LA PITTURA: OCCASIONE DI VALORE
La pittura e la civiltà della vita è il titolo che il Museum of the Second Renaissance ha dato alla mostra delle opere di Alfonso Frasnedi, Alekseij Lazykin, Mary Palchetti, Antonio Vangelli e Grigorij Zejtlin, esposte nella sede della Galleria Oniro, a Modena, dal 30 ottobre 2021 al 27 gennaio 2022. Perché queste opere sono testimonianza della civiltà della vita? Perché gli artisti che le hanno prodotte, lungo il loro itinerario, non hanno mai avuto alcun riferimento ideale, non si sono mai conformati al canone dell’epoca, non sono mai stati agganciati all’idea di uguale, che poi è l’idea di morte. Ce lo ricorda il sillogismo aristotelico, che pretende di fondare sulla mortalità l’idea di uguaglianza. Che cosa accomunerebbe gli umani? La mortalità.
Questo riferimento ideale, questo riferimento all’idea di uguale, che è l’idea di morte e l’idea del nulla, sta alla base della metafisica e dell’ontologia, ovvero dei sistemi di pensiero filosofici e delle dottrine misteriche, che vincolano gli umani allo stato penale e penitenziario, in cui la vita nel suo gerundio, la parola libera, il piacere, il bello sono colpiti da sospetto e da invidia. Non è civiltà della vita, ma civiltà tanatologica, civiltà della morte, quella in cui è ammesso soltanto ciò che si conforma al canone dell’uguale, al pensiero unico. E che cosa cercano quegli artisti che rincorrono la gloria mundi per conformarsi al canone dell’uguale, a ciò che è creduto e immaginato attraente per il maggior numero di persone? La mostruosità. Ne sono prova i giornali, che per aumentare le vendite “sbattono il mostro in prima pagina” e, se scrivono di un caso di qualità, devono subito scovarne difetti e mancanze, nel presupposto che nessuno sfugga al male, che ognuno in fondo sia malato, malato di morte, quindi uguale, “in fondo, siamo tutti uguali in quanto mortali”.
Per constatare fino a che punto alcuni artisti in auge nella cosiddetta arte contemporanea si assoggettino al canone dell’uguale basta visitare le mostre in cui il demenziale, l’orrido e il mostruoso spazzano via ogni traccia del bello. Ma, forse c’è un motivo per cui, come scriveva Friedrich Nietzsche nel 1886, “la stragrande maggioranza degli umani” ha bisogno della mostruosità più che del bello nell’arte: “La storia e l’esperienza ci dicono che la mostruosità significativa [nel testo in tedesco: die bedeutsame Ungeheurlichkeit, che eccita misteriosamente la fantasia e la trasporta oltre il reale e il quotidiano, è più antica e cresce più copiosamente del bello in arte e della ve]nerazione per esso – e che subito essa rispunta da tutte le parti, quando il senso della bellezza si oscura. Sembra che essa rappresenti per la stragrande maggioranza degli umani un bisogno più intenso del bello: certamente perché contiene il narcotico più grossolano” (Umano troppo umano, II, Opinioni e sentenze diverse, n. 118).
Un narcotico grossolano, ecco cosa cerca chi accetta l’idea di morte: una sostanza che possa alleviare il proprio stato penale e penitenziario, il proprio presunto stato di essere mortale. E, in questa ricerca, nega il caso di qualità, il caso di valore, nega la differenza e la varietà della vita, nega il processo linguistico narrativo che troviamo nelle opere degli artisti del secondo rinascimento. Opere in cui una casa non è una casa, ma la dimora della parola, come nella Vecchia Mosca di Alekseji Lazikyn. Opere come quelle di Alfonso Frasnedi, in cui il colore non ha nulla a che fare con la colorazione, ma è una proprietà dell’oggetto imprendibile, irrappresentabile della parola. Ciascuna di queste opere s’inscrive nel testo dell’artista, nel suo processo linguistico narrativo, e risulta testimonianza materiale di civiltà in quanto è pittura come scrittura della vita nel suo gerundio, in quanto dà notizia delle cose. Come scrive Leonardo, la pittura dà la vera notizia delle cose, non nel senso che ne offre un ritratto realistico, ma nel senso che nella pittura, nella scrittura sulla tela, l’artista coglie l’occasione di narrare ciò che va in direzione del caso di qualità, del caso di valore.
