TRANSIZIONE AMBIENTALE, MA CON I GIUSTI TEMPI E MODI
A proposito del titolo di questo convegno, Industrial Brain. L’apporto del manifatturiero fra crisi energetica e transizione ecologica, io ho una mia idea su quale sia il contributo della manifattura alla società. Quindi, vorrei prima illustrare le attività del Gruppo Curti. Noi abbiamo diversificato le nostre produzioni e abbiamo investito per offrire un’ampia varietà di prodotti e per garantire ai nostri collaboratori e all’indotto di lavorare con tranquillità. Riteniamo infatti che il lavoro, se fatto bene, risolva tanti problemi, tra cui quello della salute, perché a volte ci si ammala proprio per la mancanza di lavoro. A chi si lamenta di lavorare troppo, quindi, dico che è meglio lavorare piuttosto che non avere nulla da fare.
La nostra società è nata nel 1955, è stata fondata da mio padre, che era un dipendente e poi si è messo in proprio. Purtroppo, è morto in età molto giovane, quando aveva cinquantasei anni, mentre io ne avevo diciotto e mia sorella quattordici. Mia madre era caposala all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, quindi non aveva alcuna esperienza di meccanica. In quel momento difficile ci siamo stretti fra noi e con un buon gruppo di dipendenti e di dirigenti, che erano già stati individuati da mio padre, abbiamo rilanciato l’attività. Oggi il nostro Gruppo ha un fatturato di oltre 130-135 milioni con 615 dipendenti. Abbiamo tre società all’estero, una in Svezia, una in Polonia e una negli Stati Uniti. Quella della Polonia è un’azienda manifatturiera, le altre due sono commerciali. La galassia del Gruppo Curti è questa. Alcune società sono di grandi dimensioni, altre invece sono più piccole. FamarTec produce a Bologna macchine per il packaging farmaceutico, CMA Tec costruisce macchine utensili speciali per diversi settori, in quello Oil & Gas fabbrica le macchine che producono le sfere collocate all’interno delle valvole, quindi opera in un mercato di nicchia. Noi cerchiamo di fare prodotti particolari, in settori in cui la concorrenza è minore e non c’è una competizione feroce sui costi. Bisogna essere molto bravi a fare prodotti di serie comunque a costi molto bassi. CURTIMET è un’azienda polacca che è cresciuta negli ultimi anni producendo componentistica e serve a mediare i costi italiani con quelli polacchi, lievitati anch’essi sulla spinta del mercato tedesco della sub-fornitura. L’azienda svedese FreeFormPack vende sistemi che producono contenitori in materiale flessibile poliaccoppiato. In Europa, chi produce le bioplastiche di cui possono essere costituiti questi contenitori, come per esempio piatti, bicchieri e posate usa e getta, è soggetto al pagamento di quote per l’emissione di CO2, ETS (Emission Trading System), dimenticando che la CO 2 prodotta è inferiore di diversi ordini di grandezza a ciò che si ottiene smaltendo gli stessi biopolimeri con il biocompostaggio. Questi produttori sono quindi penalizzati nel momento in cui hanno come competitors aziende cinesi che non pagano ETS.
Inoltre, abbiamo una partecipazione in una società di ingegneria, Hypertec. In una società partecipata nel settore dei nanosatelliti con payload fino a 25 chili, la Curti produce macchine per il confezionamento di liquidi alimentari. Curti Wire Processing produce invece linee automatiche per lavorare i cavi elettrici e oggi siamo diventati tra i primi due produttori nel mondo. Queste macchine, partendo dalla bobina del cavo, producono i cordoni di alimentazione per elettrodomestici. Noi abbiamo un brevetto mondiale che ci consente di fare, oltre alla lavorazione, anche il 100% di collaudi di questi cavi per essere sicuri che non si verifichino contatti elettrici che possono provocare incendi, com’è accaduto recentemente a un grattacielo di Milano. Produciamo anche altri tipi di macchine più sofisticate, tali da garantire che il prodotto finale sia collaudato al 100%, come il connettore per l’ABS e per gli airbag delle vetture. Poi, produciamo i cavi antenna per i cablaggi necessari alla guida semplificata e/o autonoma, quindi cavi che devono trasmettere grandi quantità di segnali e che devono essere però anche isolati da eventuali onde elettromagnetiche che possono influenzare il segnale stesso. Sono cavi antenna simili a quelli che abbiamo in casa per collegare la televisione, ma con dimensioni molto più ridotte. Anche queste sono macchine prodotte nella Packaging Valley. Ma noi siamo attivi anche in altre divisioni, come quella aeronautica. Curti Aerospace produce, infatti, componenti per l’industria aeronautica. Costruiamo anche un elicottero che è unico al mondo, perché dotato di paracadute balistico, che, in caso di guasto, può salvare la vita all’equipaggio.
