IL MODO DELLA CURA PER IL PAZIENTE ANZIANO

Qualifiche dell'autore: 
già dirigente di primo livello all’Ospedale Maggiore di Bologna, specialista in geriatria e gerontologia e in scienze dell’alimentazione

Durante gli studi universitari di medicina avrei voluto specializzarmi in chirurgia. Erano gli anni in cui a Bologna si stagliava la figura del grande maestro Leonardo Possati. Però, un amico geriatra ha incominciato a dirmi: “Ma quale chirurgia! Iscriviti a geriatria”. Eravamo nel 1974, quando a Bologna c’erano geriatri noti come Francesco Cavazzuti e Federico Tabarroni. Pensate che l’ospedale Malpighi aveva sei reparti di geriatria.

La vita si esplica attraverso varie fasi. Una volta si diceva che non si deve dire “vecchio”, perché vecchia è una ciabatta. È giusto. La nostra mente può invecchiare, ma anche la mente è come un muscolo: se non si esercita, incontra difficoltà. La parola “de-mente” vuol dire “togliere la mente”. Il demente capisce, intuisce, ma non ricorda, soprattutto riguardo alla cosiddetta “memoria recente”, e in questo caso si parla di “deterioramento cognitivo di grado severo”. Infatti, chi si trova in questa condizione è in grado di capire sia le proprie attività sia le proprie emozioni.

Attualmente, sono intervenuto come geriatra in Villa Giulia, lavorando fianco a fianco con i fratelli Capelli e ho trovato sia solidarietà sia grande collaborazione. Pur essendo favorevole alla terapia farmacologica, sono stato un propulsore anche della terapia non farmacologica, poiché la sola somministrazione del farmaco non risolve di per sé le condizioni di salute in cui spesso si trovano gli anziani. Dopo la prescrizione di cinque farmaci si dice che siamo già nel grado patologico. Non si parla mai dell’interazione tra farmaci, che può comportare il potenziamento o la diminuzione dell’effetto farmacologico, entrambi importantissimi. Quando una persona è in agitazione, somministrarle più farmaci ha come effetto soltanto la sedazione. La persona anziana che viene sedata massicciamente attraversa tre passaggi: viene sedata in modo che non disturbi; viene riposta in un letto e si avvia la sindrome d’allettamento, cui seguono la disidratazione del corpo e le piaghe da decubito. Questa disidratazione è percepita, oltre che dalla cute, anche dal cervello: il nostro organo più intelligente si disidrata e s’instaura uno stato confusionale le cui cause non sempre vengono diagnosticate nel modo giusto.

Allora, occorre tornare a usare più spesso il fonendoscopio. Ciò vuol dire “sentire” l’anziano, anche se questo dovrebbe essere un metodo valido per auscultare ciascun paziente, indipendentemente dall’età che ha. Poi, occorre fare un esame obiettivo, un’anamnesi. La prima cosa che chiedo ai parenti, appena ho acquisito la documentazione del loro parente anziano, è quale lavoro aveva svolto in passato, perché ho verificato che il modo di porsi nei confronti del personale medico è determinato dalla storia individuale dell’anziano. Avere inteso che il signor X, per esempio, era stato un dirigente prima di andare in pensione, comportava che, quando parlava con me, parlava e intendeva da dirigente. Purtroppo, la mentalità corrente è sintetizzata dalla frase: “Tanto sono vecchi”. La medicina rischia di diventare disumana quando prevale l’indifferenza verso il paziente cosiddetto vecchio.

Oltre ai farmaci, esistono anche altre forme di terapia, fra cui l’idroterapia, di cui Ippocrate diceva: “L’acqua calda distende la pelle che è troppo rigida e rilassa quella che è troppo tesa, allenta i nervi e i muscoli, apre i pori, facilita il corso degli umori, dischiude il passaggio ai sudori, aumenta la carne e la diluisce, fonde, attenua e richiama il calore e lo disfa, concilia il sonno, solleva e mitiga le convulsioni, allontana il dolore dagli orecchi e dagli occhi, riscalda gli umori freddi”. Per quanto riguarda i farmaci, un medico e psicanalista Michael Balint diceva: “Quando un medico prescrive un farmaco, prescrive se stesso”. Quindi, anche riguardo all’anziano, al di là dell’accanimento terapeutico, occorre sempre ripetere: “Finché c’è vita c’è speranza”.

La consultazione del proprio medico per via telematica, cioè evitando il colloquio fra medico e paziente, di per sé non è sufficiente a ottenere risultati nella cura, soprattutto nel caso del paziente anziano. Oggi, qual è il contatto fisico con il paziente anziano? E nello specifico, quale sarà il contatto con colui che è stato diagnosticato come “demente”? Non si riesce a capire una patologia senza incontrare chi ne sarebbe affetto. Per esempio, la distinzione tra “depressione” e demenza è difficilissima da cogliere, si tratta di uno spartiacque arduo da definire e le terapie sono completamente differenti. La terapia per la demenza è fallita, pur essendo stati investiti miliardi. Continuano a essere somministrati antipsicotici tipici e atipici, intervenendo con la sedazione. Aggiungo, invece, l’importanza dell’art therapy e di una cosa apparentemente banale come le parole crociate. Io stesso ho incominciato a farle e ho riscontrato che stimolano il ricordo di cose che avevamo dimenticato. Al di là della mail, è bello incontrare il medico, soprattutto per un anziano, e questo è ciò che la medicina rischia di dimenticare e che tutti potremmo pagare duramente.