CIASCUNO HA L’AVVENIRE DINANZI
Sono arrivato a Bologna quando avevo quattordici anni, dopo aver vissuto la mia infanzia a Firenze. In questa città mio nonno, Italo Spinetti, aveva una notissima galleria d’arte, dove tutti gli anni inaugurava mostre molto importanti, sia di pittori del modernismo sia soprattutto di quelli dell’Ottocento e del primo Novecento. In particolare, ha riscoperto e rilanciato i Macchiaioli, organizzando una grande mostra annuale con le loro opere. Così, in quel periodo ho incontrato tanti artisti, da Felice Carena a Ottone Rosai, ad Ardengo Soffici e a Giorgio de Chirico, mentre mio nonno auspicava che proseguissi l’attività della galleria d’arte. Grazie a lui ho avuto la fortuna d’incontrare anche esponenti di spicco della politica, come i sindaci di Firenze Giorgio La Pira, un interlocutore straordinario, e Piero Bargellini.
Ma, nel 1956, mio padre ricevette l’incarico di dirigere l’agenzia generale della Fondiaria Assicurazioni di Bologna, città in cui ho incominciato a fare attività politica, per laurearmi in giurisprudenza. Dopo la laurea ho avviato la professione legale, ma m’interessava anche la carriera universitaria. Sono stato per un certo periodo assistente di Franco Bricola, noto penalista bolognese, e sono stato il capo redattore della rivista “La critica penale”. In seguito, ho fatto parte della prima Camera Penale dell’Emilia Romagna. Poi, improvvisamente, un mio amico, che stava facendo una battaglia per il consiglio direttivo dell’Automobile Club di Bologna, diviso in due fazioni, mi ha coinvolto in questa avventura: nel 1978 sono stato eletto nel consiglio direttivo dell’Automobile Club di Bologna che aveva preso in gestione l’Autodromo di Imola. Quindi ho abbandonato l’attività di penalista, che richiedeva un intenso impegno quotidiano, e ho proseguito orientandomi sempre più al settore civilistico. Poi, un amico, Francesco Zinzani, che è stato fra i fondatori della mutua sanitaria integrativa C.A.M.P.A. nel 1956, mi ha chiesto di seguire le sorti della società come avvocato. Dopo i buoni risultati ottenuti come legale, mi è stato chiesto di entrare nel consiglio d’amministrazione della C.A.M.P.A. fino a quando non è scomparso lo storico presidente, Ademario Del Gaudio, e sono stato eletto ad assumerne la carica.
C.A.M.P.A. ha ormai più di sessant’anni di vita. Quando sono entrato nella società di mutuo soccorso, i soci erano oltre 7000, mentre in questo momento sono circa 60.000. Questo sviluppo è stato favorito dall’esigenza delle strutture sanitarie private di fornire i servizi che la sanità pubblica non riusciva ad assicurare. In particolare, il maggiore sviluppo è avvenuto quando siamo passati dalle iscrizioni meramente individuali alle convenzioni con aziende interessate a tutelare i propri dipendenti. Oggi, infatti, abbiamo molte convenzioni con vari tipi di imprese e in particolare, con le cooperative socie di Confcooperative.
La grande differenza che intercorre tra la nostra attività e quella delle compagnie di assicurazione o di strutture simili alla nostra, per esempio, è che alla C.A.M.P.A. abbiamo dovuto mettere un tetto all’ingresso individuale, come i settant’anni di età, per evitare che persone molto anziane si iscrivessero all’ultimo minuto. Ma abbiamo mantenuto una certa elasticità: le nostre adesioni individuali includono sempre i nuclei familiari e, se all’interno del nucleo familiare vi sono componenti di età inferiore ai settant’anni, questi si trascinano dietro anche i familiari di età maggiore. In questo modo noi garantiamo comunque l’assistenza a tutti. Ma soprattutto, una volta entrato in C.A.M.P.A., l’iscritto è assistito per tutta la vita: non esiste nel nostro statuto la possibilità di recedere dal rapporto con una per[1]sona molto anziana o che ha bisogno di molti interventi sanitari. Questo riguarda soprattutto le adesioni volontarie dei soci, perché invece, nelle convenzioni aziendali, noi accettiamo soltanto persone di età non superiore a quella del pensionamento, ma, anche in questo caso, chi è già assistito tramite la convenzione, può poi continuare individualmente per la vita.
