomincio a chiedermi: chi parla di diritti contro chi vuole usarli? Comunque il diritto di qualcuno restringe le libertà di altri, per forza, perché il campo di azione non è infinito. Allora, come facciamo? Questo non vi viene detto, ma chi è dentro le cose lo sa: superata la fase della moltiplicazione infinita dei diritti, si richiede l’arrivo di una persona forte, una persona saggia, che sa quali sono i diritti da approvare e quelli da eliminare. Al fondo della visione del mass-radicalismo c’è l’idea del buon legislatore, del padre benevolo o dello stato Leviatano che decide. E chi non è d’accordo non se la passerà bene, perché verrà privato proprio dei diritti di cui altri potranno godere.

Questa è la visione utopistico-arcaica del mass-radicalismo. L’altra invece è quella della manipolazione infinita dell’individuo, cioè vi promettiamo non soltanto che il mondo sarà bellissimo, che tutti saranno uguali e che tutti i desideri saranno soddisfatti, ma anche che la vita si moltiplicherà all’infinito. Noi promettiamo che attraverso la manipolazione la vita sarà bella, che dal momento del concepimento fino alla morte tutto sarà sotto controllo e programmato. Nascerà chi è degno di essere concepito, verrà eliminato invece chi non è all’altezza della situazione, si avrà questa selezione preliminare e in qualsiasi momento della vita si potrà anche decidere di porla a fine, tanto, se è il desiderio che conta, io posso legittimamente e tranquillamente desiderare di porla a conclusione, oppure di farmi ibernare, nella speranza che tra duecento anni la mia vita potrà proseguire all’infinito. Questa idea della manipolazione assoluta dell’individuo è l’altra grande colonna su cui poggia il massimalismo radicale. Detto così potrebbe sembrare una cosa astratta, invece è una cosa estremamente funzionante, perché la caratteristica del totalitarismo, in questo caso del neo-totalitarismo, è di essere affascinante. La gente crede a queste cose, perché vuole crederci. Perché è una speranza. Chi ha perso la speranza in altri ideali ne cerca uno nuovo, e questa potrebbe essere un’ottima occasione per trovarlo.

Quindi, nelle condizioni in cui siamo, che cosa ci rimane da dire? Rimane da dire che noi abbiamo sempre l’opzione di batterci per la libertà che tutte le libertà comprende, per il free speech, per il linguaggio libero, per il rifiuto della correttezza politica, per il rifiuto del linguaggio stereotipato, del linguaggio ideologizzato, di cui neanche ci accorgiamo perché ci viene insufflato continuamente. Pensate per esempio a quel termine che a me fa orrore, “femminicidio”, che implica la riduzione della donna a organo sessuale, e in più è una parola che può essere usata solo se il reato viene commesso da un uomo, mentre, se viene commesso da una donna, non si chiama più così. Non è ciò che avviene in 1984 di Orwell, dove la parola ha un significato a seconda di chi la usa? Pensate a quanto forti sono i condizionamenti cui veniamo sottoposti e a quanto forte dev’essere la nostra capacità di respingerli. Ma noi possiamo respingerli, perché qual è il famoso anello mancante dell’involuzione? È la creatività umana, è la parola. La parola determina la cosa. Noi non sapremmo che cos’è una casa se ci limitassimo a raschiarne le pareti oppure a guardare attraverso il vetro di una finestra. È la parola casa, con tutto ciò che comporta attraverso il tempo e le generazioni, che dà l’idea della casa. Noi creiamo continuamente, non soltanto dal punto di vista artistico, ma creiamo continuamente attraverso il linguaggio e la parola. Questa è una libertà insopprimibile, la libertà della parola: il nemico totale e dichiarato del totalitarismo e del suo campo del potere.

Quindi questo salto qualitativo può in qualsiasi momento salvarci, anche perché noi sappiamo che qualsiasi totalitarismo, anche quello nascente adesso, il mass-radicalismo, anche quello nazi-comunista, che è in azione poco lontano da noi – tra l’altro, vi ricordo che fra Trieste e Palermo c’è la stessa distanza che c’è fra Trieste e Kiev –, questi totalitarismi sono destinati lentamente a perdere forza, perché consumano il loro stesso combustibile. Non sono invincibili. Vogliono farci credere di essere leggi naturali, ma non lo sono. Sono un’imposizione arbitraria che si riproporrà sempre in diverse forme, ma che sempre in diverse forme troverà la nostra possibilità creativa, attraverso la parola, di contestarla e di ridurla alla sua realtà, al fatto cioè che si tratta sempre del re nudo. Quindi usiamo la parola come un aquilone che si alza controvento, ma il controvento la rende inafferrabile. Questa è la nostra speranza.