QUALE BUSSOLA PER COGLIERE GLI INDICI DELLA RIUSCITA E DELLA DIREZIONE
Leggendo il suo libro appena pubblicato da Spirali, La mia bussola. L’amicizia, la famiglia, l’impresa, s’intende che non bastano i numeri riportati nel conto economico per definire il valore di un’impresa, occorre capire quali sono gli indici della sua riuscita, analizzando i suoi flussi, ovvero la sua influenza, non soltanto nel settore in cui opera, ma anche nella trasformazione incessante della città, della nazione e del pianeta. In che modo un imprenditore coglie gli indici della riuscita e della direzione?
Un analista di bilancio risponderebbe senza esitazione: “Basta guardare il margine operativo lordo, l’utile ante imposte e qualche indicatore patrimoniale e finanziario e magari confrontarli con gli obiettivi che l’azienda si era posta all’inizio dell’anno”. Ma la riuscita di un’impresa è veramente circoscrivibile all’ultima riga in fondo al bilancio? Fare il bilancio dell’anno è un po’ come fare il punto della rotta: conta dove sei, ma anche in quali condizioni ci sei arrivato, perché queste influenzeranno il prosieguo del viaggio. Gli indici della riuscita devono tenere conto tanto degli asset materiali, solitamente ben dettagliati nei documenti di bilancio, quanto degli asset immateriali, e questi ultimi, essendo intangibili, sono decisamente più complicati, non solo da rendicontare, ma anche da individuare.
Gli asset immateriali strutturali, quindi il capitale organizzativo (procedure, certificazioni, gestione delle comunicazioni, ecc.) e quello relazionale (clienti, fornitori, network, posizionamento, ecc.), possono essere individuati e in qualche modo valutati; stessa cosa vale per quella parte di capitale relativa alla proprietà intellettuale (brevetti, marchi, conoscenza codificata, ecc.). Non dico che sia semplice, ma è certamente utile farlo, per rendersi conto degli asset immateriali che stanno alla base del nostro business e quindi ragionare su quali investire per la migliore valorizzazione dell’impresa.
Volutamente ho lasciato per ultima quella parte del capitale intellettuale che afferisce alle persone: è certamente la più difficile da valutare, ma anche la più strategica. Eppure, come possono essere valutati ele menti quali i valori, le competenze tecniche e relazionali, la motivazione, la creatività, lo stile? Anche le stesse competenze tecniche, in teoria le più facili da valutare, sfuggono a una definizione precisa, in quanto siamo abituati a valutare ciò che le persone sanno fare relativamente al compito loro assegnato; ma le persone sanno fare molto di più. Una possibile soluzione è ricorrere a una doppia valutazione: giudichiamo le competenze tecniche di una persona in relazione al grado di soddisfazione del cliente e ne valutiamo le competenze relazionali attraverso l’osservazione dei suoi comportamenti.
Il cliente può essere esterno all’organizzazione, cioè un vero e proprio acquirente, oppure essere un collega al quale occorre consegnare una fase di lavorazione: il lavoro è fatto a regola d’arte? La consegna è puntuale? Come si comporta la persona? Si relaziona correttamente? Atteggiamenti e linguaggio sono in linea con i valori e con il posizionamento richiesto dall’azienda? E così via.
Come vede, gli asset immateriali sono tanti, non semplici da valutare, a volte nemmeno da individuare, ma certamente sono strategici per l’impresa e devono essere fortemente correlati con il modello di business e con il posizionamento di mercato.
Faccio un esempio “terra-terra” di tutto questo: se prenotasse una cena in un ristorante stellato e vi trovasse un cameriere maldestro e distratto, lei avrebbe da ridire, e forse anche da ridere, se non fosse per il salatissimo conto e gli schizzi di sugo che magari si ritroverebbe sulla camicetta. Il cibo, il vino, la tavola, gli arredi, tutto il tangibile era perfetto, ma il servizio nel suo complesso è stato rovinato dalla mancanza di competenze del cameriere (e del direttore/proprietario che ha affidato a quella persona il compito di servire in sala) ovvero da elementi intangibili che le sarebbe stato impossibile valutare prima di avere verificato quei comportamenti che hanno determinato l’esito poco soddisfacente di una serata sulla quale aveva investito, confidando in tutt’altro servizio.
Tornando all’impresa e agli indici della riuscita, c’è un altro elemento determinante, un fattore che, se vogliamo, può rappresentare una sorta di risultante di tutti gli altri: il cosiddetto clima aziendale. Questo è dato dalla sintesi del modo in cui le persone percepiscono e interpr]tano il proprio lavoro, l’azienda in cui operano, i rapporti con i colleghi e con i responsabili. Ogni persona può percepire la propria azienda come moderna o arretrata e lo stile del management come coinvolgente o autoritario, le condizioni di lavoro come confortevoli o disagiate, le dotazioni e i processi come efficienti o inadeguati, ecc. La risultante di tutto questo determina il clima aziendale, elemento intangibile che influenza largamente i risultati tangibili, ovvero il conto economico dell’impresa. Un clima positivo, di benessere e soddisfazione lavorativa, determina un maggior coinvolgimento delle persone, la crescita del senso di appartenenza e quindi una migliore collaborazione: tutte cose che finiscono per riflettersi nella soddisfazione del cliente e quindi nel successo dell’impresa.
