LA DIREZIONE DEL VOLO DELL’IMPRENDITORIA ITALIANA
Fondata da suo padre, Libero Curti, nel 1955, l’Officina Meccanica di Precisione Imola, O.M.P.I., nel 1968 ha assunto il nome di Curti Costruzioni Meccaniche e oggi è capofila del Gruppo Curti Industries, costituito da diverse sedi e società nel mondo, attive nei settori della fabbricazione di macchine automatiche per la lavorazione dei cavi elettrici e del packaging, dell’energia, della robotica e dell’aeronautica. In quest’ultimo caso, la divisione Aerospace ha anche conquistato importanti riconoscimenti per il sistema qualità. E il suo viaggio è incominciato proprio proce[endo dal cielo, con i primi aeromodelli costruiti quando lei aveva appena dieci anni e poi divenuti opere d’arte, esposte attualmente nella vostra sede principale di Castel Bolognese…
Ho incominciato a fare l’aeromodellista nel 1966, quando mio padre mi portò all’aeroporto di Villa San Martino di Lugo per assistere all’esibizione aviatoria delle Frecce Tricolori, che volavano con l’aereo Fiat G.91, la migliore pattuglia acrobatica del mondo. Da quel momento è nata la mia passione per il volo, dapprima costruendo aeromodelli e poi anche partecipando a qualche gara di aeromodellismo, vincendo nella categoria degli alianti. In quegli anni non esisteva ancora il radiocomando e si utilizzavano i fili oppure ci si affidava alla direzione del vento: vinceva chi riusciva a tenere in volo l’aereo per più tempo, senza potere guidarlo in alcun modo.
Suo padre incentivò questo suo interesse?
Mio padre non mi aiutò, ma neppure mi ostacolò in alcun modo. Mi portò a lavorare a bottega da un bravissimo aeromodellista di Imola, Sauro Volta, che lavorava nella più grande cooperativa meccanica imolese e aveva le mani d’oro perché costruiva anche elicotteri radiocomandati e imbarcazioni. Io andavo a trovarlo quasi tutte le sere e questa esperienza mi è poi servita moltissimo anche nella vita professionale. Ma è stata importante anche l’interlocuzione con mio padre, che, pur essendo sempre impegnato in officina, qualche volta mi portava con sé – per esempio quando andava in trasferta da clienti –, parlandomi di tante cose lungo il viaggio in auto. Mi sorprendo ancora di ricordare i dettagli dei suoi racconti: una volta, mentre percorrevamo l’Autostrada del Sole in direzione Firenze, mi aveva parlato delle vergelle d’acciaio per il cemento armato, trasportate da un camion che transitava davanti a noi. Il babbo mi spiegava che i tondini, posizionati in un senso incontrano l’inerzia e non si flettono, in un altro senso, invece, tendono a flettersi. Ed è stato sempre il babbo a insegnarmi a costruire gli aquiloni.
La forza del Gruppo Curti Industries è anche frutto di acquisizioni strategiche che integrano le specifiche competenze di ciascuna divisione. In quali settori intervenite in modo specifico?
Siamo tra i migliori costruttori al mondo nel settore delle macchine per la lavorazione del cavo elettrico, in particolare per l’automobilistico e il bianco. Produciamo, per esempio, il connettore per airbag, essenziale per la sicurezza dell’equipaggio in auto, e i cavi antenna per la guida autonoma del veicolo, ma anche i cablaggi impiegati all’interno delle lavatrici e i cordoni per l’alimentazione degli elettrodomestici, fino ai lampadari Ikea. Inoltre, produciamo macchine per il confezionamento di liquidi alimentari e non solo.
Ma costruiamo anche macchine per il packaging sia di alimenti solidi sia di farmaci, macchine blisteratrici e obliteratrici, per esempio anche per uno dei vaccini russi. AVM è la nostra macchina per inscatolare fiale contenenti liquido fisiologico e principi attivi utilizzati per la produzione di medicinali e cosmetici.
Inoltre, costruiamo componenti di elicotteri e abbiamo prodotto anche un nostro modello, a cui abbiamo dato un nome che evoca quello del vento, Zefhir. Uno di questi prototipi è negli Stati Uniti, nella nostra sede Curti U.S.A. Corporation, dove ha partecipato alla fiera di Oshkosh nel Wisconsin. Zefhir ha una particolarità assoluta: è dotato di un paracadute balistico. Solitamente ogni elicottero è in grado di compiere l’autorotazione, una manovra che consente l’atterraggio e che è più nota ai piloti professionisti, in caso di emergenza. Oltre a poter effettuare la manovra di autorotazione, Zefhir consente la possibilità di scendere in quota in modo sicuro tramite l’apertura del paracadute: è l’unico modello di elicottero al mondo a essere dotato di questo dispositivo. Poi, fra le altre particolarità spicca la sua leggerezza, essendo costruito in fibra di carbonio; si eleva a una velocità impressionante, anche perché ha una motorizzazione a turbina con una potenza assolutamente esuberante per elicotteri di questa taglia. Soprattutto, la sua agilità consente di evitare velocemente eventuali ostacoli. Queste prestazioni avrebbero forse salvato la vita al cam pione di pallacanestro Kobe Bryant, il quale, mentre era in volo l’anno scorso, non ha potuto evitare l’impatto con la montagna che si è trovato di fronte all’improvviso.
