L’OCCASIONE PIÙ BELLA NASCE DALL’INCONTRO
Clevertech Group, con le sue filiali in Nord America, Cina, Francia, Asia e UK, è partner di riferimento nella progettazione di soluzioni integrate di fine linea per grandi industrie che operano nei settori del food&beverage, dell’home care, del pet food e del personal care. Il titolo di questo numero del nostro giornale è L’occasione. Quando lei ha avviato l’attività, nel 1987, non ha aspettato che arrivasse chissà quale “occasione”, ma ha progettato per uno scatolificio la prima automazione integrale di una linea di taglio lamiera e di una linea di alimentazione presse, che alleviava le fatiche fisiche dei dipendenti, e poi ha offerto questa innovazione alla maggior parte degli scatolifici che lavoravano ancora manualmente in Cina, in Australia, negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia. Come definirebbe lei “l’occasione” nel suo lavoro?
L’occasione più bella è quella che nasce nell’incontro con un responsabile di stabilimento, nel momento in cui, parlando, scopro che è assedi]to da un problema e io, nella borsa, ho la soluzione. È questa l’occasione che apre infinite opportunità di collaborazione, perché non c’è nulla di più efficace che avere la soluzione a un problema che assedia un cliente. Dall’incontro nasce l’occasione per fare qualcosa di utile.
Può raccontare qualche aneddoto?
Una volta ho incontrato un responsabile di una ditta della Brianza che aveva il problema di migliorare la qualità della serratura a incastro che viene montata nelle porte. Il mon[aggio avveniva in maniera semiautomatica e alla fine dell’operazione occorreva far provare a un operaio il funzionamento della serratura, che doveva essere simulato un certo numero di volte, per testarne la tenuta nel tempo. Ma nessuno voleva svolgere questo compito abbastanza noioso e ripetitivo, e chi lo faceva lavorava male. Quindi, durante lo stesso incontro, abbiamo inventato e progettato un piccolo tavolino con un dispositivo di movimentazione della serratura che poteva anche restituire tutta una serie di dati. È stata una cosa molto apprezzata.
Un’altra occasione è stata quella che ha rappresentato una svolta importante per la nostra azienda: uno stabilimento di una grande industria a Spilamberto aveva l’assoluta necessità di automatizzare una linea di produzione e stava per ordinare quindici impianti a una ditta molto blasonata del Torinese. Quando, in modo fortuito, ho avuto notizia di questo problema, ho spiegato al cliente che avrebbe fatto un grandissimo errore, perché non aveva tenuto conto di tutta una serie di elementi che erano sconosciuti alla ditta di Torino e, improvvisamente, lui ha capito la problematica e ha virato di 360 gradi: anziché ordinare gli impianti a quella ditta, glieli abbiamo forniti noi, con reciproca soddisfazione.
In che senso questa commessa ha rappresentato una svolta per la vostra azienda?
Perché allora eravamo veramente molto piccoli e quella fu la prima commessa importante e ripetitiva, che ci aprì le porte ad altre aziende simili, che operavano in Europa. Dopo avere inventato quella macchina a uso e consumo di quella ditta, ci siamo resi conto che le stesse problematiche erano presenti in tutto quel settore merceologico, per cui abbiamo potuto ripetere l’operazione N volte.
Lei considera un’occasione essere nati nel cuore della Packaging Valley o è solo un caso?
Ciascuna zona si caratterizza non per caso: le pianticelle nascono perché qualcuno getta un seme in un pezzo di terra. Ciascuna realtà della Packaging Valley è il frutto di un processo storico che, per una serie di ragioni, ha saputo creare un micro universo in cui si è potuta sviluppare la miriade di piccole attività artigianali, che sono l’orgoglio del made in Italy nella nostra area. Poi, sono diverse le tesi sull’origine di questa proliferazione: molti sostengono che sia il frutto del fallimento delle Officine Meccaniche Reggiane, un’industria nata nel 1901 per la produzione di treni, proiettili d’artiglieria e aerei da combattimento, e divenuta famosa, sul finire degli anni trenta, per la famiglia di aerei da caccia serie RE-2xxx. Nelle Officine Reggiane si sono formati e specializzati migliaia di lavoratori che poi hanno fondato decine e decine di aziende artigiane, diventate più o meno grandi, che oggi costituiscono il nostro tessuto industriale.
Le grandi aziende non sono rivali delle piccole, anche se spesso c’è un pregiudizio, soprattutto nei confronti delle multinazionali. Ma la vostra storia prova che si possono instaurare dispositivi importanti con le multinazionali…
Il protezionismo serve soltanto a bloccare e a isolare le aziende dal resto del mondo. È sempre l’apertura, la relazione ciò che importa nello sviluppo dell’economia, mai la chiusura. E le zone che si sviluppano sono quelle in cui esistono condizioni particolarmente favorevoli: disponibilità di forza lavoro più o meno qualificata, infrastrutture fisiche e digitali, credito bancario e tutta una serie di presupposti che favoriscono la nascita di nuove aziende. Se mancano queste condizioni, si va verso la delocalizzazione. Possiamo impedire a un’azienda di delocalizzare? Sì, dal punto di vista legale. Ma poi l’azienda chiude. Per questo il protezionismo a difesa dell’occupazione non ha alcun senso.