Qualora gli obiettivi di bilancio venissero conseguiti a danno del benessere delle persone, ci troveremmo di fronte a risultati di breve periodo, insostenibili nel tempo, soprattutto se l’azienda basa il proprio modello d’affari sulle competenze delle persone e quindi sul capitale intellettuale. Sul clima aziendale ci sarebbe da ragionare e da scrivere a lungo, analizzando, per esempio, quali fattori possono determinare una discrasia tra realtà e percezione del clima aziendale o quali possono essere i fattori di influenza esterna e come gestirli. Va da sé che la comunicazione, tanto quella esterna quanto quella interna, riveste significativa importanza. Il clima esterno all’azienda, le problematiche del territorio, della nazione, le condizioni sociali e le modalità e l’intensità con cui vengono comunicate dai media possono determinare un clima di sfiducia generalizzato che è difficile contrastare all’interno dell’impresa. Allo stesso modo, quando all’interno dell’impresa si delega la comunicazione al chiacchiericcio da macchinetta del caffè o a strilli e strepiti, diventa difficile promuovere e mantenere un buon clima aziendale, persino quando tutte le altre condizioni sono favorevoli.
Vede quanti sono gli indici della riuscita e della direzione?
In definitiva, lo stato di salute dell’impresa e quindi il suo valore in un dato momento, non è definibile unicamente dal bilancio tradizionale. Le considerazioni economiche non possono essere disgiunte dalla valutazione degli asset intangibili: capitale strutturale (organizzativo e relazionale) e intellettuale (proprietà intellettuale e persone). Soprattutto il capitale intellettuale delle persone è tanto difficile da stimare quanto essenziale per la riuscita dell’impresa.
Tuttavia, sono certo che se ci trovassimo nella condizione di richiedere una valutazione economica dell’im presa, finalizzata a un’operazione di cessione/acquisto, e affidassimo il compito a un’agenzia, un advisor, questi, dopo aver studiato attentamente i bilanci degli ultimi tre anni e magari il piano industriale dei prossimi tre, emetterebbe la sentenza “in ragione dei dati pregressi e delle aspettative future e dato il settore in cui opera l’azienda, il valore può essere stimato in X volte il margine operativo lordo”. Certamente esagero nella mia semplificazione. Forse!
Quindi, se ne potrebbe dedurre che tutti quei fattori immateriali che caratterizzano la vita dell’impresa e che abbiamo molto sommariamente esaminato non servano a nulla nella definizione del valore dell’impresa.
Sarebbe una deduzione errata. Non possiamo confondere il ruolo di chi valuta l’impresa e la rappresenta con un numero con quello dell’imprenditore, cioè di chi l’impresa la costituisce, la coordina, la vive insieme ai collaboratori.
La valutazione dell’impresa sta all’impresa stessa come una fotografia sta a un film. Chi valuta l’impresa è un fotografo. Chi guida l’impresa è un regista. Al fotografo poco importano il carattere delle persone, i valori che le contraddistinguono, gli atteggiamenti, i comportamenti. Il regista, invece, si affida alle competenze degli attori, alla loro capacità di emozionare, si affida alla tecnologia delle sue attrezzature, agli effetti speciali che riesce a ottenere, alla storia che vuole raccontare e, in qualche caso, al messaggio che vuole lasciare.
Giungo quindi alla conclusione che l’individuazione e la valutazione degli indici della riuscita e della direzione competono all’imprenditore. Lui deve individuare quali sono i fattori immateriali più importanti per la riuscita della sua impresa, lui ha la responsabilità di porre le condizioni perché le persone possano esprimere al meglio le proprie competenze e allo stesso tempo sviluppare il senso di appartenenza, ed è sempre l’imprenditore che deve organizzare un modello di business che abbia nelle persone, e quindi nel capitale intellettuale, l’imprescindibile baricentro dell’impresa, un’impresa centrata sulle persone. Se l’impresa è centrata sulle persone, l’imprenditore non è solo e nemmeno può esserlo, anzi, attraverso la parola, diventa dispositivo di condivisione, di coordinamento, di stimolo e, grazie al contributo dei suoi collaboratori, dispositivo di direzione dell’impresa.
Infine, l’attenzione agli intangibili e in particolare al capitale intellettuale proietta l’impresa in una dimensione che esce dai propri confini di produzione e di mercato e la porta a offrire il proprio contributo allo sviluppo sostenibile. Ma qui entriamo nel campo della responsabilità sociale d’impresa, argomento che ben volentieri potremmo affrontare in una prossima occasione.