COME FORMARE L’EQUIPAGGIO PER LA “TEMPESTA PERFETTA”
“Non sempre ci è dato navigare e pescare in acque tranquille e, inevitabilmente, ogni tanto il mare si agita e possiamo davvero trovarci nei guai.
Prevedere le crisi non è semplice, anzi, se potessero essere previste,
non ci sarebbero crisi. Invece, improvvisamente, dobbiamo fare i conti con
questo fenomeno che rimette in discussione certezze, procedure, organizzazione
e finisce per affliggere anche il conto economico delle aziende, a volte con
risultati letali. Volendo vederla in modo positivo, e d’altra parte non c’è
alternativa, la crisi per l’azienda è l’occasione, forzata, per analizzare i
propri processi, renderli più efficienti, più efficaci, riallineare le
competenze delle persone con i loro obiettivi e l’impresa con il mercato. Se,
per qualche ragione, non si riesce a fare questo, se prevale un atteggiamento
passivo, c’è il rischio di non riuscire a superare la crisi e quindi di perdere
l’impresa o, ben che vada, di uscirne con un’azienda molto indebolita,
squilibrata, che faticherà a ritrovare un suo spazio in un mercato modificato
dagli eventi. Se, invece, riusciamo a non farci travolgere e a governare gli
eventi, a modificare l’assetto, rinunciando a tutto ciò che non è strettamente
necessario, allora, potremouscirne anche più forti di prima, magari ridimensionati, ma più solidi. La risposta alla crisi si potrebbe immaginarla come una sana potatura. Prima
l’albero era ricco di rami e maestoso nella sua apparenza. Magari qualche ramo
era pure ammalato, attaccato da parassiti o da muffe, ma nello splendore della
chioma nemmeno si notava. Poi interviene il giardiniere e, dopo la potatura,
l’albero
appare spoglio, un tronco con qualche grossa branca che si staglia sul grigio cielo
d’inverno; fa quasi pena, pensando alla persa maestosità. Ma la primavera non
tarderà ad arrivare e, se il giardiniere ha fatto un buon lavoro, l’albero svilupperà
nuovi rami, nuove fronde, fiori, foglie e frutti. Allo stesso modo, da una
crisi possiamo uscire con il fatturato ridotto, ma con un’azienda più forte,
più strutturata, con maggiori competenze e, cosa non secondaria, con
l’esperienza di avere superato brutti momenti”.
Questo brano è tratto dall’ultimo capitolo del suo libro La mia bussola.
L’amicizia, la famiglia, l’impresa (Spirali), s’intitola “L’equipaggio nella tempesta
perfetta” e narra le vicende intervenute in seguito a una crisi molto forte,
dovuta alla concomitanza di due eventi indipendenti fra loro, che TEC Eurolab
ha dovuto affrontare all’inizio del 2020. Per fortuna, l’equipaggio era preparato
ed è riuscito a mantenere la rotta...
Ormai, da qualche anno a questa parte, sembra che le tempeste perfette siano all’ordine del giorno: pensiamo a un’azienda che deve affrontare l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, insieme alla carenza di componenti che allunga in modo spropositato i tempi di consegna, rendendo i clienti scontenti e influenzando fortemente il flusso finanziario dell’azienda. Se non abbiamo un equipaggio in grado di contrastare queste criticità, rischiamo che vada tutto a catafascio.
Quando siamo sulla nave nel mare in tempesta, non vorremmo essere circondati da marinai di primo imbarco. Ma, allora, come formare un equipaggio in grado di combattere e di vincere al nostro fianco? L’equipaggio non si forma per la tempesta perfetta, ma per il viaggio, perché prima o poi una tempesta perfetta o imperfetta capita. Però, nel momento in cui capita, è tardi per formare l’equipaggio, per istruirlo su ciò che occorre fare. Ecco perché i dispositivi di comunicazione e di formazione del capitale intellettuale devono essere costanti nell’azienda. Fino a quel momento, occorre avere condiviso valori, non imposto regole astratte, perché, nell’emergenza, ciascuno cerca una risposta immediata, interviene e si adopera in base ai valori e alle qualità che ha acquisito lungo il viaggio, non certo in base a regole rigide che, in un contesto mutato dalle circostanze, hanno già perso il loro senso e la loro efficacia.
Ma quali sono le qualità che i collaboratori devono acquisire per essere in grado di mantenere la rotta?