L’Italia è un grande paese manifatturiero. Quali sono gli indici della riuscita e della direzione per rilanciare questo talento imprenditoriale?
Il manifatturiero produce il 16,5% del PIL italiano e quindi dobbiamo impegnarci al massimo per alimentare la pratica delle botteghe, basi dell’industria. Occorre assolutamente valorizzare le scuole professionali, anche per non rimanere troppo distanti dalle nazioni che invece le favoriscono, come la Germania e ora anche la Francia: è necessario investire in politiche che facilitino l’ingresso di giovani nelle imprese manifatturiere.
Tutta la rete di aziende della subfornitura dovrebbe essere tutelata in qualche modo, per evitare che le multinazionali e i grandi gruppi industriali approfittino del loro valore aggiunto. Alcuni anni fa è stata emanata una legge, la 192 del 18 giugno 1998, che doveva garantire i pagamenti ai subfornitori, ma non è mai stata applicata, con il pretesto che poi sarebbe stato necessario distinguere fra appalto di fornitura e fornitura vera e propria.
Le piccole e medie imprese costituiscono oggi le moderne botteghe rinascimentali, anche se non è più vero che piccolo è bello. Ma, siccome le imprese in Italia sono condizionate a mantenere dimensioni medie e piccole per una serie di ragioni politiche e, per esempio, anche per la configurazione geografica del paese (molto differente da quella di paesi come Germania o Stati Uniti), oggi devono essere messe nelle condizioni di potere operare in un contesto più ampio. Urge la chiara decisione politica di favorire l’avvenire del manifatturiero. Possiamo prendere spunto anche dal sistema duale tedesco, che consente ai giovani di studiare mezza giornata e di lavorare in un’azienda nel resto del tempo. Il problema è molto articolato, però credo sia sempre più necessario promuovere una nuova formazione sia dei dipendenti sia dell’imprenditore: una formazione all’intraprendenza.
Il brainworking rilancia questo nuovo approccio alla formazione, ma il numero crescente di imprese che chiudono in Italia sembra documentare il pregiudizio verso l’intraprendenza. Inoltre, fino a quando prevarrà l’interesse a tenere separati gli ambiti del lavoro da quelli della scuola pubblica?
Impresa e scuola pubblica possono collaborare, perché gli insegnanti possono imparare dal mondo dell’impresa e viceversa. Il problema è che non appena raggiungono l’agognato posto fisso – quella che io chiamo la comfort zone – smettono di aggiornarsi sulle novità tecniche. Questo approccio non è valido per tutti, perché io ho amici insegnanti che invece si impegnano moltissimo, ma sono quelli che poi svolgono anche la libera professione, cioè mantengono un proprio rischio, e questo implica un altro modo dell’insegnamento.
Come imprenditore io sono obbligato a confrontarmi tutti i giorni con il mercato, poi devo continuare a assicurare il pagamento degli stipendi e non posso licenziare, altrimenti sono additato come sfruttatore. Ma devo avere anche un sistema fiscale che mi consenta di poter lavorare onestamente! Inoltre, è necessario che abbia la possibilità di trovare collaboratori preparati e che possa lavorare in condizioni tali da potere sostenere investimenti per le mie imprese.
Proprio riguardo alle PMI, ricordo che per molti anni sono state gli incubatori, diremmo oggi, per la formazione: i piccoli artigiani hanno insegnato il loro mestiere tramite l’apprendistato nelle loro botteghe. Ma spesso accadeva che poi gli apprendisti si trasferivano in aziende più grandi per qualche soldo in più nella busta paga. Propongo, invece, di fare come nelle società giovanili di basket, dove la piccola squadra assume il rischio della formazione del giovane talentuoso per alcuni anni e poi, quando lo ingaggia una squadra più grande, questa riconosce il valore della formazione in termini economici alla piccola impresa. Un ragazzo di quattordici anni, carente nel profitto scolastico e che sembra non aver voglia di fare niente, assunto nella piccola impresa per alcuni anni ha l’opportunità d’imparare il mestiere e diventare, per esempio, un bravo fresatore. Se poi arriva il grande gruppo industriale che gli offre cento euro in più al mese, la piccola azienda si trova privata di un collaboratore prezioso ed è costretta a ricominciare tutto daccapo. Invece, occorre che il gruppo industriale o la multinazionale che se ne avvalgono, oltre ai cento euro in più al lavoratore, offrano anche un corrispettivo alla piccola azienda. Questo mi sembra un modo per incominciare a fare i conti in maniera più precisa.
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