LA QUALITÀ NON HA ETÀ
Una delle testimonianze più ricorrenti degli esploratori europei, italiani, portoghesi, spagnoli, britannici, francesi che negli ultimi cinque secoli hanno attraversato il pianeta ridisegnandone la mappa è stata quella intorno all’autorità e alla sacralità che circondava ciascun anziano, anche a livello familiare: in Asia, in Africa, nelle Americhe precolombiane. Nello stesso periodo, con l’avanzare delle cosiddette civiltà industriali, in Occidente la figura dell’anziano, pur in un costante spostamento in avanti dell’ingresso nell’età anziana, ha perso progressivamente l’autorità conferitagli dall’età o, meglio, ha dovuto conquistarla con il raggiungimento di obiettivi di prestigio istituzionali, religiosi, politici, professionali, accademici e sempre più, con l’affermarsi delle società borghesi, economici. Per chi non li raggiungeva, il confinamento sociale e familiare è diventato sempre più rilevante e drammatico, realizzato con la creazione di ospizi, ennesime istituzioni totali concentrazionarie usate essenzialmente per segregare dalla società chi risultava essere dannoso per l’economia della stessa. Istituzioni appena mitigate, a fine Ottocento, dalla nascita delle case di riposo per iniziativa di privati. Se non si tiene conto di questo excursus storico, di questa deroga alla cultura della vita da parte dell’Occidente, non si può approcciare con efficacia la cosiddetta “questione anziano”. Un punto di svolta fondamentale è avvenuto indubbiamente, negli anni sessanta, con la crescita dell’interesse generale, anche di natura culturale, per chi subiva situazioni di esclusione e di reclusione, compresi i cosiddetti psichiatrizzati e gli anziani istituzionalizzati. L’ONU ha dato risposte specifiche, rilanciando i Diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino e le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con la nuova definizione di salute che comprende, oltre a quella fisica, quella psicologica, sessuale, economica, ambientale, da cui nessuno può essere escluso. Le cosiddette teorie dei bisogni di Maslow, Murray, Henderson ne hanno stabilito alcuni parametri essenziali. L’Italia ha dato in quel periodo risposte interessanti con l’introduzione del Terzo settore e la trasformazione delle I.P.A.B. statali in istituzioni regionali e in molti casi in Fondazioni, divenendo labo]ratorio di nuove risposte, di diritto, assistenza, ascolto, attenzione ai bisogni, attraverso l’utilizzo di nuove professionalità e di nuove forme di socialità e di partecipazione culturale e di laboratorio. Tutto questo ha caratterizzato fino a oggi le case di riposo e le successive R.S.A. Nella scala dei bisogni, trattandosi d’individui di età avanzata, hanno assunto sempre più importanza quelli sanitari, per cui hanno acquisito particolare rilievo, anche direzionale, le figure professionali di medici, in particolare geriatri, infermieri, fisioterapisti e i loro interventi. La medicalizzazione della cosiddetta “terza età”, con inizio stabilito oggi dall’O.M.S. per l’Occidente a 68 anni, ha portato indubbi vantaggi in termini di salute. Le aspettative di vita, già in forte rialzo nei decenni precedenti, nelle società occidentali hanno conosciuto una vera impennata a partire dagli anni duemila. Oggi, in Italia, la vita media è di 87 anni per le donne e di 82 per gli uomini, una delle più alte del pianeta, insieme al Giappone e ad alcuni paesi del Nord Europa che la stanno raggiungendo. Con il Giappone, tuttavia, l’Italia sta condividendo il poco rassicurante primato del minor indice di natalità, per cui la società, dal punto di vista economico, lavorativo, politico, culturale subirà un’ulteriore, forte trasformazione. Ma un’altra trasformazione è già in atto, e riguarda specificatamente le persone più anziane, quelle della cosiddetta “quarta età”. Il prolungamento della vita, finora, è stato accompagnato da un miglioramento della sua qualità, grazie ai dispositivi della medicina e a una maggiore consapevolezza degli stili di vita, con un’alimentazione più sana, una limitazione del fumo, una rivalutazione del movimento e dell’aria aperta, soprattutto un incremento delle attività culturali e intellettuali, grazie anche all’aumento della scolarizzazione nell’attuale fascia di anziani. Da alcuni anni, purtroppo, il prolungamento inaspettato della vita media presenta anche un nuovo scenario, con cronicizzazione di malattie quali l’ipertensione, le cardiopatie e le patologie broncopolmonari, gestibili ma finora non ancora risolvibili e altre, come quelle definite degenerative, soprattutto il cosiddetto “decadimento cognitivo”, che vengono gestite con strumenti tuttora discutibili, come l’uso diffusissimo, numeri alla mano, di psicofarmaci.
Questo fa sì che, comunque, per la salute e per l’aspettativa e lo stesso senso della vita di “ciascuno”, per giungere alla qualità non si debba aspettare, non ci si debba fermare e non si debbano attendere provvedimenti solamente dall’”esterno”, dalla medicina, dalla società, dalla politica, pur auspicando interventi sempre più efficaci in questi settori. Occorre che “ciascuno” coltivi la progettualità, il suo perseguimento, la responsabilità, la cosiddetta assunzione dell’esperienza, il fare in direzione di un obiettivo, che devono essere incessanti. Le testimonianze di chi lavora nel campo da anni, compresa quella di chi scrive, indicano che per il perseguimento della qualità della vita non ci si può fermare davanti alle risultanze dell’epidemiologia e della demografia. Occorre proseguire con il progetto e il programma in ciascun momento, compresi, con il favore della salute, gli anni più avanzati, non eludendo le questioni e gli interessi intellettuali e culturali e le occasioni di formazione offerte oggi, a qualsiasi età. Ricordiamo le trasformazioni in ambito lavorativo, con lo spostamento in avanti dell’età pensionabile, e le possibilità di scrittura, consentite da internet e dai nuovi media.