IL BELLO DI PRODURRE L’ECCELLENZA DELL’ARREDOBAGNO
Non basterebbe un intero libro per raccontare una sola giornata negli stabilimenti in cui Idea Group, con i suoi quattro marchi (Idea, Aqua, Blob e Disenia), produce i più eleganti e raffinati mobili, accessori e cabine docce per il bagno moderno e contemporaneo. Siamo nel cuore del Nordest, tra le province di Treviso e Pordenone, nel distretto in cui operano le più importanti aziende italiane dell’arredobagno, che vanta un patrimonio di antica sapienza artigianale nella lavorazione del mobile. Un’esperienza che i soci fondatori di Idea Group, Roberto Lucchese e Alessandro Colledan, continuano a valorizzare dal 1987, quando hanno deciso di portare la bellezza e lo stile made in Italy in tutto il pianeta. E ci sono riusciti: oggi il Gruppo è una realtà industriale con 308 dipendenti e un fatturato di 100 milioni di euro, che serve una fascia medio alta del mercato, esporta metà della produzione tra Europa, Russia e USA e di recente ha aperto due grandi negozi in Cina. Per non parlare degli hotel e dei resort che scelgono le collezioni Idea Group, da New York a Oslo, da Miami a Madrid e da Venezia a Dubai.
Migliaia di mobili realizzati su misura partono ciascun giorno per centinaia di destinazioni. Numeri che sembrano incredibili visitando gli stabilimenti di produzione, dove regna una tranquillità quasi da bottega rinascimentale: ciascun collaboratore, con il suo sorriso, saluta fiero del proprio compito, mentre è impegnato a curare ciascun dettaglio del mobile che consegnerà nei tempi stabiliti. Sul nastro scorrono mobili differenti uno dall’altro, siamo lontanissimi dalla catena di montaggio e dal principio d’identità di Aristotele: qui, uno non è uguale a uno. Stesso marchio, stessa collezione, ma ciascun mobile risponde a una scelta fra quaranta colori, un numero enorme di materiali, di finiture e di modularità in altezza e in larghezza, nonché la possibilità di andare fuori misura quando, per esempio, dev’essere installato in una nicchia.
In che modo riuscite a organizzare la produzione, combinando la personalizzazione estrema del prodotto, la cura del dettaglio e le esigenze e i tempi di una realtà industriale?
A partire dal 2012, ci siamo interrogati sul modo per ridurre gli sprechi di tempo e di materiali, non solo per una questione economica, ma anche per incrementare il livello di servizio e la qualità proposta al mercato. Negli anni, abbiamo ideato un processo, che abbiamo chiamato Idea Production System (IPS), volto a produrre in maniera snella e a eliminare il più possibile gli sprechi, per cui ogni pezzo che produciamo corrisponde a una richiesta del mercato, in una combinazione vincente fra processo industriale e lavorazioni artigianali. Per ridurre l’impatto ambientale, inoltre, utilizziamo soltanto materiali completamente riciclabili, che non presentano sostanze volatili dannose. Per il rispetto delle foreste, utilizziamo esclusivamente pannelli che certificano la salvaguardia degli alberi. Nell’IPS rientrano anche le politiche di risparmio energetico e lo sforzo continuo di compiere attività sostenibili come il riciclo di 13 tipologie diverse di materiali e la trasformazione degli imballi in carta e cartone che arriva dal reimpiego e può essere riutilizzata.
La soddisfazione dei collaboratori deriva anche da questa filosofia, che li vede protagonisti in un progetto e in un programma attenti alla qualità della vita e alla salute del pianeta, oltre che alla bellezza dei mobili che realizzano con le loro mani.
Marx non avrebbe potuto lamentarsi dell’alienazione sul posto di lavoro, se avesse visitato i vostri stabilimenti…
Noi soci incontriamo i collaboratori in modo costante e ciascuno di loro sa che può parlare con noi di qualsiasi problema che interviene, non solo nell’azienda, ma anche nella famiglia, se ritiene che possiamo essere interlocutori. Anche se non è facile instaurare dispositivi della parola con oltre trecento persone, ma, finché non troviamo chi possa farlo come noi, con il nostro ascolto e la nostra sensibilità, preferiamo non delegare questo aspetto, perché il capitale intellettuale è il primo valore aggiunto del nostro Gruppo. E questo vale anche per i dispositivi con i fornitori e con i clienti: ciascuno di noi soci segue i clienti che ha trovato, anche dopo trent’anni. Il tempo della parola non è mai sprecato, nonostante a volte un cliente mi chiami per un problema tecnico di cui non ho la risposta. Ma è chiaro che è soltanto il pretesto per un saluto, per rilanciare il nostro dispositivo e dargli la garanzia di essere in buone mani quando gli passo una persona più indicata.