In che modo ciascun artista del secondo rinascimento diviene caso di qualità e le sue opere approdano al valore assoluto? Non inseguendo la linea e il cerchio, non accodandosi né cercando compromessi con i circoli dell’onorata società né ammiccando al pluralismo come altra faccia del monismo, dove tutto deve tornare, quadrare, ovvero circolare per arrivare al quadrato logico aristotelico. Anzi, il viaggio di ciascun artista giunge al valore seguendo la curva, la svolta, il giro sintattico, il raggiro frastico e la piegatura pragmatica, che intervengono dipingendo, parlando, narrando, ascoltando, incontrando, sempre procedendo dall’ironia, dalla questione aperta. E così il quadrato che troviamo nell’opera di Alfonso Frasnedi Riflessione orizzontale. Il grande caldo, per esempio, non è un quadrato, perché procede dall’ironia, dalla questione aperta, con cui l’artista si è cimentato fin dagli anni della Pop Art, quando dipingeva la “confezione” per irridere al consumismo imperante dell’epoca, che metteva tutto in scatola. E nelle opere successive, della “confezione” tridimensionale resta una facciata, che in seguito si espande fino ad andare virtualmente oltre la superficie dell’opera, mentre nell’opera vediamo soltanto un lato della facciata, che sembra una linea. Ma l’artista chiama questa linea “orizzonte”.
Anche l’opera di Antonio Vangelli intitolata Circo non deve nulla al cerchio, anzi, con le sue figure festose racconta che il viaggio della vita non è circolare, che gli umani non circolano per salvarsi dalla morte, non sono in pena. Non circolano, senza un progetto e un programma di vita, in attesa della morte come destino ineluttabile o come fine necessaria di un ciclo cui seguirà una rinascita (magari attraverso un cammino iniziatico che porti alla reincarnazione). E da dove traggono la forza, l’energia per portare a conclusione ciascun compito della giornata? Da un’idea o da uno spirito guida? Magari veicolato dall’artista come mago o sacerdote o addirittura dio, demiurgo, artefice e creatore di un nuovo mondo di purezza, dove il bene vince sempre sul male? La forza, come l’energia, è nella parola, nel suo atto (con actus Cicerone traduceva il greco enérgheia, ενέργεια), nello scambio intellettuale, non ideale né spirituale. Le figure del circo nelle opere di Vangelli raccontano di una forza che nessuno può dare o prendere, perché si acquisisce parlando. Non c’è il soggetto della forza, che diviene spesso il soggetto senza forza, quello che oscilla fra “i picchi e i cali” di energia, il soggetto dell’energia ideale, positiva o negativa, cui fa riferimento l’energetistica.
Purtroppo, non sono poche le dottrine che fanno derivare l’energia dalla metamorfosi, dal cambiamento o dalla rinascita ed esortano chi si crede soggetto a “scegliere la propria vita” e “a divenire se stesso”. E c’è chi, per realizzare l’ideale di sé, sarebbe pronto ad abbattere tutto ciò che vede come segno del negativo, del male, del peccato, dell’incesto – sempre attribuiti all’Altro o a sé come Altro –, demonizzando la ricchezza, l’impresa, l’arte, la cultura e tutto ciò di cui ha invidia.
Dal transumanesimo alle dottrine esoteriche, misteriche o quantiche che spopolano sui social, spesso indossando i panni del negazionismo, sono tante le ideologie che promettono un “nuovo rinascimento”, come renovatio, una società senza più corruzione, manipolazione e controllo da parte di un “potere occulto”. E dipingono il rinascimento come l’epoca in cui ognuno era finalmente “libero di fare ciò che vuole”. Ma la trasformazione che ha contribuito all’instaurazione del rinascimento non era frutto del libero arbitrio del soggetto, bensì dello scambio culturale, artistico e scientifico, alimentato anche dai viaggi intercontinentali e dagli scambi commerciali che si sono intensificati in quel periodo. E il secondo rinascimento non è un nuovo rinascimento, è secondo in quanto originario, procedente dal due, dalla questione aperta, che non può essere chiusa da nessuna promessa di fede. Chi abbraccia le dottrine del cambiamento smarrisce la via in direzione della cifra, del valore assoluto, che si costituisce lungo il percorso culturale e il cammino artistico, non alla ricerca di misteri da svelare o di difetti e di errori da correggere. Cambiare vita, cambiare sé, cambiare il mondo? Eliminare la corruzione attraverso la lotta di classe, di casta, di partito o attraverso l’arte come cammino iniziatico? Questo sarebbe il valore della vita per ognuno che si crede uno e identico a sé. Le opere degli artisti del secondo rinascimento indicano che il viaggio della vita è narrativo, quindi il valore non è convenzionale, ma è ciò cui approdano le cose che si dicono, si fanno e si scrivono: raccontando, le cose non sono mai identiche, colgono l’occasione per compiere un altro giro, per involarsi in un altro raggiro e per prendere un’altra piega, fino all’approdo al piacere, alla felicità, alla cifra, al capitale intellettuale, al valore assoluto.