GIOVANNI MONDINI: CINQUANT’ANNI D’INGEGNO, DI HUMANITAS, D’INDUSTRIA ITALIANA
Dalla rivoluzione digitale alle strategie di servitizzazione, la storica G. Mondini Spa sta compiendo un passo importante nel suo cinquantesimo anno di leader mondiale nella produzione di macchine per l’industria del packaging alimentare. Un’innovazione che procede nel solco della tradizione inaugurata dal fondatore, suo nonno, Giovanni Mondini. Com’è giunto ad avviare questa attività nel 1972?
Dopo il corso di avviamento professionale, dove ha imparato a disegnare, a progettare e a trattare i metalli nelle lavorazioni meccaniche, a diciotto anni, mio nonno aveva incominciato a lavorare come operaio in un’azienda di Palazzolo che costruiva macchine. Presto, però, ne è diventato responsabile di produzione, anche perché, grazie alla sua passione per la meccanica, riusciva a progettare linee di produzione innovative. A venticinque anni, insieme a due soci, ha avviato un’azienda che fabbricava macchine per vari settori: mi raccontava che aveva costruito macchine per il settore tessile con una meccanica molto spinta, perché lui era molto abile nel creare cinematismi e soluzioni automatiche per eseguire lavorazioni complesse. In questa esperienza ha acquisito i primi elementi di gestione aziendale ma, dopo poco tempo, considerando che era lui ad avere le idee e a progettare le macchine, ha affittato un capannone qui a Cologne e si è messo in proprio.
L’idea da cui è partito, tuttora alla base del nostro core business, gli è venuta quando ha visto al supermercato le buste di zuppa destinate alle mense e ha pensato di usare, al posto delle buste, vassoi di alluminio. Le macchine per dosare le zuppe all’interno dei vassoi e saldarle con uno stampo sono nate da qui. Poi, come diceva Niccolò Machiavelli, “Di cosa nasce cosa, e il tempo la governa”, per cui ha incominciato a proporre la sua idea a varie industrie, fra cui la Findus, che è stata il suo primo cliente. E, nel frattempo, ha costruito diversi impianti per linee di produzione enormi, come quella che serviva per confezionare le figurine dei calciatori con una velocità incredibile, che ha venduto in Brasile e in Italia, alla Panini. È una tecnologia che si utilizza tuttora, dopo cinquant’anni, e questo indica non solo il suo talento per l’innovazione, ma anche la sua vocazione per la meccanica.
Per lo sviluppo dell’azienda però si è focalizzato sul business delle linee automatiche per il riempimento e il confezionamento di zuppe, piatti pronti, macedonie, verdura e prodotti freschi presenti principalmente nella grande distribuzione. Infatti, le nostre bacheche sono piene di storie di successo e credo che la maggior parte dei prodotti posizionati in vaschette rigide con film e vaschette preformate e non termoformate, che troviamo al supermercato, provengano dalle nostre macchine di packaging primario.
Negli ultimi vent’anni il focus del nostro sviluppo è diventato la Trave, una
macchina confezionatrice che va ad applicare e saldare il film alla vaschetta
in modo rivoluzionario: è uno dei punti di forza su cui facciamo leva per acquisire nuovi clienti, perché è molto
robusta ed è formata da quattro colonne esterne e una trave che sostiene la
forza necessaria a dare pressione allo stampo. Rispetto alle macchine precedenti, la Trave ha soprattutto il
vantaggio di evitare lo sporco: fino a vent’anni fa, le macchine per saldare
avevano tanti componenti ed erano molto chiuse, per cui era difficile accedere
all’interno dello stampo, mentre l’idea di portare le colonne all’esterno dello stampo e sostenere tutto il peso di saldatura con questa
trave, ha permesso un’accessibilità e una pulizia della macchina tali che è
stata subito apprezzata dai nostri clienti. G. Mondini è considerata
pionieristica e tutti cercano di “spiarla”, soprattutto durante le fiere, per
capire dove sta andando il mercato. Oltre all’elemento trave, che è diventato
lo standard su tutte le macchine, abbiamo aggiunto un ulteriore vantaggio:
quello di poter cambiare formato con estrema flessibilità. A differenza delle
macchine precedenti, gli stampi non sono più fissi sulla macchina, ma ciascuno
di essi si può estrarre e inserire tramite un carrellino, in maniera molto
semplice. Pertanto, in venti minuti, si può passare, per esempio, dal
confezionamento di una zuppa, che ha un contenitore rotondo, a quello di una
bistecca, che ha un contenitore rettangolare basso. Con la Trave, il marchio G.
Mondini è diventato emblema di robustezza e flessibilità. Quando vado a
visitare qualche stabilimento di nostri clienti in Inghilterra o in altri paesi
del mondo trovo
macchine che hanno trent’anni e che i clienti non hanno intenzione di
sostituire, perché funzionano perfettamente. Questo grazie alla capacità del
nonno di progettare componenti in maniera precisa e di assicurare sempre la qualità
del prodotto nel minimo dettaglio. Non a caso, G. Mondini è definita la Ferrari
delle macchine per il packaging.
Suo nonno è scomparso in giugno di
quest’anno, ma fino agli ultimi giorni veniva in azienda. Che cosa faceva?