In questo momento, tra i nostri assistiti molti hanno superato i novant’anni e oltre una decina i cento. E dare la garanzia a chi entra nella nostra struttura di essere assistito per tutta la vita, qualunque siano i suoi bisogni, ci rende molto fieri. Questo è un aspetto importante, perché, via via che l’età avanza è inevitabile che aumentino anche le esigenze di prevenzione prima e di cura poi. È essenziale assistere e garantire la tutela sanitaria senza limiti di età. A tal riguardo, vorrei narrarvi un episodio: mia figlia più giovane è medico, anestesista, specializzata in rianimazione pediatrica. Si è laureata a Bologna, ma, non essendo rimasta molto entusiasta del sistema di selezione per l’accesso alla facoltà di medicina in Italia, ha fatto domanda ad un’altra struttura universitaria di Bruxelles. Quando era nella fase di specializzazione, un giorno in cui era di turno, è stata chiamata d’urgenza per andare ad assistere una signora di oltre ottant’anni. Lei l’ha raggiunta con l’ambulanza, è riuscita a rianimarla, l’ha portata in ospedale ed era molto fiera di questo risultato. La mattina dopo è stata chiamata dal primario ed era contenta, perché pensava che volesse farle le congratulazioni. Invece, il primario le ha detto: “Sì, sei stata molto brava, però questi interventi tienili per quando torni in Italia, perché qui alle persone di età troppo avanzata non si fanno queste cose”. Questo per dire qual è l’approccio in certi ambiti sanitari e per sottolineare l’importanza dell’attività che noi svolgiamo come C.A.M.P.A, per garantire la salute alle persone anziane.
Per quanto riguarda la tutela della salute, è importante che le persone sia[1]no in grado di svolgere un ruolo attivo nella società e nella propria attività, senza alcun limite, finché sono in grado di farlo. E l’apporto delle persone anziane è fondamentale in alcuni ambiti. Nello svolgimento del mio lavoro ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere molte persone estremamente attive, che mi hanno colpito per il loro dinamismo e per la capacità di guardare sempre al futuro, senza voltarsi per considerare quello che avevano fatto e senza porsi il problema di quando si sarebbe conclusa la loro attività. Uno di questi è stato Indro Montanelli, che ho conosciuto quando era direttore del “Giornale”. Montanelli era una persona affascinante, perché le sue idee e le sue proposte erano orientate al divenire della politica e della realtà italiana. Lui era un uomo propenso a non fermarsi mai, nonostante l’at[1]tentato che aveva subito. Ho sempre apprezzato la sua professionalità, la sua capacità imprenditoriale, perché aveva creato “Il Giornale” e, anche dopo la conclusione di quell’avventura, fino all’ultimo giorno della sua vita, ha continuato a lavorare tornando al “Corriere della Sera”.
Un uomo straordinario, che era in tarda età quando l’ho incontrato, è stato Enzo Ferrari. L’ho frequentato nei suoi ultimi dieci anni di vita, cioè dagli ottanta ai novanta. La sua dimensione era straordinaria, per lui l’età non aveva alcun peso, anche se non gli mancava qualche problema di salute. Era al di là del tempo, sempre proteso in avanti, voleva raggiungere traguardi nuovi, superando anche momenti difficili, senza mai pensare di fermarsi. Ogni tanto andavo a trovarlo intorno a mezzogiorno, poi proseguivamo a pranzo e parlavamo di vari argomenti anche oltre le quindici. L’ultima volta che l’ho incontrato è stato fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio del 1988. Stava per compiere novant’anni e ci saremmo dovuti rivedere dopo il compleanno. Allora mi disse: “Non t’invito per il compleanno perché voglio passarlo solo con i miei operai, con i miei dipendenti. Poi ci rivedremo”. Ma, per via delle sue condizioni di salute, sono riuscito a parlargli soltanto per telefono e non l’ho più rivisto. Quello che mi ha colpito di questo breve colloquio era che non c’era l’idea di fermarsi, pensava soltanto ad assicurare il futuro alla Ferrari. Voleva festeggiare il compleanno con i suoi dipendenti, perché pensava che la Ferrari fosse anche loro.
Un’altra persona con cui da tempo ho rapporti di vera amicizia è Bernie Ecclestone, che ha compiuto novantadue anni. Fino a qualche anno fa è stato il responsabile della gestione della Formula 1, finché non è stato scaricato dagli americani, che hanno acquistato il giocattolo e poi lo hanno messo da parte. Anche lui è una persona che guarda sempre avanti e non sta mai ferma un minuto. Ogni volta che ci incontravamo parlavamo dei suoi progetti, delle cose da fare, dei suoi contratti, dei Gran Premi. Ha novantadue anni, vive prevalentemente fra la Svizzera e Londra e pochi mesi fa ha avuto un bambino, perché la moglie non ha novant’anni ma quarantasei, e le ultime foto che mi ha mandato l’estate scorsa lo ritraggono mentre gioca con il bambino. Con queste persone non si è mai parlato di quando sarebbe finita la propria attività o di quel che avrebbero fatto quando sarebbero andati in pensione, perché l’idea della pensione non è nel loro DNA. Non tutti sono come Ecclestone o Ferrari, però, ciascuno nel proprio ambito e nella propria dimensione ha delle chance. Bisogna continuare la propria attività senza buttare via la vita, pensando a quando potremo andare ai giardinetti, ma invece cercando di guardare avanti finché le condizioni di salute lo consentiranno.