Dopo avere raccontato come siamo riusciti ad affrontare la crisi in TEC Eurolab, nel libro parlo di quattro caratteristiche che i membri dell’equipaggio dovrebbero coltivare: essere consapevoli, equilibrati, determinati e vincenti. “Essere consapevoli” significa analizzare ciò che sta accadendo: quali sono i fattori che non possiamo controllare e quali dipendono da nostre scelte, quali ipotesi di intervento possiamo mettere sul tavolo e quali possono essere gli esiti di tali decisioni.
Nelle decisioni è necessario essere equilibrati e dobbiamo distinguere le nostre scelte fra quelle da attuare immediatamente e quelle più strategiche, da intraprendere guardando al futuro. L’equilibrio è da intendere come ponderatezza, non come lentezza, un equilibrio dinamico, come quello del corridore. Certo, lo stato di maggior equilibrio è quello di chi sta fermo su due piedi o sdraiato sul divano, ma così non si va da nessuna parte.
Una volta assunte le decisioni, occorre essere estremamente determinati nella loro attuazione. Potrebbe essere necessario modificare obiettivi, processi, organizzazione. Ma non c’è alternativa, non possiamo restare passivi e soccombere, dobbiamo prendere decisioni e attuarle con grande determinazione, programmando tempi e risorse da dedicare all’obiettivo.
Per raggiungere gli obiettivi è inoltre necessaria una mentalità vincente. Come si consegue la mentalità vincente? Vincendo. Certo, occorre focalizzarsi sull’obiettivo da perseguire, ma occorre vincere le piccole battaglie del minuto, dell’ora, della giornata. Come nello sport, mi alleno per vincere una partita, un campionato, ma intanto, adesso, qui, devo raggiungere quella palla, fare quel salto, eseguire quell’esercizio, adesso, qui, al meglio.
Per acquisire le quattro caratteristiche cui ho accennato, è necessario sviluppare alcune soft skills, una delle quali è la followership. In un mondo in cui si parla sempre di leadership, bisogna imparare a essere anche follower, riuscire ad aiutare il proprio responsabile e anche l’imprenditore a raggiungere gli obiettivi. E, magari, a furia di essere bravi follower, si finisce anche per diventare bravi leader.
Dopo questi suggerimenti – che non vogliono essere affatto una ricetta, ma una testimonianza della mia esperienza –, vorrei sottolineare il fatto che il risultato è affetto (anche) da variabili indipendenti. Facendo le cose con spirito costruttivo, prendendo sempre le decisioni corrette, non è detto che il risultato finale sia un risultato buono. Sono troppe le variabili indipendenti che possono influenzarlo. Ma è vero anche il contrario: quando vinciamo sarebbe sano chiedersi se abbiamo comunque sbagliato qualcosa. A volte otteniamo buoni risultati senza averne un merito particolare, anzi, magari vinciamo nonostante qualche errore. E quando perdiamo, cerchiamo di capire dove potremmo migliorare, ma non flagelliamoci se un risultato non arriva, nonostante siano state prese le migliori decisioni. C’è una grande differenza tra fallire ed essere un fallito.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare è che la squadra subisce l’usura. Soprattutto dopo avere affrontato momenti di crisi, può intervenire un po’ di stanchezza. Quando la squadra subisce l’usura, qualcuno cambia azienda e oggi chiamano il fenomeno Great Resignation o Big Quit, per designare l’atteggiamento di persone che cambiano azienda in modo, a volte, del tutto immotivato. Ma dovremmo cercarle quelle motivazioni, dovremmo avviare un dibattito su cosa è, e soprattutto cosa dovrebbe essere, il lavoro nella vita dell’uomo: la risposta a questo interrogativo aprirebbe a una visione diversa del nostro impegno quotidiano.
Tuttavia, tornando al fenomeno delle grandi dimissioni, occorre dare loro, almeno da un punto di vista squisitamente statistico, una giusta dimensione. Per esempio, si afferma che nel 2021 ci sono state in Italia 740 mila dimissioni volontarie: un disastro! Ma nel 2020 erano state 700 mila, per cui si tratta soltanto di 40 mila in più. Inoltre, se osserviamo le curve tendenziali, ci accorgiamo che il fenomeno assume maggiore rilevanza nei momenti di crescita economica, mentre si riduce significativamente nei periodi di crisi. Quindi, come sempre, i numeri vanno interpretati, ma i numeri non risolvono la domanda fondamentale: cos’è il lavoro per l’uomo? Nella risposta a questa domanda può esserci anche la risposta alle grandi dimissioni o presunte tali.