Le stesse cose che faceva quando io ero al liceo e venivo a stare con lui in
ufficio: seguiva le commesse una per una, voleva sapere cosa c’era da fare,
cosa mancava, monitorava l’andamento sia della progettazione sia della
produzione fino alla consegna, ma anche dopo, perché voleva essere
sempre aggiornato sul funzionamento delle macchine una volta installate dal
cliente. Avendo sempre lavorato principalmente nella progettazione, parlava
molto con i tecnici e con i progettisti, cercava di capire come migliorare le
macchine, verificava i dettagli dei disegni e di ciascun singolo componente per
esprimere la sua opinione; oppure egli stesso si metteva a mano libera a fare
schizzi e disegni che poi effettivamente andavano a migliorare o singoli componenti o
la macchina nel complesso. Aveva idee geniali, ne disegnava lo schizzo a matita
su un foglio e poi dava le istruzioni al progettista per realizzarle.
Leonardo Da Vinci ha lasciato una traccia
qui in Franciacorta. E chissà quanti modelli ha progettato suo nonno...
Infatti, era davvero un genio, ci ha lasciato tantissimi modelli. E noi proseguiamo sulla sua scia, perché quest’anno abbiamo lanciato due nuovi modelli e abbiamo in programma di lanciarne altri entro l’anno prossimo, uno dei quali sarà presentato alla fiera Interpack a Düsseldorf, in maggio 2023, e sarà un modello rivoluzionario che susciterà molto interesse nel settore.
Affiancando suo nonno, è cresciuta la sua
vocazione per l’ingegneria e per le macchine. Ma poi come mai ha scelto ingegneria
aerospaziale, anziché meccanica?
In realtà ero indeciso fra ingegneria, filosofia o fisica. Ho scartato filosofia perché posso approfondirla da solo, attraverso la lettura dei classici: ho letto Schopenauer e Kant e presto leggerò anche Hegel e Nietzsche, dopo avere terminato Il tramonto dell’occidente di Spengler, che ho trovato di grande interesse. Poi ho scartato anche fisica perché probabilmente avrei avuto come unico sbocco l’insegnamento. Quindi ho scelto ingegneria spaziale perché, siccome ero molto appassionato di astrofisica, pensavo fosse una via di mezzo tra una materia più pratica, come ingegneria, e una più teorica, come l’astrofisica. E in effetti ho avuto questo riscontro. Così ho potuto dedicarmi alla progettazione ingegneristica dei sistemi e dei sottosistemi, anche se una delle cose che ho apprezzato di ingegneria spaziale è il suo approccio ampio, che offre gli strumenti per adottare le scelte giuste sui dimensionamenti, sulle strategie e sulle tecniche, mentre nel corso di ingegneria meccanica si studia nello specifico il componente, il dettaglio, la vite. Ovviamente, ho fatto poca progettazione meccanica, ma nella progettazione di sistemi spaziali, che possono essere satelliti o lanciatori, si vanno a toccare tutti i temi dell’ingegneria. Mi è piaciuto in modo particolare questo “spaziare” in tanti ambiti, perché amo esplorare sempre cose nuove, passare dal dimensionamento di una struttura, attraverso le simulazioni meccaniche, al calcolo e all’ottimizzazione di un’orbita.
Questa è anche la traccia della famiglia:
suo nonno non si è mai fermato, è andato avanti inventando sempre nuove macchine...
E non si è mai fermato neanche quando qualcuno gli diceva che qualcosa
sarebbe stato impossibile.
Lui s’ingegnava finché non trovava la soluzione, sia con i tecnici e gli
ingegneri sia con i fornitori. Per esempio, un giorno aveva chiesto a un
fornitore un pistone che facesse una corsa più lunga dello spazio che
occupava...
Il passo più lungo della gamba...
Esatto. Quando il fornitore gli aveva risposto che sarebbe stato impossibile, mio nonno lo aveva invitato a riflettere: “Non mi dica così adesso, vada a casa, cerchi una soluzione e vedrà che la troverà”. È accaduto proprio così. Mio nonno andava sempre alla ricerca di una soluzione, e questo è ciò che ha fatto grande la G. Mondini, le soluzioni innovative che ha sempre trovato.
Per giungere alla riuscita occorre non fermarsi,
non accettare il limite. E lei ha incominciato bene, fin dall’università...
Sono sempre stato vicino al nonno per imparare da lui. Tra l’altro, oltre alle sue doti tecniche, m’interessavano quelle umane: faceva tanto per aiutare gli altri, aveva un approccio orientato al sostegno e alla valorizzazione delle persone.
Si muoveva sul terreno dell’humanitas, non solo perché dava lavoro a oltre duecento collaboratori...
Era anche attivo in politica, per circa dieci anni ha fatto il sindaco qui a Cologne. Tra un impegno e l’altro, ha fatto ristrutturare una casa di riposo, di cui è stato anche presidente, e ha comprato il terreno su cui sono state costruite alcune villette a schiera allo scopo di venderle a basso prezzo agli operai e alla gente del paese. È sempre stato attento a tutti i cittadini e alla loro vita sociale. Ha usato le sue doti imprenditoriali per metterle al servizio della comunità.