L’ATTO ARBITRARIO NON È IL LIBERO ARBITRIO
Nel suo libro La mia bussola. L’amicizia, la famiglia, l’impresa (Spirali), possiamo cogliere la testimonianza di un imprenditore che non ha mai aderito ai canoni della realtà convenzionale. Anzi, l’esperienza di TEC Eurolab, l’azienda che ha fondato insieme al suo socio, Alberto Montagnani, nel 1990, è costellata di atti arbitrari, non giustificati secondo il criterio della convenienza e della fattibilità o prescritti dalle previsioni statistiche. Cosa può dirci a questo proposito?
Costituire un’impresa nuova è di per sé un atto arbitrario: soprattutto oggi, in Italia, chi si lancia in un’avventura imprenditoriale, proponendo una novità assoluta sul mercato, compie un atto arbitrario, perché, nonostante possa trovare qualche sostegno iniziale come start-up e nonostante possa giungere a strutturare l’azienda in modo da instaurare dispositivi efficaci con i collaboratori – per cui il cervello non è una sua prerogativa esclusiva –, le decisioni con cui segue le vicende dell’impresa avverranno sempre in solitudine. E questo è ciò che qualifica ciascun atto come arbitrario.
Quando abbiamo aperto il nostro laboratorio, come racconto nel libro, non abbiamo trovato sostegni, anzi, per ottenere un po’ di credito bancario, in modo da acquistare le prime attrezzature, abbiamo dovuto coinvolgere i nostri familiari. Oggi le istituzioni riconoscono il valore di un’azienda come la nostra per il territorio, non soltanto perché dà lavoro a novanta famiglie, ma anche per le innovazioni che ha sempre introdotto, le quali hanno contribuito a portare in visita a Campogalliano, e a Modena, migliaia di persone provenienti da varie città d’Italia e di altri paesi. Eppure, il nostro progetto, anche se non lo enunciavamo in questi termini, c’era anche nel 1990, quando ci siamo licenziati dal laboratorio in cui lavoravamo perché non trovavamo una grande attenzione alle nuove tecnologie da noi proposte per offrire servizi di eccellenza.
Dotarsi delle tecnologie più avanzate è sempre stato parte integrante della scommessa imprenditoriale di TEC Eurolab. E questo è stato premiante: essere i primi in Italia e tra i pochi in Europa a dotarvi di attrezzature come, per esempio, la tomografia industriale e l’acceleratore lineare, vi ha consentito di accreditarvi come fornitori dei principali gruppi dell’aerospaziale, dell’aeronautica, dell’automotive, della meccanica e del biomedicale…
A proposito di tomografia industriale, devo precisare però che non è stato facile portarla in TEC Eurolab, perché avevo tutti contro: “Ah, se nessun laboratorio l’ha ancora acquistata, vuol dire che il mercato non è ancora maturo”; “È un investimento troppo elevato”; “Non ci sono le competenze tecniche per utilizzarla”; “Abbiamo già sbagliato un investimento, vogliamo sbagliarne un altro?”. A distanza di sette anni non esiste laboratorio in Italia del nostro settore che non si sia dotato di una macchina per la tomografia; sono diventati tutti mega esperti e, addirittura, tengono corsi in materia di tomografia industriale. Quindi, possiamo dire che il mio è stato un atto arbitrario, frutto di una decisione con cui ho assecondato il nostro progetto imprenditoriale, anziché fermarmi dinanzi alle remore e alle riserve che mi venivano gettate addosso. Certo, a volte l’imprenditore si trova a confrontarsi con fattori esterni che nessuno potrebbe nemmeno immaginare. Pensiamo a chi ha aperto un ristorante in gennaio 2020, un mese prima che scoppiasse la pandemia. Oppure, al contrario, a chi ha aperto un laboratorio per eseguire prove sui materiali edili nel 2019, in piena crisi del mercato immobiliare: più che un atto arbitrario, poteva sembrare una follia. Invece, grazie al bonus 110%, il suo fatturato è andato alle stelle. Cosa possiamo dire dell’imprenditore in casi come questi? Che è stato bravo o imprudente? Che ha avuto fortuna o sfortuna?
Le decisioni dell’imprenditore procedono da un approccio differente rispetto a quelle del manager: l’imprenditore decide in base a una scommessa che non si esaurisce nel breve termine, anzi, ragiona tenendo conto dell’infinito, mentre il manager punta ai risultati a breve termine e, soprattutto se lavora in una grande azienda, bada principalmente al risultato trimestrale, quindi le sue decisioni sono più ponderate rispetto a quelle dell’imprenditore, il quale può sembrare che segua il proprio arbitrio. Ma le sue decisioni sono arbitrarie, non sprovvedute.
Può accadere, tuttavia, anche all’imprenditore, in quanto essere umano, di compiere qualche gesto avventato, ma difficilmente riguarda le decisioni strategiche per il destino dell’azienda.
Può fare un esempio?
Una ventina d’anni fa, per la prima e unica volta, licenziai in tronco due persone, senza interpellare nessun consulente. C’erano tutte le ragioni per farlo, ma il modo fu completamente sbagliato. Erano due collaboratrici che godevano di particolare attenzione da parte mia e di mia moglie. Lavoravamo negli stessi uffici, dove si era creato un clima molto familiare. Un giorno, disgraziatamente, fui messo in copia in una e-mail tra le due collaboratrici, mail che, come a volte accade, conservava al suo interno tutti gli scambi precedenti; ebbi così modo di leggere offese personali molto pesanti che mi lasciarono sbalordito e furente. Chiamai una per volta le collaboratrici in sala riunioni, mostrai loro la mail che involontariamente mi avevano inoltrato e invitai ciascuna a raccogliere i propri effetti personali e ad andarsene. Non si fa così, in nessun caso, non in questo modo, fu un errore, un atto compiuto sulla scia dell’irritazione. Subito dopo mi ricordai che è bene non prendere decisioni impulsive quando si è troppo arrabbiati o troppo felici.
È un bell’esempio di come l’arbitrarietà sia dell’atto, non di chi presume di esserne l’autore. L’atto è libero, arbitrario, ovvero nessuno può essere padrone dell’atto: nell’aneddoto che lei ha raccontato, possiamo dire che l’imprenditore non è padrone di licenziare nessuno, nemmeno per giusta causa, in quanto l’atto di licenziamento esige un dispositivo civile, in cui intervengono vari attori…
Potremmo concludere che l’atto arbitrario non è il libero arbitrio. E aggiungo che non soltanto l’imprenditore, ma ciascuno, e non soltanto nelle aziende, ma anche nella pubblica amministrazione, dovrebbe mettere in questione i propri pregiudizi da cui scaturiscono tanti gesti di libero arbitrio come le discriminazioni sulla base del genere, degli interessi sessuali o dell’aspetto fisico. Nel terzo millennio non si possono prendere decisioni che penalizzino gli individui in quanto “appartenenti a una categoria”. Ciascuno dà prova dei propri talenti cimentandosi nell’impresa, nessuno può sapere prima quale sia il proprio talento. Il valore sta nei risultati che ciascuno riesce a raggiungere, non nella categoria cui ognuno crede o è creduto appartenere.