Abbiamo anche una business unity assolutamente nuova, su cui abbiamo investito molto e che produce impianti per recuperare e trasformare materiali di scarto in energia e materie prime secondarie. In Spagna stiamo per avviare un impianto per il recupero degli pneumatici usati. Se funzionerà secondo le aspettative, riuscirà a trasformare l’8% degli pneumatici usati che si generano ogni anno in Spagna. È un impianto che avevamo proposto anche in Italia, ma era impossibile ottenere i permessi. Oggi, stiamo trattando per ottenerli in Germania, in Giappone, in Spagna, in Perù e in Cile, in modo da poter costruire altri impianti. Stiamo facendo la stessa cosa in Emilia-Romagna, con un impianto dedicato al recupero degli scarti della lavorazione della fibra di carbonio. A livello locale è già stato autorizzato da HERA Ambiente, che lo sta acquistando per darlo in gestione ad Aliplast. Abbiamo effettuato ingenti investimenti nel settore, con le seguenti difficoltà. Intanto, c’è una burocrazia che ammazza le imprese perché sai quando avvii un progetto industriale ma non sai quando e dove arrivi. Inoltre, le banche non fanno più il loro mestiere e bisogna attrezzarsi: noi stiamo proseguendo il nostro progetto con altre forme di finanziamento. Poi ci sono i costi. Noi viviamo in un paese dove tutti i costi sono elevati: dalle imposte al lavoro, alle tasse, ai trasporti. Non entro nel merito dei costi attuali dell’energia, perché sappiamo che sono quadruplicati. Le bollette si pagano subito, mentre i crediti d’imposta arrivano dopo e sono comunque inferiori all’incremento dei costi dell’energia. In breve, bisognerebbe essere un po’ più vicini alle esigenze delle imprese.
Io sono laureato in ingegneria meccanica, però ho avuto come professore di fisica Antonio Vitale, che era collaboratore di Carlo Rubbia, al CERN di Ginevra. Il professor Vitale, nel 1976, diceva che la soluzione al problema dell’energia è il nucleare, ma questo non si può dire. Invece noi oggi continuiamo a dire quello che qualcuno diceva vent’anni fa, ossia che “Il metano ci dà una mano”. Noi autoproduciamo abbastanza energia in azienda, poiché non mi sono mai fidato di chi mi diceva che il metano ci avrebbe dato una mano. Pertanto ci avvaliamo di diverse fonti di approvvigionamento energetico: abbiamo un generatore di calore che funziona ancora a olio combustibile e contribuisce in quota parte a riscaldare comunque 32000 metri quadrati di capannone a Castel Bolognese. Poi, ci avvaliamo anche del fotovoltaico e abbiamo un gruppo di cogenerazione funzionante a gas metano e un gruppo elettrogeno funzionante a gasolio, però le bollette hanno costi esosi comunque. Va bene il metano, l’eolico, il fotovoltaico, però sappiamo che l’energia prodotta con un impianto backup ha costi ben superiori rispetto a quelli dell’eolico e del fotovoltaico, perché, quando arriva la sera o quando non c’è più il vento, cosa diciamo a 60 milioni di italiani abituati al riscaldamento, a usare l’energia per il frigorifero o la lavastoviglie? Dal punto di vista del climate change io non mi pronuncio sul risultato dell’incremento di emissioni di CO 2 , però sappiamo cosa vuol dire utilizzare l’energia. Qual è la percentuale di CO 2 prodotta in Europa dalle auto? È l’1% (“Il Sole 24 Ore”, 4 agosto 2022). Facciamo tutta questa rivoluzione verde per l’1%? Anche perché gli altri paesi continuano a inquinare e possono dire: “Voi avete inquinato fino a oggi e ora possiamo incominciare a farlo anche noi”. Io non ho certezze, ma vorrei che si parlasse a partire dai numeri, che questi siano condivisi, che si sappia ciò che si sta facendo e dove si vuole arrivare. In maniera chiara, in maniera decente. Fra il 1500 e il 1600 in Gran Bretagna, per esempio, si coltivava l’uva per fare il vino. Non c’erano le emissioni di CO2. Il clima è diventato freddo dopo. Evidentemente, le variazioni climatiche ci sono da sempre, indipendentemente dalle emissioni di CO 2. Io non dico che bisogna inquinare, però la transizione facciamola con i giusti tempi e modi, perché per esempio, in un piccolo paese della Romagna di 1200 abitanti, il Comune ha chiesto d’installare sei colonnine di ricarica da 50 kilowatt, così facendo però, mentre le colonnine saranno utilizzate, il 25% della popolazione rimarrà senza corrente.