Lei è socio di maggioranza di Disenia, specializzata nella progettazione e realizzazione di soluzioni contemporanee e di design per box doccia, cabine doccia, piatti doccia e vasche da bagno. Dopo la sua acquisizione, il Gruppo è riuscito a proporsi nel mercato nazionale e internazionale con un’offerta completa di progetti d’arredo per la stanza da bagno. Per lei Disenia ha coinciso con quello che viene definito il “passaggio generazionale”, che non può avvenire, se non come un “passo”, quello dell’investimento che lei ha messo in campo per divenire imprenditore a sua volta…
Infatti, credo che per me sia stata un’occasione per impegnarmi in modo assoluto in un progetto e in un programma che procedevano da una mia scommessa. Chiaramente, ho avuto buon gioco nell’avvalermi della rete di clienti del Gruppo e dell’investimento da parte di mio padre e del socio, che hanno una quota di poco inferiore alla mia. Anzi, considerando le difficoltà che ho incontrato, essendo partito poco prima della crisi del 2008, più volte mi sono chiesto come avrebbe fatto un giovane della mia età senza una famiglia come la mia che mi ha dato supporto. In pratica, abbiamo speso due milioni di euro prima di poter sbarcare sul mercato. Disenia era una piccola azienda nata nel 1986 in provincia di Pisa, che si era caratterizzata fin da subito per il design unico e inconfondibile, ma era fallita, perché il titolare era convinto di potere gestirla da Milano, recandosi in sede soltanto una volta alla settimana. Il giorno in cui siamo andati a visitarla, su segnalazione di un nostro rivenditore, è stato impressionante vedere tanti oggetti abbandonati come se le persone fossero scappate all’improvviso: un martello in attesa di dare il colpo successivo, una penna appoggiata su un foglio scritto a metà, gli ordini che erano continuati ad arrivare nel fax e si erano accumulati, per poi sparpagliarsi tutt’intorno quando non c’era più posto nella cassettina. Tuttavia, sbirciando fra quegli ordini, ho visto nominativi di nostri clienti e li ho chiamati. Nessuno aveva una cattiva opinione della qualità delle cabine doccia, anzi, parlando con loro, ho capito che potevamo mantenere lo stesso nome, anche se c’era qualcosa che non andava, considerando che era fallita. I mesi successivi sono stati dedicati alla ricerca e alle prove nella sala prototipi allestita appositamente, non potevamo permetterci di sbagliare, anche perché avremmo compromesso la reputazione dell’intero Gruppo. Allora, abbiamo scoperto che c’erano difetti di progettazione e che, non avendo grandi numeri, producevano le loro belle maniglie di design attraverso lavorazioni meccaniche in ottone, con costi folli, anziché realizzare uno stampo per poi produrle in serie. Purtroppo, nelle cabine e nei piatti doccia è tutta una questione di stampi: a parte il vetro, ci sono tanti pezzi che richiedono un costo iniziale notevole per lo stampo, ma soltanto così il singolo pezzo costa la metà e quindi si può vendere la cabina a prezzi migliori e venderne molte di più. Se abbiamo speso due milioni di euro prima di partire è anche perché ciascun modello richiedeva una serie di stampi che costano qualche migliaio di euro ciascuno, e i modelli non erano pochi. Però, questo investimento iniziale ci ha consentito di passare da un milione di euro di fatturato degli esordi ai venti milioni attuali, crescendo ciascun anno a doppia cifra. Una bella soddisfazione, soprattutto se pensiamo che, appena partiti, nel 2008 è arrivata la crisi e i rivenditori nostri clienti avevano i negozi deserti. Tutt’al più riuscivano ad acquistare una sola cabina doccia, che mettevano in esposizione: “Se siete bravi, ci dicevano, crescerete”. Evidentemente siamo stati bravi.
Negli anni successivi, dal 2011 al 2013, come Gruppo abbiamo avuto una perdita complessiva di due milioni di euro a causa del fallimento di molti rivenditori, che all’inizio sembravano resistere alla crisi. E, tuttavia, li abbiamo recuperati, perché gli agenti che lavoravano per quei rivenditori, quando sono andati a lavorare da altri, hanno ripreso ad acquistare da noi, perché apprezzavano la qualità dei nostri prodotti, ma anche i rapporti che si erano consolidati nel tempo. E se qualche rivenditore riapriva l’attività, magari con un socio, faceva di tutto per lavorare con noi, in modo da farci recuperare le perdite. Addirittura, un cliente è venuto di persona da Milano per comunicarci che avrebbe portato i libri in tribunale, senza temere di trovare la brutta accoglienza che poteva aspettarsi dando una simile notizia, tanta era la lealtà fra di noi: “A voi non potevo dirlo per telefono, né lasciare che ne veniste al corrente per via ufficiale”, ci ha detto piangendo come un bambino. Quindi in quegli anni abbiamo avuto tante difficoltà, ma non c’è stato mai nessuno che ci abbia “tirato un pacco” di proposito, purtroppo era gente che non è riuscita a pagare i debiti.
Il modo italiano di fare impresa sta anche nella lealtà e nell’amicizia, grazie a cui il servizio non è mai standard…
È vero, però, accanto a questa qualità, l’imprenditore italiano dovrebbe acquisire maggiore capacità di proiettare il suo business a livello mondiale, perché oggi il mercato è imprevedibile e il capitano di un’impresa è come quello di una nave in mare aperto, come diceva a un incontro recente il velista Giovanni Soldini, e quindi dev’essere pronto a cambiare rotta in qualsiasi momento, appena si accorge che le condizioni stanno mutando. Per questo, occorre alimentare il proprio capitale intellettuale e interessarsi di finanza e di geopolitica per cogliere opportunità di mercati anche molto lontani dai nostri.